Tante storie magiche
UNA MUSICA DA FAVOLA
Simona Maria Corvese
UNA MUSICA DA FAVOLA
La romantica e tormentata storia di Roberto e Laura, due giovani musicisti.
Milano, 1996
Roberto aveva finito le prove di un concerto che avrebbe diretto di lì a pochi giorni. Era ancora sul palco a riordinare i suoi spartiti quando tutti i musicisti se ne erano andati. Era un po’ nervoso perché in quel periodo doveva far quadrare molte cose: a 27 anni la sua carriera di pianista concertista era ancora tutta in salita, così come quella di compositore e direttore d’orchestra. Di giorno si preparava per i concerti e dava lezioni private di musica. Di notte c’era il lavoro come cameriere per pagare l’affitto dell’appartamento nel quale era andato ad abitare da pochi mesi. Ormai si era diplomato anche in composizione e non poteva più rimanere nel pensionato studentesco, solo che l’affitto che doveva pagare per quell’appartamento era superiore a quello del pensionato e questo significava una sola cosa: meno ore per dormire alla notte perché aveva trovato due ristoranti dove lavorare. In uno faceva il cameriere, nell’altro il lavapiatti. Quella era una nuova fase della sua vita e voleva farcela da solo. Avrebbe cercato un coinquilino per dividere le spese poi, non appena la sua vita lavorativa fosse migliorata, si sarebbe comprato un appartamento tutto suo.
Era ormai pronto a uscire dal teatro, stanco ma contento. Perché le sere delle prove orchestrali, poteva tornare direttamente a casa e riservarsi qualche ora per sé. Senza riflettere, scese dal palco e diresse verso l’uscita principale del teatro. In quel momento si ricordò che lo staff gli aveva chiesto di uscire dal retro perché, dopo le dieci, avrebbero chiuso l’accesso principale. Avevano abbassato o spento la maggior parte delle luci e non si vedeva bene in quella direzione: che distratto che era stato, quel particolare avrebbe dovuto insospettirlo! Tornò sui suoi passi, risalì sul palco e si avventurò nei meandri del back stage, anch’essi poco illuminati. Di lì a poco si rese conto di essersi perso in quei corridoi tutti simili l’uno all’altro e assolutamente deserti. Era stato poche volte in quel teatro e non lo conosceva ancora bene.
A un tratto gli parve di udire dei rumori provenire da uno sgabuzzino. Si fermò e aprì la porta, con la speranza di trovare qualcuno del personale di servizio a cui chiedere indicazioni. Una figura femminile, che con la testa gli arrivava appena sotto alla spalla, uscì di corsa dandogli una spinta che gli fece perdere l’equilibrio e fuggì in uno dei corridoi bui.
“Aspetti…non voglio farle del male”, disse Roberto rincorrendola.
Seguì il rumore dei suoi passi e capì, dalla direzione che stava prendendo la ragazza, che anche lei non doveva sapere dove andare. Si ritrovarono in breve tutti e due sul palco, che era ancora ben illuminato. La giovane donna, che poteva essere una sua coetanea, si fermò al centro del palco, trovandosi tra Roberto e un uomo delle pulizie che stava pulendo il pavimento.
“Tutto bene, Maestro Neri? La ragazza è con lei?”, gli chiese l’uomo guardandolo.
La ragazza, ancora col fiatone, guardò a sua volta Roberto con un’espressione supplichevole. Roberto capì che era una clandestina e, guardandola bene in volto, la riconobbe, anche se non la conosceva direttamente.
“Sì, grazie. Lei è una mia amica. Senta, abbiamo finito le prove ma è già un po’ che giriamo a vuoto nei corridoi del back stage senza trovare l’uscita. Saprebbe indicarcela, per favore?”.
Lui interruppe il suo lavoro per accompagnarli all’uscita del teatro. Roberto lo ringraziò e, quando l’inserviente fu rientrato, chinò lo sguardo verso la ragazza che ora aveva assunto un’aria smarrita. Era una delle prime serate fredde d’autunno e la giovane indossava solo un trench beige leggero sopra i jeans, dal quale spuntava il collo di una leggera maglietta. A contatto con quell’aria fredda, per reazione al caldo che c’era in teatro, ebbe un brivido e scosse la testa. I lunghi capelli scuri e mossi le si sparpagliarono come un mantello intorno alle spalle, incorniciandole il volto. Roberto rimase per un istante affascinato dal quel viso dall’ovale perfetto e dall’espressione dolce.
“Grazie per prima”, disse lei rompendo il silenzio.
Alludeva al fatto che Roberto non aveva denunciato la sua presenza non autorizzata in teatro.
“Di nulla…”, minimizzò lui .“Tu sei Laura Guarneri Fontana”.
“Già, per ironia della sorte mi chiamo proprio così…E tu sei Roberto Neri”
Laura aveva una punta di sarcasmo nella voce. Anche lei conosceva Roberto attraverso i commenti lusinghieri di alcune sue amiche.
Roberto annuì. Seguirono istanti di silenzio imbarazzato, durante il quale lui la guardò ancora ma come per studiarla.
“Cosa ci facevi nascosta in quello sgabuzzino e cosa intendevi poco fa?”.
“La mia coinquilina ha lasciato l’appartamento all’improvviso e non ce la facevo a pagare l’affitto da sola, così me ne sono dovuta andare anch’io…ma non ho trovato nessuna stanza libera…sembra che tutte le
stanze in affitto di questa città siano occupate in questo momento…”, confessò imbarazzata senza avere il coraggio di guardarlo in volto. Continuava a giocherellare nervosa col piede, come se stesse schiacciando degl’inesistenti sassolini sul marciapiede. A quel punto sollevò il capo e guardò Roberto dritto negli occhi. Quel ragazzo aveva un’espressione buona. Sentiva di potersi fidare di lui.
“Non ho un posto dove andare da una settimana. Sto aspettando che si liberi una stanza”, gli disse.
Roberto la guardò ancora pensieroso.
“Dove sono le tue cose personali Laura?”.
La ragazza aveva con sé solo una borsetta.
“Sono a casa di una mia amica che me li custodisce. Vado da lei a fare la doccia ogni due giorni ma per dormire mi nascondo in quello sgabuzzino, finché le cose non miglioreranno”.
“Come ti è potuta accadere una cosa simile?”, le chiese dubbioso lui.
Roberto era sì una persona buona ma non aveva l’abitudine di farsi abbindolare da nessuno. Sapeva che Laura era la figlia unica di un capitano d’industria e quella situazione aveva dell’assurdo.
Laura gli spiegò la verità: che era in rotta con suo padre. Che lui voleva che interrompesse la carriera concertistica per seguire le sue orme e lei si era opposta perché voleva cavarsela da sola. Per ripicca lui stava facendo valere tutte le conoscenze più influenti che aveva nel mondo della musica per mandarle a monte gli ingaggi che aveva avuto”.
“Capisco”.
“Buffo vero? Io che voglio fare del violino la mia professione, mi ritrovo un padre che vuole impedirmi di suonare”.
Laura era imbarazzata da quella spiacevole situazione e per le spiegazioni che aveva dovuto fornire a Roberto.
“Senti, è contrario ai miei principi condividere l’appartamento con una donna ma faccio fatica anch’io a pagare l’affitto. Ti posso cedere la camera da letto. Io dormirò sul divano in soggiorno, finché non trovi una soluzione migliore. Tanto in casa io non ci sono praticamente mai… Se non hai dove andare, ti posso ospitare già da stanotte… ma in cambio…”, propose Roberto ma s’interruppe vedendo che Laura si era irrigidita e aveva assunto un’espressione allarmata.
“Stai tranquilla”, le disse divertito “So che sei una violinista eccezionale e credo che saresti perfetta per suonare la parte del primo violino in una mia composizione… ma… preferirei parlartene di fronte a una tazza fumante di caffè: mi permetti di offrirtene una?”
Laura tirò un sospiro di sollievo e accettò la proposta, rivolgendogli un sorriso di gratitudine.
Percorsero qualche metro lungo il marciapiede ed entrarono in un bar, andandosi a sedere su un divanetto, in fondo al locale, semideserto e poco illuminato. Poco distanti da loro sedevano due ragazzi: parlavano sommessamente, sorseggiando le loro birre e commentando la partita di calcio che stavano seguendo al maxi schermo appeso alla parete. Roberto ordinò due caffè al cameriere, poi si volse verso Laura, che sedeva di fronte a lui. “L’inverno scorso ho proposto alla Walt Disney alcuni brani di musica che avevo composto durante l’ultimo anno del corso di composizione al Conservatorio…”
“E…? Non mi dire che ti hanno risposto?”, lo interruppe Laura, impaziente.
Roberto sorrise di fronte alla sua curiosità così spontanea e annuì. “Mi hanno commissionato altri brani da inserire in una loro produzione che uscirà a Natale”.
Il cameriere li interruppe, avvicinandosi loro con il vassoio in mano. Si chinò verso il tavolo e vi appoggiò le tazzine.
Laura e Roberto ringraziarono poi la ragazza riprese la parola. “Di quale film si tratta?”
“Il Gobbo di Notre Dame. Mi sento molto onorato di fare da assistente ai due compositori che stanno realizzando la colonna sonora del film… soprattutto perché posso mettere la mia musica al servizio di un tema che mi è molto caro: l’emarginazione sociale”.
Laura non aveva ancora toccato la sua tazzina. Stava osservando Roberto e non le era sfuggita la luce nei suoi occhi, mentre parlava.
“Allora stai realizzando il tuo sogno, Roberto: comporre musica e trattare temi sociali!”, osservò lei.
Roberto annuì e riprese la parola. “Dobbiamo iniziare a registrare a Los Angeles, ai Capitol Studios…”, le spiegò lui con modestia, poi prese la bustina dello zucchero, l’aprì in un angolo e ne versò il contenuto nella tazzina.
“Mio Dio Roberto: mi stai dicendo una cosa bellissima. Sarei onorata di suonare la tua musica… grazie per aver pensato a me… tu non sai quanto mi stai aiutando, anche in questa cosa”, affermò Laura emozionata, posando con delicatezza e gratitudine la sua mano sul dorso di quella di Roberto.
“Allora accetti la mia proposta?”, le chiese lui, rivolgendole un sorriso malizioso. Era certo, sin dall’inizio, che Laura non avrebbe detto di no.
“Come potrei rifiutarla? Mi offri ospitalità e mi procuri anche un lavoro… Non vedo l’ora di interpretare le tue partiture!”.
Roberto le porse la mano per stringerla e suggellare il loro patto. Nel farlo provò lo stesso piacere che aveva avvertito poco prima a contatto con il caldo tepore di quella mano affusolata.
Laura avvertì la stessa sensazione, guardandolo dal basso della sua posizione. Roberto era incredibilmente alto.
Per qualche istante si guardarono negli occhi, poi Laura ruppe il contatto, imbarazzata e affascinata dallo sguardo intenso di quegli occhi blu.
Presero i loro caffè poi, usciti dal bar, Roberto accompagnò Laura a casa sua.
Pochi giorni dopo erano nella sala di registrazione più grande dei Capitol Studios, a Los Angeles, la famosa sala A. Tutta l’orchestra sinfonica era riunita al completo e, di lì a poco avrebbero iniziato la loro registrazione. Laura era entrata in perfetta sintonia con la parte del primo violino e il brano che avrebbe interpretato le era piaciuto sin dalla prima lettura, a Milano. Roberto aveva saputo entrare alla perfezione nella logica di una colonna sonora: quelle note, che avrebbero accompagnato una scena romantica tra la zingara Esmeralda e il capitano Febo, erano in grado di far provare emozioni agli spettatori, senza essere quasi percepite.
Dal vetro della master control room, la sala di masterizzazione, fecero cenno a Roberto che tutto era pronto per iniziare.
Tra i musicisti calò il silenzio. Tutti erano pronti, con lo sguardo rivolto a Roberto.
Lui si avvicinò al leggio, diede un’occhiata all’ampia sala dalle pareti completamente ricoperte in boiserie di legno chiaro e si sentì orgoglioso di essere lì. Rivolse un sorriso all’orchestra e in particolare a Laura poi, con un cenno del capo e della bacchetta, diede inizio alla registrazione.
Fu una splendida esecuzione e un’esperienza indimenticabile per Roberto e Laura, che li avvicinò più di quanto potessero comprendere in quel momento. Una settimana dopo erano pronti a lasciare Los Angeles.
Sul marciapiede davanti all’entrata della torre dei Capitol Studios, Laura stava aspettando Roberto e, nell’attesa, osservava incuriosita le stelle dei Beatles sulla Hollywood Walk of Fame. La ragazza avvertì la presenza di Roberto, sopraggiunto alle sue spalle, ma non si voltò.
“Paul Mccartney, John Lennon, George Harrison e Ringo Starr”, disse continuando a leggere i nomi degli artisti incastonati nelle famose stelle sul selciato “Chissà… forse un giorno ci sarai anche tu qui: ‘Roberto Neri, compositore e filantropo’…”, affermò maliziosa.
Roberto rise di cuore “Grazie per aver riposto in me tutta questa fiducia, signorina Guarneri Fontana… ma lei è una grandissima impertinente” e le diede un pizzicotto sul braccio per farle capire che non aveva abboccato alla sua provocazione.
“Pronto a tornare a Milano?”, gli domandò Laura voltandosi verso di lui ancora con il sorriso sulle labbra.
Una brezza gentile soffiava leggera, riscaldata da un sole tiepido che dava l’impressione di essere in primavera, nonostante fosse ottobre inoltrato.
“No, per niente”, la spiazzò lui.
Laura lo guardò perplessa, non comprendendo cosa volesse dire.
“Mi hanno commissionato ancora un brano da comporre. Accompagnerà un’altra scena romantica tra Esmeralda e il capitano Febo… ma ho bisogno di un luogo tranquillo per non perdere la concentrazione e rispettare i tempi stretti che mi hanno dato”, le spiegò lui.
Era l’ora di punta, nel tardo pomeriggio, quando le persone iniziavano a tornare a casa dopo una giornata di lavoro. Il traffico sul viale era aumentato e il rumore dei clacson delle auto sovrastava le loro voci.
Laura gli si avvicinò incuriosita: “È una bellissima notizia, Roberto. Cosa conti di fare ora? Pensi di fermarti ancora qui?”.
“No. Un’amica in Francia mi ospita nel suo chateau medievale per tutto il tempo che mi occorre per comporre. In cambio le ho promesso di tenere alcuni concerti di musica da camera, per pianoforte e violino. Ha una sala della musica con un’acustica fantastica e organizza da anni ricche stagioni concertistiche presso la sua dimora”, nel dire questo Roberto notò una luce brillare negli occhi di Laura e ridacchiò pensando quanto fosse facile stuzzicare la sua fantasia.
“Hai detto pianoforte e violino?”, chiese lei un po’ sulle difensive. Cominciava a capire dove volesse andare a parare Roberto.
“Sì… e mi domandavo se ti piacerebbe accompagnarmi”, affermò guardandola negli occhi con l’espressione più innocente di cui era capace.
“Tu sei tremendo, Roberto Neri”, rispose lei, sforzandosi di mantenere un’aria imbronciata, mentre ricambiava il pizzicotto che aveva ricevuto poco prima. Subito dopo gli rivolse un sorriso dolcissimo. “Io adoro la Francia e i suoi castelli… ma non mi hai ancora detto dove si trova questo…”
“Chateau Picomtal si trova nel dipartimento delle Alte Alpi della regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra… e sono sicuro che t’innamorerai dei suoi incantevoli giardini”, le spiegò Roberto pieno di speranza “Si affaccia sul lago di Serre-Poncon e non dista molto da una pittoresca cittadina, Embrun, che molti chiamano la Nizza delle Alpi”.
“Ho girato tutta la Francia ma non sono mai stata in quella zona… mi hai incuriosito…”, riflettè lei.
“Mi accompagnerai, allora?”
Laura lo osservò un istante, rimanendo in silenzio, poi riprese la parola, seria. “Sì, ma non per il luogo pittoresco con cui stai cercando di allettarmi. Accetto perché mi onora la prospettiva di suonare insieme a te, Roberto”, gli rispose con sincerità.
Roberto, visibilmente felice, si chinò verso di lei e le sfiorò la guancia dandole un casto bacio. “Grazie di cuore, Laura. Sono certo che sarà una bella esperienza per tutti e due”.
In quel momento il taxi che avevano prenotato dagli Studios accostò al marciapiede. Roberto prese Laura sotto braccio e salirono in macchina per tornare all’hotel dove alloggiavano.
Due giorni dopo il pulmino del castello di Picomtal che andava a prendere gli ospiti alla città di Embrun, stava percorrendo gli ultimi metri di strada che portavano all’entrata di quella romantica e antichissima dimora.
Davanti al profilo delle Alpi si stagliava un incantevole castello medievale francese che poteva vantare più di mille anni di storia. Era piccolo di dimensioni, con possenti mura in pietra viva e due torri rotonde dai tetti a forma di cono rovesciato in ardesia scura, che fiancheggiavano il corpo centrale. La sua posizione elevata, che si affacciava con una vista affascinante sul lago di Serre-Poncon, ricordava la sua originale funzione di fortezza, posta a vedetta del luogo.
Scesi dal pulmino Laura e Roberto s’incamminarono lungo il viale d’entrata principale che, con la sua ghiaia grigiastra, delimitava in modo ordinato le aiuole del bellissimo giardino formale francese.
L’autista del pulmino li aveva preceduti, facendo loro strada e portando i leggeri bagagli dei due ospiti.
Roberto aveva previsto di soggiornare una settimana in quel luogo: nel mese di ottobre, in pieno autunno, il castello era semi vuoto e lui avrebbe potuto contare su quella quiete per lavorare con maggior concentrazione.
Un sole insolitamente tiepido accarezzava i loro volti, così Laura e Roberto si attardarono un po’ nel giardino, procedendo senza fretta verso l’entrata del castello.
“Ti piace?”, chiese Roberto, chinandosi istintivamente verso Laura, mentre camminavano fianco a fianco.
“È un gioiellino…”, commentò Laura con un filo di voce, alzando lo sguardo verso Roberto. Era rimasta rapita dal fascino discreto di quella dimora.
Giunti agli scalini che davano accesso all’entrata, una deliziosa porta veranda verde chiaro in stile Louisiana del 19esimo secolo, con vetri all’inglese, si estendeva davanti a loro, fino al primo piano.
Furono accompagnati ai loro alloggi, due luminose e attigue suite, arredate con mobilio originale dell’Ottocento.
Laura si avvicinò alla vetrata della sua stanza e ammirò la vista incantevole sui riflessi dorati del lago e sulle montagne. In quel momento Roberto bussò alla sua porta. Laura andò ad aprirgli.
“Ti andrebbe di fare una passeggiata nella tenuta, prima che tramonti il sole? Sono già stato qui in autunno e a questa altitudine l’aria fredda delle Alpi si fa più pungente alla sera”, le propose lui.
Solo due giorni prima erano atterrati a Milano da Los Angeles: avevano appena avuto il tempo di fare un cambio d’abiti nelle valigie, per ripartire ventiquattr’ore dopo alla volta della Francia del sud.
“Volentieri, Roberto. Dopo tutte le ore che abbiamo passato seduti in aereo negli ultimi giorni, una bella passeggiata è proprio quello che ci vuole. Non so tu ma io risento ancora di tutti gli effetti del jet leg”, rispose lei gradendo molto la proposta di Roberto.
“Per quelli ci vorrà ancora un po’ ma sono certo che quest’aria pungente di montagna ci sarà d’aiuto per un sonno ristoratore. Durante il giorno è molto stimolante ma alla sera ti fa crollare esausto, almeno la prima notte”, le spiegò lui “Vieni, usciamo”.
Laura lo seguì e Roberto la condusse in una lunga e rilassante camminata tra i campi e le foreste di conifere che circondavano il castello.
“È un territorio meraviglioso, Roberto. Ora capisco perché sei voluto venire qui: non credo vi sia un luogo più adatto per comporre musica per una favola. Non avrai difficoltà a trovare ispirazione”, affermò Laura.
Lui annuì in silenzio, sorridendole.
Si sedettero nel campo, appena oltre le mura di recinzione del castello.
Dalla linea orizzontale dell’erba alta emergeva l’imponente sagoma dell’antica dimora, che si stagliava nitida sul profilo delle montagne. Il sole si apprestava a tramontare dietro di esse e Laura e Roberto si godettero quel momento magico.
“Vieni, rientriamo”, le disse lui, prendendola per mano con disinvoltura, mentre si rialzavano “Vorrei farti vedere la sala della musica, prima di pranzare”.
Laura apprezzò molto quel gesto così spontaneo di Roberto e gli istanti di serenità che le aveva regalato con quella passeggiata, ma non glielo esternò.
Rientrati al castello lui la condusse nella sala della musica, arredata con tappezzeria a motivi tipici dell’Ottocento e boiserie.
“Che meraviglia questo camino!”, osservò Laura ammirando le piastrelle verdi che lo decoravano, alternandosi ad altre con il motivo stilizzato del giglio di Francia.
“E riscalda anche molto il locale, quando lo accendono alla sera… ma aspetta a sorprenderti, non è questa la cosa più preziosa di questa sala”, le rispose Roberto divertito. Andò a sedersi al pianoforte nero a coda ed eseguì un semplice accordo, lasciandolo risuonare nel silenzio del locale.
“Ma qui c’è un’acustica incredibile…”, esclamò sorpresa Laura.
Roberto le sorrise, annuendo “… e pensa che in origine questa era la sala da biliardo… solo di recente è stata trasformata in sala da musica!”.
“Suoneremo qui il nostro concerto?”, gli chiese Laura e Roberto annuì di nuovo.
“Hai già deciso il programma?”, riprese lei, avvicinandosi al pianoforte e accostandosi a Roberto.
“Sì, ho pensato a un repertorio che conosci molto bene. Pensavo di suonare la Sonata per violino e pianoforte n.21, Kv304 di Wolfgang Amadeus Mozart”, le propose lui.
“Oh, Roberto… noi non ci conosciamo ancora molto, ma tu mi leggi nel pensiero: è un gioiello raffinatissimo e adoro suonarla”, esclamò sorpresa Laura.
Roberto rise imbarazzato “Credo di aver intuito la tua essenza, Laura… Di solito la raffinatezza e la profondità cercano raffinatezza e profondità…”, le rispose lui volendole fare un complimento.
Laura mostrò un certo imbarazzo di fronte al garbo di Roberto ma non nascose di averlo apprezzato.
Ci fu qualche istante di silenzio, poi lei riprese la parola. “quando iniziamo a provare?”.
“Se per te va bene inizierei domani”, rispose lui, visibilmente contento di aver reso felice Laura. Amavano tutti e due quella sonata e questo avrebbe loro permesso di suonarla al meglio delle loro possibilità.
Roberto guardò l’orologio, poi si rivolse a Laura.” Abbiamo ancora tre quarti d’ora prima di pranzare. Ci troviamo nella lounge 10 minuti prima delle 7?”, le propose.
Laura annuì, mentre lui si alzava dal sedile del pianoforte, dirigendo verso la porta della sala. La precedette lì, le aprì la porta e la fece passare, poi si congedarono, salendo ognuno alla sua suite.
Più tardi, quando Laura entrò nella lounge, trovò Roberto seduto sul divano, preso nel pieno di una conversazione con la proprietaria del castello.
Gliela presentò e le spiegò che Martine era stata una sua compagna di studi al conservatorio di Milano.
La giovane castellana rivelò a Laura che nella settimana che sarebbero stati suoi ospiti, non ci sarebbero stati altri turisti. Questo avrebbe permesso loro di lavorare con molta concentrazione.
In cambio Laura e Roberto avrebbero tenuto il tradizionale concerto d’autunno, riservato a un pubblico selezionato di estimatori della musica classica da camera, espressamente invitato da Martine, tra i suoi amici.
La donna li lasciò soli, augurando loro buona serata: lei avrebbe trascorso la serata nella vicina cittadina di Embrun, a casa di conoscenti.
Quando furono rimasti soli, Laura andò a sedersi sul divano, accanto a Roberto. Sullo schienale era stato adagiato un ricco drappo a motivi floreali dorati su campo blu chiaro, che riprendeva gli stessi colori e gli stessi motivi del grande tappeto rettangolare ai loro piedi. Le pareti erano ricoperte di boiserie nella parte inferiore e di tappezzeria a motivi vegetali sui toni del beige e dell’oro, nella parte superiore. Due pesanti tende in broccato erano state legate ai lati del finestrone dal quale proveniva il bagliore del lampione acceso in giardino. Sulla parete corta della lounge un grande camino in pietra era sormontato da un imponente specchio che rifletteva l’immagine del locale, facendolo sembrare più profondo di quanto realmente fosse. Era stato acceso da poco ma il crepitio delle sue fiamme diffondeva un piacevole tepore e un delizioso profumo di pino silvestre. I due giovani parlarono ancora un po’, pianificando le prove del concerto che avrebbero iniziato il giorno seguente. Il repertorio era interamente dedicato alle sonate per violino e pianoforte e prevedeva la Sonata di Franck che, con la sua ciclicità era stata uno degli elementi che avevano ispirato la Ricerca del Tempo Perduto di Proust. Considerando il pubblico colto che Martine aveva invitato alla serata, Roberto e Laura pensarono che sarebbe stato bello alternare i 4 tempi della sonata con letture di brevi brani tratti dall’opera di Proust, che ben conoscevano. Dopo pranzo sarebbero andati nella biblioteca del castello e avrebbero scelto insieme i brani della Recerche che avrebbero letto la sera dello spettacolo, il seguente sabato. Il programma sarebbe culminato con la loro amata Sonata n.21 Kv304 di Wolfgang Amadeus Mozart . Roberto e Laura avevano scelto due partiture da loro predilette e che avevano suonato già molte volte. Tuttavia quella era la prima volta che suonavano insieme e sarebbe stato necessario provare tutti i giorni per diverse ore. Convennero di dedicare la mattina al lavoro di composizione di Roberto e il pomeriggio alle prove orchestrali. Avrebbero comunque dato ampio spazio a quei momenti in cui Roberto avrebbe avuto bisogno di tornare sulla sua composizione: l’immaginazione creativa non arrivava a comando e non rispondeva mai a un prefissato orario di lavoro.
Una cameriera interruppe la loro conversazione, comunicando che il pranzo era servito nella breakfast room. Chateau Picomtal era un bed and breakfast ma quando la proprietaria ospitava amici, tutti i pasti venivano consumati nella sala in cui i turisti facevano la prima colazione.
Roberto e Laura si alzarono dal divano e andarono a mangiare. Il resto della serata lo passarono in biblioteca, sfogliando una copia antica della Ricerca del Tempo Perduto di Proust. Fu divertente far tardi scoprendo che prediligevano brani differenti di quella monumentale opera… e fu una bella impresa mettersi d’accordo nella scelta delle letture. Alla fine, quando il sonno e gli effetti del jet leg ebbero il sopravvento sul loro entusiasmo letterario, convennero che era giunto il momento di dichiarare ufficialmente finita quella lunga giornata e ritirarsi ognuno nella sua camera da letto.
La mattina seguente Laura e Roberto si ritrovarono di buon’ora nella sala della prima colazione.
“Dormito bene?”, chiese Roberto a Laura, quando la vide entrare nella sala.
“Come un ghiro! E tu?”
“Benissimo ma mi sono svegliato troppo presto, così ho già fatto una passeggiata fuori. C’è una deliziosa aria pungente!”, le rispose lui, sedendosi al tavolo e iniziando a scegliere le bustine del te.
“Spero ti abbia portato buon consiglio per il tuo lavoro”, rispose lei indicandogli una bustina di te grigio, adatto alla colazione.
“Oh, sì. Ho già idee e spunti che mi girano in testa… dopo te le illustro”.
“Oh, grazie per volermi coinvolgere”, rispose lei stupita “credevo fossi uno di quei compositori che hanno bisogno di lavorare in assoluta solitudine…”.
“Di solito è così”, le rispose lui, alzandosi dal tavolo e andando a prendere una teiera che la cameriera aveva appoggiato su un tavolo adiacente. La prese poi si voltò verso Laura e versò un po’ d’acqua calda nella sua tazzina. Subito dopo riempì anche la sua tazza. “…ma, vedi… c’è una motivo che accompagna i movimenti Esmeralda che continua a girarmi in testa. Avrei bisogno della voce di un violino che dialoghi con me, mentre suono la base della melodia del capitano Febo al pianoforte”, spiegò, tornando a sedere al tavolo. “Ricordi la scena del Gobbo di Notre Dame che abbiamo visto negli Studios a Los Angeles?”
Laura annuì.
“Ecco, è proprio quel momento che devo mettere in musica… e, tra l’atro, tu mi sei di molta ispirazione perché non hai nulla da invidiare al fascino di Esmeralda”, le spiegò lui strizzandole l’occhio.
“Grazie per avermi paragonato alla bella Esmeralda, ne sono onorata”, rise di cuore Laura “Non ti facevo così pratico nel provare la tua musica”.
Lui le sorrise divertito poi le avvicinò il vassoio con le brioches, da cui Laura si servì.
Finirono la colazione poi si trasferirono nella veranda dagli infissi verdi in stile Louisiana, del diciannovesimo secolo. La luce del sole investiva in pieno il locale in quel momento, conferendogli una particolare luminosità. Su un tavolino rotondo erano appoggiati alcuni fogli pentagrammati. Laura vi si avvicinò e lesse le note sullo spartito compilato a mano, con a fianco delle annotazioni in cui riconobbe la grafia di Roberto.
Ai lati del tavolino c’erano due sedie imbottite e foderate con tessuto di elegante broccato sui toni bianchi, rossi e verdi, su cui Roberto e Laura presero posto. Roberto rimase in silenzio a osservare l’espressione assorta di Laura mentre leggeva lo spartito. Proprio in quell’istante notò che la ragazza rabbrividì.
“Hai freddo?”, le chiese.
“Un po’…”, replicò distrattamente lei, continuando a leggere la partitura.
Lui si alzò, si tolse il golf e glielo adagiò sulle spalle. “Tieni pure, adesso regolo il riscaldamento”, le disse, avvicinandosi poi al termosifone alle sue spalle.
Laura lo ringraziò, seguendo con gli occhi i suoi movimenti. Il gesto spontaneo di Roberto l’aveva colta di sorpresa e si sentì riscaldata soprattutto dalla sua premura, ma non glielo esternò.
“In effetti oggi non c’è il clima di ieri… è una bella giornata autunnale e si sente l’aria fredda che scende dalle montagne. Questa notte lassù è nevicato”, le spiegò lui mentre regolava la manopola del calorifero.
“Come?”, chiese lei guardandolo in volto senza capire.
Roberto si avvicinò alla finestra della veranda e aprì le tende, lasciando entrare la calda luce del sole. “Non avevi ancora visto la novità fuori? Guarda le cime delle montagne!”, la esortò lui, rivolgendole un sorriso amichevole e indicando la splendida visuale delle vette innevate delle Alpi, che si poteva godere da lì.
“Oh, che meraviglia… ora capisco!”, esclamò Laura con spontaneità.
Roberto tornò al tavolo e cominciò a mostrare a Laura alcuni passaggi della sua composizione musicale. Poco dopo si trasferirono nella sala della musica e cominciarono a provare la partitura per Il Gobbo di Notre Dame.
I giorni che seguirono furono scanditi tutti in modo simile l’uno all’altro. Dopo la colazione di mezzogiorno, e prima di iniziare le prove pomeridiane per il concerto, Laura e Roberto si concessero lunghe passeggiate nei prati e nelle foreste che circondavano il castello. Fu durante questi momenti di svago che i due giovani si avvicinarono , approfondendo la loro conoscenza e traendo spunti o intuizioni utili per il loro lavoro.
Alla fine della settimana la musica per Il Gobbo di Notre Dame era pronta. Roberto era molto soddisfatto del lavoro svolto con il prezioso aiuto di Laura: la ragazza non era solo un’eccellente violinista, era anche una finissima critica musicale.
Laura aveva saputo fargli notare i punti in cui la musica attirava troppo l’attenzione dell’ascoltatore. Il compito di una colonna sonora era quello di accompagnare i dialoghi della storia, facendo provare emozioni agli spettatori, ma passando sempre inosservata, senza quasi essere percepita. Laura, con il suo raffinato e attento orecchio musicale, aveva aiutato Roberto a non perdere mai di vista il suo obiettivo.
La sera del concerto la sala della musica era gremita di persone. Laura e Roberto sapevano di suonare di fronte a un pubblico di persone colte, avvezze ad ascoltare musica classica. Questo non li turbò, al contrario, li lusingò.
Martine li presentò ai suoi amici come due promettenti musicisti ma, prima di dare inizio allo spettacolo, spiegò che quella sarebbe stata una serata culturale. La musica classica si sarebbe alternata alla lettura di brani di un classico della letteratura: la prosa poetica della Recerche, di Marcel Proust. La voce narrante della serata sarebbe stata proprio Martine.
Roberto e Laura ebbero l’impressione che la serata scorresse velocemente e, durante l’esecuzione, ebbero modo di constatare che il programma da loro scelto fu particolarmente apprezzato dagli ospiti. Il comune denominatore della musicalità delle parole di Proust e delle note da loro suonate li aveva ammaliati. Il loro concerto di parole e musica fu un vero successo.
Quando tutti gli ospiti ebbero lasciato il castello, a notte inoltrata, Laura e Roberto si concessero una passeggiata nel giardino francese, illuminato a giorno dai lampioni, per scaricare un po’ dell’adrenalina che avevano in corpo. Erano tutti e due visibilmente contenti, soddisfatti del loro impegno e dell’affiatamento raggiunto in quei giorni. In un momento di particolare complicità si baciarono.
“Fa molto freddo ora… entriamo a bere qualcosa di caldo?”, propose con dolcezza Roberto, staccandosi con riluttanza da Laura.
Rientrarono e andarono a sedersi nella lounge, dove una cameriera servì loro da bere. Laura chiese una rilassante tisana alla melissa. Roberto si fece portare del cognac.
“Ti piace il cognac?”, le chiese lui mentre osservava Laura sorseggiare la sua bevanda calda. La stava studiando già da quando erano in giardino.
Laura si sentì un po’ imbarazzata da quello sguardo intenso ma non insistente e si concesse qualche istante di silenzio prima di rispondere.
“… a dir la verità non bevo alcolici di alcun tipo…”, rispose timidamente.
“Sei una bambina allora! Dovresti provare questo cognac: non sai cosa ti perdi”, la stuzzicò lui, con uno scintillio di divertita malizia negli occhi, mentre faceva ruotare dolcemente il calice a tulipano che teneva nel palmo della mano, per liberare gli aromi di quel prezioso liquido color bruno carico.
“Non ho mai misurato la maturità di una donna dalla quantità di gradazione alcoolica che assume”, replicò diretta lei, senza lasciar cadere la scherzosa provocazione di Roberto.
“Hai perfettamente ragione Laura e non era mia intenzione prendermi gioco di te. Io mi riferivo esclusivamente al cognac: berlo è un arte che t’insegna ad assaporare il piacere con lentezza”, le disse guardandola dritto negli occhi con maggiore intensità. “Non sei curiosa neanche un po’ di provarlo?”.
Laura sostenne lo sguardo di Roberto poi annuì in silenzio.
Roberto le fece cenno con la mano di sedersi accanto a lui e Laura lo raggiunse sul divano. Lui prese il secondo bicchiere sul vassoio, appoggiato sul tavolino di fronte a lui, poi prese la bottiglia di cognac per versarne un po’ a Laura.
Lei lo fermò appoggiandogli la mano delicatamente sul braccio e facendo cenno di no. Prese il bicchiere di Roberto e fece per accostarlo alla bocca ma questa volta fu lui a fermarla.
“No, non così”, le mormorò con dolcezza togliendole il calice dalle mani. “Non bisogna avere fretta con questo distillato. Il cognac mostra le sue virtù solo a chi ha la pazienza di sentirle disvelarsi lentamente”. Appoggiò il calice sul tavolino poi versò due dita di quel bruno distillato nell’altro bicchiere. “Prova a odorare ora”, le suggerì lui, avvicinandolo alle narici di Laura.
“Hmm… ha un profumo delicatissimo…”, osservò lei socchiudendo gli occhi.
Roberto fece ruotare delicatamente il liquido nel calice, riscaldandolo con il palmo della mano, poi lo porse a Laura. “Prova ancora…”, le sussurrò.
Lei lo prese tra le mani, chinandosi verso il calice. “Oh… ma è svanito l’aroma di prima… È diverso ora: sento fragranze di frutta, forse fiori e… legno”, esclamò sorpresa dalla quantità di note profumate che riusciva a distinguere.
“Brava, ora cominci a capire cosa voglia dire degustare il cognac: è un piacere per i sensi, che coinvolge prima l’olfatto e poi il palato”, la lodò lui continuando a studiare le sue reazioni. “Ora prova ad assaggiarne un sorso… solo uno… senza avere fretta di inghiottirlo”, la incoraggiò.
Laura accostò le labbra al calice. Esitò un istante, limitandosi a bagnarle, poi lasciò scivolare una piccola quantità di cognac in bocca. Quelle poche gocce del primo assaggio si espansero, dandole una sensazione di ricchezza aromatica mai provata prima. Quando lo inghiottì quegli incredibili aromi le risalirono al naso.
“Ti piace?”, le domandò lui.
Laura si limitò ad annuire, deliziata da quell’esperienza.
Roberto prese di nuovo la bottiglia in mano e versò ancora un dito di liquore, chiedendole di provare di nuovo, prima odorando e poi degustando con il palato.
Al secondo sorso Laura ebbe una percezione precisa di tutti i profumi e delle loro sfumature. Fece girare il cognac in bocca, lasciando che le avvolgesse tutta la lingua con il suo gusto dolce e amaro al tempo stesso.
“È incredibile”, esclamò “ha un sapore duraturo… ma ora è dolce, ora amaro… è come se si evolvesse coprendomi completamente la lingua… ma non saprei dire quale dei gusti prevalga…”, cercò di spiegare lei, concentrata nella degustazione e presa da quel turbinio di sensazioni.
Roberto le prese il calice dalle mani e si voltò per posarlo sul tavolino, poi si avvicinò a Laura. “È esattamente quello che ho provato anch’io poco fa quando l’ho assaggiato”, le disse chinandosi verso le labbra di Laura “… e il suo gusto mi permane ancora in bocca… gioca con il mio palato”, le mormorò, fermandosi a pochi millimetri dalle sue labbra.
Laura potè percepire il profumo del cognac nel suo alito. In quel momento pensò che se lui l’avesse baciata ancora come aveva fatto prima in giardino, lei non sarebbe stata capace di resistergli quella notte.
”Imparare ad assaporare il piacere senza fretta può regalare momenti di pura estasi dei sensi, non trovi?”, fu l’ultima cosa che le sussurrò dolcemente, prima di baciarla con incandescente trasporto.
Laura rispose al suo abbraccio con la medesima passione.
Qualche istante dopo si staccarono l’uno dall’altra. Con naturalezza Roberto la prese per mano e la portò nella sua camera, dove trascorsero una notte di romantica passione.
Quella fu la loro ultima notte al castello di Picomtal. La mattina seguente si concessero un brunch domenicale e un’ultima passeggiata, riscaldati dal tiepido sole autunnale. Nel pomeriggio fecero ritorno in Italia.
Col tempo e grazie alla convivenza per ragioni di necessità reciproche, Roberto e Laura si conobbero meglio. La loro iniziale amicizia platonica era divenuta una passione che però, piano piano, si trasformò in un sentimento sincero e profondo.
Roberto e Laura facevano coppia già da 3 anni, clandestinamente. Potevano contare sulla complicità dei loro amici David ed Eleonora ma, un giorno, il padre di Laura scoprì la loro relazione. Lui, proprio lui che voleva impedire alla figlia di essere una musicista, aveva constatato che si era innamorata di un musicista e che viveva con lui. Non avrebbe mai permesso che la cosa andasse avanti e che quell’uomo si accasasse con Laura.
Stefano Guarneri Fontana era un uomo d’affari senza scrupoli. Nella sua lunga carriera aveva imparato che tutte le persone hanno un prezzo. Questa era la sua ferma convinzione.
Visto che la figlia non ne voleva sapere di tornare sui suoi passi, Stefano decise di convocare Roberto e confrontarsi con lui.
Roberto si presentò all’appuntamento in un elegante palazzo antico, a Milano, di proprietà dell’industriale. Il loro colloquio ebbe luogo a porte chiuse nello studio di Guarneri Fontana.
Roberto dovette rispondere a molte domande sul proprio conto, misurandosi con un uomo dai modi raffinati e impeccabili ma dall’animo predatore. Si domandò come la madre di Laura avesse potuto innamorarsi di un uomo così, constatando che la ragazza aveva ereditato senza dubbio il carattere materno.
La loro conversazione stava volgendo al termine. Roberto sapeva bene dove voleva andare a parare quell’uomo.
“Posso offrirle qualcosa? Un caffè, un tè…”, gli chiese l’uomo.
“Niente, grazie”, rispose Roberto con cortesia.
Stefano continuava a studiarlo con freddezza e arroganza. Roberto sapeva che lo riteneva un pezzente ma non avrebbe mai immaginato perché.
Con disinvoltura, Guarneri Fontana estrasse dal taschino interno della giacca pregiatissima, un oggetto luccicante. Era un portasigarette d’oro, ammaccato in un angolo.
Roberto ricordava che anche suo padre aveva posseduto un oggetto dello stesso modello, ma quel particolare segno, in quel punto, gli aveva dato la certezza che quello fosse proprio il porta sigarette di suo padre.
Con la memoria tornò indietro alla sera in cui suo padre e sua madre erano morti in un incidente stradale, quando aveva solo 10 anni. Lui era in macchina con loro. Erano in autostrada, di ritorno da Bergamo, dove sua madre, affermata pianista, aveva tenuto un concerto. Di solito i suoi genitori non lo portavano con loro ma quella era la notte di Santa Lucia, il 13 dicembre e lui aveva insistito per avere in regalo un po’ del loro tempo. Roberto era solito trascorre le sue giornate con la babysitter, elemosinando affetto da una madre nel pieno della sua carriere artistica e da un padre distratto, interessato solo a gestire, in qualità di manager, il patrimonio guadagnato dalla moglie. Roberto stava crescendo nella solitudine, attorniato da un falso benessere economico, ignaro del fatto che il padre avesse il vizio del gioco d’azzardo.
Dopo l’impatto con la macchina che li aveva speronati in autostrada, suo padre aveva perso il controllo dell’auto. Roberto non aveva perso del tutto i sensi e aveva fatto in tempo a scorgere l’uomo che era alla guida dell’auto che aveva causato l’incidente. Questi si era avvicinato alla loro auto e, dopo aver constatato che suo padre e sua madre erano morti, aveva estratto il porta sigarette d’oro dalla tasca interna della giacca di suo padre e poi era fuggito. Non aveva notato la presenza di Roberto nel sedile posteriore dell’auto… o forse aveva creduto che fosse morto anche lui…
Suo padre aveva contratto forti debiti di gioco che non era stato capace di ripianare, quando lo strozzino che gli prestava i soldi aveva cominciato a pretendere forti interessi.
Dopo la morte dei suoi genitori, la casa in cui viveva Roberto fu venduta per pagare i debiti e a lui non rimase nulla. L’unica parente che gli rimaneva, zia Bianca, sorella di sua madre, non era in grado di occuparsi di lui economicamente. Fu così che il Tribunale dei Minori lo affidò ai Martinitt, l’orfanotrofio di Milano, in attesa di tempi migliori.
Roberto si ridestò dai suoi pensieri, riprendendosi dai demoni del suo passato, ma ormai non aveva più dubbi: Stefano Guarneri Fontana era il mandante dell’assassinio dei suoi genitori. Si stava prendendo beffe di lui, con crudeltà e glielo aveva voluto far capire con quel gesto… certo che Roberto non sarebbe mai stato in grado di provarlo.
Stefano fissò Roberto negli occhi, godendo dell’espressione scioccata del ragazzo.
“Gradisce una sigaretta, Roberto?”.
Stefano aveva esagerato il gesto di porgergli il portasigarette, certo che il giovane l’avrebbe riconosciuto.
Ci fu un istante di silenzio tra loro, che sembrò durare un’eternità.
“Non fumo”, rispose Roberto. Aveva fatto appello a tutto il suo autocontrollo per proferire quelle due parole. Tutto d’un tratto si sentì soffocare in quella stanza e avrebbe voluto andarsene ma ne aveva passate già molte di difficoltà ed era abituato ad affrontarle.
“Quanto vuole per sparire dalla vita di mia figlia?”, chiese a bruciapelo il padre di Laura, sorridendogli con fredda cortesia.
Roberto rimase in silenzio per qualche secondo.
“Io amo Laura e la voglio sposare…Non voglio i suoi soldi. Non sono quel tipo di persona”.
Stefano rise con tono di derisione.
“Oh, andiamo. Conosco la tua famiglia. Avete tutti un prezzo, come lo aveva tuo padre”.
“Mio padre non può più difendersi e non le permetto d’infangare il suo nome”.
“Tuo padre era un debole e scommetto che tu non sei molto diverso da lui”. Stefano aveva assunto un atteggiamento di chiaro disprezzo.
Roberto si alzò di scatto dalla sedia.
“Aveva delle debolezze e il vizio del gioco ma non si è mai macchiato di un assassinio. La nostra conversazione finisce qui, Signor Guarneri Fontana e mi auguro di non rivederla mai più. Addio”.
Roberto era sconvolto. Senza accorgersene si ritrovò sul marciapiede, in strada, di fronte al palazzo da cui era appena uscito. Respirò con avidità l’aria gelida di quell’inverno, cercando di calmarsi. Facendo ritorno a casa, decise che non avrebbe mai riferito a Laura quell’incontro privato. Aveva appena conosciuto il mandante dell’uccisione dei suoi genitori e scoperto che nessuno avrebbe mai potuto incriminarlo. L’esecutore materiale dell’assassinio era morto da anni e quel piccolo, maledetto, oggetto d’oro costruito in serie, non recava nessun segno che provasse che era appartenuto a suo padre. Quell’ammaccatura aveva un significato solo per lui.
Pochi mesi dopo Laura e Roberto decisero di sposarsi, senza il consenso del padre di lei. Questi non insistette con la figlia, visto che il suo intervento era servito solo a farla irrigidire sulla sua posizione. Che si sposasse pure, ormai, sua figlia. Era cresciuta in un ambiente sofisticato e benestante. Roberto invece proveniva dal ceto medio ma era cresciuto affrontando molte difficoltà economiche, era perciò sua convinzione che quel matrimonio non sarebbe durato molto. Nel dubbio che il suo futuro genero avesse mire economiche nei loro confronti, per risarcirsi di quanto gli era accaduto anni addietro, pensò bene di interrompere i rapporti con la figlia e di non fornire alcun aiuto economico finché fosse stato in vita.
Prima del matrimonio Roberto volle però essere sincero con Laura, come lo era sempre stato. L’amava profondamente e non voleva nasconderle nulla. Le raccontò dell’incontro con suo padre e del particolare della scatoletta d’oro. Laura capì subito le implicazioni di quell’oggetto e cominciò a provare un forte senso di colpa verso Roberto. Sapeva che suo padre era un uomo spietato in affari ma la sconvolse apprendere che era anche un assassino.
Roberto la tranquillizzò facendole capire, con tutto il suo amore, che lei non doveva provare alcun senso di colpa. Sapeva quanto Laura fosse sensibile. Le stette molto vicino ma questo non bastò: quella sconvolgente scoperta aveva incrinato il loro rapporto.
Un tardo pomeriggio Laura rincasò e andò dritta in bagno. Sapeva che Roberto sarebbe tornato solo a notte tarda: il tempo che aveva a disposizione le avrebbe permesso di fare chiarezza nella sua vita. Estrasse dalla borsetta la scatola che aveva acquistato in farmacia, ed eseguì il test di gravidanza.
Poche ore dopo, seduta sul divano in salotto, teneva tra le mani quel piccolo indicatore, giocherellandoci nervosamente. La finestra era aperta e una lieve brezza serale faceva svolazzare le candide tende del soggiorno, trasportando i rumori del traffico cittadino e le fragranze dei fiori di gelsomino che abbellivano il giardino condominiale. Con la primavera la natura si stava risvegliando dal torpore invernale, recando con sé la promessa di una nuova vita: quella che Laura stava portando in grembo.
Qualche giorno dopo, quando Laura ebbe conferma della sua gravidanza anche dagli esami clinici, prese la sua decisione: avrebbe cresciuto da sola la sua creatura. Si era convinta che non sarebbe riuscita a guardare in volto Roberto ogni giorno della sua vita, sapendo ciò che aveva fatto suo padre. Le colpe del padre erano ricadute sulla figlia e lei non riusciva a sostenere il peso di quell’orribile misfatto, anche se non ne aveva alcuna responsabilità. Provava un dolore fisico all’idea di abbandonare l’uomo che amava più di se stessa… ma non riusciva a sostenere quella situazione.
Durante una trasferta lavorativa di Roberto, impegnato nei suoi primi importanti concerti all’estero, Laura gli scrisse una lunga lettera di spiegazioni e di addio.
“Ti prego di rispettare la mia decisione e so che mi disprezzerai per il modo in cui ti sto lasciando… ma ti prego di non cercarmi più, perché ci faremmo solo del male. Ti ho amato tantissimo ma questo è un amore impossibile”, fu la frase con cui Laura concluse la sua missiva.
La lasciò in vista sul tavolo del soggiorno, poi abbandonò la casa dove aveva vissuto i momenti più felici della sua vita.
Quando Roberto tornò a casa, due giorni dopo, la lesse e comprese tutto. Si sentì crollare il mondo addosso.
I mesi che seguirono furono terribili. Laura si era trasferita a casa di una zia, in Umbria, dove avrebbe trascorso la sua gravidanza.
Roberto si era stordito con il lavoro, accettando tutte le offerte di conduzioni che gli si presentavano: era l’unico modo per soffocare il dolore di quella separazione. Nel suo intimo sapeva che tutto ciò non lo avrebbe aiutato a elaborare quella sorta di lutto… ma non si era ancora rassegnato a mettere la parola fine alla sua relazione con Laura. Aveva parlato con una loro amica comune, Eleonora, l’unica che fosse a conoscenza del luogo dove si era rifugiata Laura. La ragazza, leale per natura, aveva potuto solo riferirgli che Laura stava bene. Non gli rivelò dove l’amica si trovava e neppure che era incinta, senza il suo permesso… almeno per il momento. Era evidente che quest’ultimo argomento non poteva essere taciuto per sempre.
Roberto cercò di convincere Eleonora a farsi da intermediaria per un riavvicinamento: avrebbe rispettato la volontà di Laura ma voleva parlarle di persona per chiarirsi.
“Laura non è ancora pronta a incontrarti. Abbi pazienza , Roberto… un incontro in questo momento è prematuro”, fu la risposta di Eleonora, che fece sentire ancora più affranto Roberto.
Passarono i mesi e Roberto si convinse che non avrebbe mai più rivisto Laura, lasciando spazio alla rassegnazione.
Una sera di settembre Roberto si trovava a Milano per dirigere il concerto di fine estate nel cortile delle armi del Castello Sforzesco. Sul palco era disposta un’orchestra sinfonica di 70 elementi, pronta a dare inizio alla serata eseguendo i ‘concerti delle 4 stagioni’ di Vivaldi.
Era ormai buio e soffiava una pungente brezza dal sapore già autunnale.
Il pubblico aveva occupato tutti i posti disponibili nel parterre e le signore si stringevano nelle loro stole di lana.
Roberto entrò in scena accompagnato da un applauso, fece un cenno di saluto cercando di scorgere qualche volto noto… uno in particolare… ma non lo riconobbe… Si voltò verso l’orchestra, guardò gli strumentisti con orgoglio e, per un istante, il suo sguardo si soffermò sulla giovane e affascinante primo violino: non poté fare a meno di pensare a Laura in quel momento, convinto che avrebbe suonato magnificamente in quel ruolo… ma lei non era seduta lì… Durante quei mesi aveva ricevuto costantemente notizie da Eleonora sul conto di Laura ma la frase era stata sempre la stessa: “Laura sta bene e ora comincia a essere più serena”.
Il concerto fu un vero successo e quando Roberto uscì dal palco, per raggiungere le quinte, trovò una schiera di persone ad attenderlo per complimentarsi con lui. S’intrattenne con loro, grato per i calorosi riconoscimenti che stava ricevendo. Salutò le ultime persone e fece per andarsene, quando sentì una voce alle sue spalle.
“Ciao… sei stato bravissimo stasera e gli strumentisti ti hanno sempre cercato con gli occhi”.
Ciò che più deludeva Roberto in un’orchestra erano i musicisti che non lo guardavano in volto mentre dirigeva e c’era soltanto una persona a conoscenza di questo particolare: Laura.
Si voltò e la vide. Indossava un abito estivo blu, dalla vita alta, in stile Impero. Una sottile collana d’oro le ornava il decolleté, mentre i capelli sciolti le ricadevano morbidamente sulle spalle, incorniciandole l’ovale perfetto del volto. I suoi occhi nocciola dai riflessi verdi non erano mai stati così belli: Roberto vi scorse un’espressione dolcissima.
“Grazie, sei sempre gentile…”, le rispose impacciato “… e sei bellissima stasera… Come stai?”.
Vi fu un istante di silenzio imbarazzato tra loro poi Laura, con un gesto naturale, si accarezzò il ventre, attirando l’attenzione di Roberto.
“… ma tu… sei incinta!”, esclamò lui sorpreso, senza riuscire a distogliere lo sguardo dal ventre di Laura.
Lei sorrise di fronte allo sbigottimento di Roberto.
Lui, a quel punto, alzò lo sguardo e le rivolse un’espressione interrogativa.
Tutt’intorno era un continuo andirivieni di musicisti e tecnici, accompagnato da un costante brusio di sottofondo.
Laura e Roberto si guardarono negli occhi, apparentemente ignorando tutto quello che stava accadendo intorno a loro. In quel momento esistevano solamente loro due.
Laura prese con dolcezza la mano di Roberto e, avvicinandola a sé, fece appoggiare il palmo sul suo grembo. “È tua, Roberto… nascerà a gennaio”.
Lui prese la mano di Laura tra le sue e, accarezzandola, scosse la testa. “Perché non me lo hai detto subito? Volevo parlarti e ho cercato più volte d’incontrarti… Il nostro amore è possibile, Laura… e sono sicuro che lo desideri quanto me…”
Laura fece per divincolare la mano da quelle di Roberto, ma lui la trattenne.
“Ti prego, Laura: dammi la gioia di diventare mia moglie. Cominciamo una nuova vita insieme e lasciamoci alle spalle il dolore che abbiamo vissuto”.
Laura abbandonò ogni resistenza e gli rivolse un sorriso dolcissimo annuendo.
Dopo sposati Laura e Roberto continuarono a contare solo sulle loro forze, come se non avessero più alcun altro al mondo. Laura non volle più avere contatti con suo padre. Per lei era come se fosse morto.
UNA MUSICA DA FAVOLA
FINE
[Questo racconto è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in chiave fittizia. Qualsiasi rassomiglianza con fatti o località reali o con persone, realmente esistenti o esistite, è puramente casuale.
Foto gentilmente concessa da Mr. Sergey Karepanov (“il fotografo dei giardini” e uno dei più bravi fotografi naturalisti europei) – Jardins du chateau medieval de Picomtal (nel dipartimento delle Alte Alpi della regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra, Francia del sud).
Copyright ©2017-2018 Simona Maria Corvese.]