Tante storie magiche
Un po’ come Miss Marple di Daniela Perelli
Un po’ come Miss Marple di Daniela Perelli
La signora Dorotea Berti è una simpatica signora di ottant’anni che vive a Populonia, un paesino sito sul mare della meravigliosa Toscana. Vedova dal 1999, ha dedicato la sua vita ai suoi adorati gatti coltivando la passione per il cucito, la lettura, le partite a carte del sabato con le amiche di sempre e il suo piccolo giardino, che la rende tanto orgogliosa.
Ma c’è un’altra passione della quale non può proprio fare a meno: i pomeriggi seduta sulla sua poltrona preferita, con i suoi amati gatti, a guardare i vecchi film di Agatha Christie.
Suo marito, prima di morire, le regalò un videoregistratore e una cassetta contenente il film tratto dal romanzo ‘Dieci piccoli indiani’, il suo preferito in assoluto.
Da quel giorno collezionò tutti i capolavori della celeberrima autrice abbinando, così, l’amore per la lettura all’amore per questi capolavori cinematografici.
Sono le tre del pomeriggio, la signora Dorotea è seduta e sorseggia un bel bicchiere di menta fresca mentre guarda ‘Un delitto avrà luogo’. Nel momento cruciale del film il campanello che suona la riporta in maniera prepotente alla realtà. Mette in pausa, si alza un po’ scocciata, guarda dallo spioncino e apre la porta al postino che, come al solito, la guarda con aria sognante.
Nonostante i suoi anni è ancora una bellissima donna e tutti in paese si sono sempre chiesti come mai non si fosse mai rifatta una vita, ma a lei non è mai importato: è sempre stata, e lo è ancora adesso, felice così.
«Buongiorno miss Dorotea, come sta oggi?».
«Esattamente come stavo ieri, Alberto».
Il povero postino non se la prende più per le risposte un po’ brusche; sono anni che vanno avanti così. Oramai è abituato, ma non rassegnato all’idea di conquistarla.
Dorotea sa benissimo dei sentimenti che prova quest’uomo dolcissimo e vedovo come lei, anche perché, essendo suo coetaneo, è andato in pensione da un bel pezzo. Ma, avendo il nipote preso il suo posto e sapendo dei sentimenti dello zio per questa donna, lascia che sia lui a consegnarle la posta.
«È appena arrivata questa lettera per lei, ma non ha il mittente».
«Chi può essere così ineducato da scrivermi senza un recapito?», si chiede, evidentemente scocciata, «non importa: la ritiro comunque. Grazie e buona giornata».
«Di niente miss e buona giornata anche a lei».
E così si allontana, come sempre, triste e sconsolato.
Dorotea si siede nuovamente sulla poltrona, apre la lettera sempre più irritata dal non sapere subito chi la manda e la legge…
12 luglio 2015
Carissima Dorotea,
la aspetto il giorno 16 luglio 2015 alle ore dieci di fronte all’entrata del museo di archeologia.
Ho da consegnarle una cosa importante e mi raccomando di non parlarne con nessuno: è una situazione molto delicata.
Serena
La lettera le cade di mano e il suo sguardo diventa completamente assente.
«Serena? Sarà per caso…? No, non può essere, non ho sue notizie da anni! Eravamo due ragazzine». I suoi gatti la osservano curiosi mentre parla da sola.
Si alza, si dirige in camera e apre il cassetto del vecchio comodino, abbandonato da anni a se stesso.
Tira fuori una vecchia scatola di latta, oramai arrugginita, ed estrae delle foto. Le guarda e una lacrima le scivola sul viso mentre le accarezza con amore, proprio come fa sempre con i suoi adorati gatti.
Quanti ricordi di gioventù…
Serena era la sua migliore amica. Abitavano nella stessa palazzina ad Arezzo, erano compagne di classe, compagne di giochi e confidenti. Condividevano tutto; erano come sorelle.
Poi quel maledetto giorno…
Arrivò in classe prima della sua amica e la cosa la stupì molto. Serena era una studentessa modello e arrivava sempre quindici minuti prima per controllare i compiti. Ma non quella mattina.
Finite le lezioni si precipitò a casa sua e, non appena arrivò, vide due pattuglie della polizia e i genitori di Serena che piangevano disperati.
Il panico le mozzò il respiro: Serena era scomparsa nel nulla e da quel giorno nessuno più la trovò.
Dopo due anni dalla scomparsa della sua più cara amica si trasferì con i suoi genitori a Populonia, per il nuovo lavoro di suo padre, qui rimase e continuò la sua vita. Ma, il ricordo di Serena, la accompagna da sempre.
Legge la lettera almeno una decina di volte ancora e non può non pensare ad uno scherzo di cattivo gusto. Chi può essere tanto crudele? E poi: erano soltanto delle bambine allora! Chi altri può essere a conoscenza di questa triste storia?
«Basta pensare troppo! Devo venire a capo di questa faccenda».
Si prepara velocemente, per quel che la sua età le consente, esce di casa e si dirige determinata come non mai verso la biblioteca pubblica.
I suoi compaesani la osservano un po’ stupiti perché, essendo molto abitudinaria, non l’hanno mai vista fuori a quest’ora.
Non appena entra si ritrova davanti gli occhi sbarrati del signor Alberto che cerca invano di proferire parola, ma ottenendo solo un improvviso attacco di balbuzie.
«Miss… ma… ma… che… che… ci fate… qui? O meglio, sono felice di ve… vedervi, è so… solo che no… non me lo aspettavo, ecco!».
«Avete ingoiato una macchinetta?», risponde la signora Dorotea con una domanda, mettendolo così in ulteriore imbarazzo. Il mal capitato abbassa subito lo sguardo.
«Comunque, sono qui per fare alcune ricerche».
«Che tipo di ricerche, miss?».
«La scomparsa di una bambina avvenuta anni orsono».
«Ah, capisco». In realtà non capisce, ma non sa che altro dire. «Le servirà un computer. Sa come fare?».
La signora Dorotea lo osserva subito a testa alta con aria di superiorità, ma dura ben poco. Perché lei non ha la minima idea di come si usa un computer. Guarda ancora videocassette, santo cielo! Allora, sconsolata, emette un lieve sbuffo e ammette la sua totale incompetenza in materia. Deve lasciare da parte l’orgoglio per scoprire il possibile sull’amica più cara che abbia mai avuto.
«In verità non ne ho la più pallida idea».
«Allora, venga con me miss. L’aiuterò più che volentieri».
In questo preciso istante Alberto si sente come sospeso ad almeno un metro da terra.
Si siedono di fronte al computer e, sotto suggerimento della signora Dorotea su luoghi e date, cominciano un’accurata ricerca che però non li porta a molto se non che un particolare, di cui lei non è mai stata a conoscenza. Tra i sospettati, mai accertati però, esce subito fuori la foto della loro professoressa di italiano. Si chiamava Susanna Conti, ma essendo passati davvero tantissimi anni, la ricorda appena.
«Guardi Dorotea. Qui dice: “La professoressa Conti era indiziata perché si sospetta avesse del tenero con il padre di questa povera bambina. Purtroppo, non vi era alcuna traccia e, non avendo mai trovato Serena, il caso fu archiviato molti anni dopo”».
Alberto si gira verso Dorotea. «Non vorrei sembrarle invadente miss, ma posso chiederle come mai ha deciso di informarsi su questa triste storia?».
«Sa quella lettera che mi ha consegnato?».
«Sì, era senza il mittente».
«Ebbene, è firmata da Serena e dice che mi aspetta domani. Guardi, la legga!».
Il signor Alberto rimane di stucco.
«Forse è solo uno stupido scherzo, ma la prego di non andare a quell’appuntamento».
«Io devo andarci, devo capire. Lo devo a Serena. Lei era la mia più cara amica».
«In questo caso verrò con lei».
«No, assolutamente! Non è affar suo. L’ho già immischiata troppo in questa faccenda».
«Me ne starò in disparte, non si preoccupi. Non mi noterà nessuno. Da sola non la lascio; potrebbe essere pericoloso».
«E va bene».
***
Il giorno seguente la signora Dorotea si presenta all’appuntamento in perfetto orario, ma Serena ancora non si vede. Questo le fa capire subito che la lettera non è stata scritta da lei, perché la sua più cara amica è puntuale. Quando erano piccole e avevano un appuntamento non vi era nulla da fare: Serena arrivava sempre prima. Come a scuola, così era anche nelle situazioni frivole.
«Signora Dorotea?».
Si gira di colpo quando sente una voce femminile chiamarla e nota subito questa donna che si avvicina sempre più a lei.
È molto bella e assomiglia a Serena, per quel poco che la ricorda grazie alle foto.
«Sono io. Ma lei chi è? E perché mi ha mandato quella lettera?».
«Mi spiace, non era mia intenzione spaventarla. Mi chiamo Serena e sono la figlia della sua più cara amica. Mi ha dato il suo nome e lo porto con orgoglio. Mia madre è morta lo scorso anno, ma prima di andarsene mi ha chiesto di trovarla e consegnarle questo».
La donna le porge un braccialetto e Dorotea capisce subito: era il simbolo della loro amicizia! Entrambe ne avevano uno con un ciondolo che rappresentava l’infinito, perché la loro amicizia sarebbe durata per sempre.
«Io non so cosa pensare… era scomparsa e pensavo fosse morta già da molto oramai. Ma cosa successe? L’avevano rapita? E perché non si è mai fatta viva con me? Non so davvero cosa pensare!».
«Capisco e mi dispiace, ma non posso darle le risposte che cerca. Purtroppo, ci sono molti scheletri nascosti ma io… mi scusi, ma non posso stare qui a lungo, devo andare. La prego di accettare questo braccialetto, ma non mi faccia domande. Non posso aiutarla».
La signora Dorotea è davvero sconvolta, ma non si arrende.
«Lei non può piombare qui, lanciare questa bomba e andar via come se niente fosse. Ho il diritto di sapere cosa successe alla mia più cara amica!».
«Ascolti, può parlare con questa persona». Prende un foglietto e una penna dalla borsa e scrive sopra un nome e un indirizzo. «È tutto quello che posso fare per aiutarla. Davvero, mi dispiace, ma questa storia mi ha fatta soffrire per molto tempo e adesso che ho una mia famiglia voglio andare avanti e non pensarci più.
Rassegnata prende il foglietto, con le mani tremanti, e la osserva in silenzio. Continua a guardare la figlia di Serena anche mentre si allontana da lei, finché non decide di andarsene a sua volta.
Alberto si avvicina ma non dice nulla; capisce all’istante quanto sia turbata.
Tornata a casa invita il suo nuovo amico a prendere un caffè. Non che la cosa le faccia piacere, ma per buona educazione. In fondo è stato così gentile ad aiutarla.
«Prego, si accomodi signor Alberto, preparo un caffè».
L’uomo rimane di sasso: non si aspettava di certo un invito ma, felice ed emozionato, accetta di buon grado.
«Grazie miss, molto gentile». Si toglie il cappello e si siede.
«La ringrazio di avermi aiutata, ma da adesso in poi non la disturberò più. È un problema mio e mi sembra più che giusto sbrigare questa faccenda da sola. L’ho disturbata già troppo».
«Dorotea, non dica così. Per me è un immenso piacere aiutarla e non sa quanto sia dispiaciuto di vederla così provata». Alberto prende le mani della donna, che da tanto, troppo tempo ama in segreto, ma lei avvampa e le sfila via subito.
«Signor Alberto, la prego! Il suo gesto è stato davvero inopportuno. Ho capito benissimo le sue intenzioni, ma mi dispiace: non sono interessata. Il mio cuore non è libero, non tradirò mai la fiducia del mio defunto marito».
«Accettare la mia amicizia, perché è solo quello che le chiedo, non credo che dispiacerà a suo marito, anzi! Sono sicuro che gioirebbe nel saperla felice», dice Alberto emettendo un lieve sospiro, «non ho intenzione di prendere il suo posto, ma io provo molto affetto per lei e le chiedo solo di accettarmi e conoscermi, tutto qui. Poi potrà decidere e io rispetterò la sua scelta, lo prometto. Non insisterò più».
Dorotea lo ascolta, mentre gli versa il caffè nella tazza, ma sembra quasi indifferente alle sue parole.
«Adesso le va di raccontarmi cosa è successo?».
La donna non riesce a trattenere più le emozioni, si siede accanto a lui, sorseggia il suo caffè e comincia a raccontare dal principio non tralasciando particolari.
***
18 luglio 2015
Dorotea e Alberto si fermano con la macchina di fronte una grande casa appena fuori il centro di Siena. Il viaggio è durato circa due ore e finalmente sono arrivati a destinazione.
La signora, tremante anche per via dell’età che avanza, estrae il foglietto dalla borsa e controlla che l’indirizzo sia giusto.
Scendono dalla macchina, aprono il cancelletto attraversando il vasto giardino e suonano il campanello.
Quando la porta viene aperta si trovano davanti un signore che avrà sì e no i loro anni.
«Buongiorno, posso esservi utile?».
«Buongiorno a lei. In verità non saprei…», risponde Dorotea.
Il signore sembra visibilmente scocciato, ma a un certo punto il suo sguardo cade sul polso di Dorotea e la sua espressione cambia notevolmente.
«Dove ha preso quel braccialetto? È identico a quello della mia defunta moglie».
La donna si guarda subito il polso d’istinto, poi i suoi occhi tornato verso l’anziano signore.
«Ma allora, lei è il marito della mia cara Serena».
«Sì, ma chi è lei e cosa volete?». Si rivolge anche ad Alberto, che imbarazzato non sa cosa dire.
«Ieri ho incontrato sua figlia e mi ha dato questo bracciale. In tutti questi anni ho sempre pensato che Serena fosse morta e invece… ma cosa è successo? La prego, ci faccia entrare, lei è l’unico che può parlarmi di quello che è accaduto».
«La figlia di Serena non è davvero mia figlia».
Dorotea e Alberto si guardano perplessi.
«Vi concedo qualche minuto per raccontarvi quel che so, anche se non è molto».
Il signor Anselmo li fa accomodare e comincia a raccontar loro di quanto in realtà la sua adorata moglie, che lui ancora ama più della vita stessa, sia sempre stata restia a raccontare il suo passato. Lui però pensava fosse solo perché la faceva soffrire troppo.
Serena aveva avuto questa figlia con un altro, di cui il signor Anselmo non conosce il nome e mai lo ha voluto sapere. Ha cresciuto la bambina come se fosse sua ma, con il passare del tempo, il rapporto tra di loro si raffreddò perché la giovane, oramai donna, scoprì che non era il suo vero padre.
«Per tutti questi anni ho creduto che Serena fosse morta giovanissima. Da quel giorno in cui scomparve non ho saputo più nulla di lei. Solo pochi giorni fa, dopo che ricevetti la lettera di sua figlia, mi recai in biblioteca per fare alcune ricerche. Il caso fu archiviato molti anni dopo e l’unico sospetto ricadde sulla nostra insegnante che si vociferava avesse una storia con il padre di Serena».
L’oramai provato signore si prende la testa tra le mani e comincia a singhiozzare.
Che sappia più di quel che dice?
Alberto si siede accanto e gli appoggia una mano sulla spalla per rassicurarlo. Dorotea non si arrende però: deve scoprire la verità.
«Io ho il sospetto che lei sappia tutto. L’ho capito dal momento in cui ho nominato l’insegnante… La conosceva per caso?».
L’uomo solleva la testa e accenna un timido sì con la testa.
«Era mia sorella maggiore».
Dorotea rimane di sasso! Questa situazione ha veramente dell’incredibile ed è più intricata di quel che sembra, ma vuole a tutti i costi venirne a capo.
«È vero che sua sorella aveva una relazione con il padre di Serena?».
«Sì, purtroppo è vero».
«E può essere che la mia amica avesse scoperto questa squallida tresca?».
Dorotea si alza dal divano e, come la sua eroina Miss Marple, comincia a scavare più a fondo per scoprire i colpevoli di tutto.
«Sì, li ha visti baciarsi».
«Credo di cominciare a capire, ma continui lei. Ho il diritto di sapere cosa successe alla mia più cara amica».
Anselmo fece un profondo respiro e cominciò a raccontare.
«Mia sorella disse al suo amante che Serena li aveva visti, così lui spaventato per le conseguenze decise di troncare subito la loro relazione. Ma a mia sorella non andò giù la cosa».
«Ricordo che era piuttosto testarda e cocciuta come insegnante. Vada avanti».
«Quella mattina, in cui Serena scomparve, lei aveva qualche ora libera, aspettò Serena in un angolo poco trafficato sapendo che sarebbe passata di lì per andare a scuola, la prese e la portò via. Per qualche giorno la tenne nascosta in una cascina poco lontana, che apparteneva da anni alla nostra famiglia. I genitori di Serena erano disperati. Io ero solo un ragazzino allora e mi ricordo che passai con la bici proprio quel giorno. La polizia era lì e vidi anche lei signora Dorotea. Mi sentii in colpa per giorni, ma poi decisi di andare dal padre di Serena e raccontargli tutto. Lui andò a riprendere sua figlia e minacciò mia sorella di andare alla polizia, ma la mamma di Serena, una volta scoperta la cosa, non volle. Erano altri tempi, in cui lo scandalo era troppo forte da affrontare e superare. Così scapparono via, dove nessuno poté più trovarli e nessuno seppe più niente di loro».
Dorotea è palesemente sconvolta da questa rivelazione, ma cerca di non darlo a vedere.
«E poi cosa successe? Come è possibile che lei e Serena siate diventati una coppia?».
«Destino, puro e semplice. Io e mia sorella non ci siamo più visti perché si trasferì in un’altra città. I nostri genitori la ripudiarono. L’ho rivista solo qualche anno fa, prima che morisse. Volevo perdonarla e lasciarla andare via in pace. Serena si sposò giovane con un uomo che però la abbandonò quando la loro bambina era ancora molto piccola. La incontrai per caso e dopo un inizio un po’ incerto ci siamo innamorati. Ero il suo eroe! Mi diceva sempre… Ma io non credo, era lei la vera donna forte!».
«Ora mi è tutto più chiaro. Non so però se riuscirò mai a perdonarla di non avermi mai fatto avere sue notizie».
Anselmo si alza e va incontro a Dorotea.
«Mi parlava sempre di lei, sa?».
Dorotea lo guarda con gli occhi gonfi di lacrime.
«Voleva rispettare quella che allora era stata la decisione di sua madre di perdonare suo padre e non far sapere mai a nessuno tutto ciò. Lei non era così, era una donna sempre sincera e leale che apprezzava le verità anche quando erano dolorose, ma voleva troppo bene a sua madre e rispettava il suo silenzio e il suo dolore. Era una grande donna».
Lo era davvero, pensa Dorotea.
«La ringrazio molto per il suo tempo».
«È stato un piacere e poi parlarne mi ha aiutato».
«Prima di andare via però le chiedo un’ultima cosa».
«Ma certo, chieda pure».
«Parli con sua figlia. Non sarà sangue del suo sangue, ma poco importa. È stato lei a crescerla ed è giusto che sistemiate i rapporti tra di voi. Avete bisogno l’uno dell’altra. Me lo prometta».
«Glielo prometto».
E fu così che la signora Dorotea Berti passò qualche giorno come la sua amata Miss Marple con il cuore colmo d’amore per avere almeno con sé il ricordo della sua più cara amica che mai l’aveva dimenticata. E poi… riscoprì l’amore grazie ad Alberto.