Tante storie magiche
Sotto lo stesso cielo
Sotto lo stesso cielo
di
Daniela Perelli
Mi chiamo Angelica e vivo a Populonia, una piccola cittadina che si affaccia sul mare della Toscana, ormai da dieci anni. Anni passati in un soffio a condurre una vita semplice.
Possiedo un piccolo negozio di Souvenir sito nella via principale. Dopo il diploma, conseguito sette anni fa, ho pensato fosse una scelta giusta e così anche mia nonna Ginevra, che mi appoggiò appieno finanziando e partecipando attivamente a questo progetto. Gestiamo la nostra piccola attività con orgoglio, perché legate alla nostra terra d’origine. Per me poter continuare a vivere qui, nel mio piccolo mondo, la mia piccola nicchia, è troppo importante. Solo così posso continuare a proteggere il mio cuore che ancora sussulta per quell’amore lontano e non ricambiato.
Vi starete chiedendo come questo forte sentimento sia nato, e io sono qui per raccontarlo, perché parlarne mi aiuta. E poi che belli i ricordi… Mi sono rimasti solo quelli!
Preferisco pensare a lui, a Timothy, come al bambino e poi al ragazzo che era, e non all’uomo che è diventato.
Tutto cominciò ventisei anni fa, un anno prima che io e colui che mi ha rubato il cuore per sempre nascessimo. Ebbene sì!
Mia madre Anna e Audette, la madre di Timothy, erano solo due ragazze, la prima volta che il destino decise di farle incontrare. Era bastato un solo sguardo tra loro ferme al semaforo di Oxford Street, via molto trafficata di Londra, impazienti di attraversare, per capire che non avevano nulla in comune. Forse solo l’età…
Audette, con il suo tailler raffinato da giovane avvocatessa altezzosa qual era. Anna, con il suo maglione di qualche taglia in più e le scarpe da ginnastica… Si erano guardate entrambe con disappunto. Sorrido ancora, ogni qual volta la mamma mi racconta questa storia. Non mi stanco mai di ascoltare come è nata la loro amicizia. In quel momento non sapevano di certo come la loro vita sarebbe cambiata.
Il semaforo divenne finalmente verde, Audette fu la prima a spostare il suo sguardo di disappunto su mia madre per attraversare e… Accadde tutto in un attimo…
Una macchina perse il controllo e, nel sentire lo stridere sull’asfalto della forte sgommata, mia madre non ci pensò più del dovuto: corse verso Audette e la spinse forte. Insieme caddero sul marciapiede sull’altro lato della strada. Le altre persone ferme, immobili e sicuramente nella loro mente pregavano e ringraziavano tutti i santi del cielo per non aver attraversato la strada qualche secondo prima, come invece aveva fatto Audette non appena il semaforo era scattato. Questo è sempre stato il pensiero di mia madre, dopo essersi guardata intorno e nel vedere tutti quegli occhi puntati su di loro, sdraiate a terra una sopra l’altra.
La macchina infine riuscì a frenare, e per fortuna non ci fu nessun ferito. Tutto era andato bene e il traffico proseguì come se nulla fosse accaduto. Tutto tornò alla vita di sempre, per gli altri…
Solo loro, in quel momento, aiutandosi ad alzarsi da terra, percepirono che qualcosa era cambiato: divennero amiche.
Due ragazze così diverse: una sobria Audette che viveva in una lussuosa villa di Nottingh Hill, una esuberante Anna che viveva in un piccolo appartamento di Camden Town. Una giovane e promettente avvocatessa. Una commessa in uno strambo negozio… Un’amicizia che, seppur lontane, ancora oggi dura.
Solo un anno dopo entrambe diedero alla luce due pargoletti. Lo stesso identico giorno! Il dieci gennaio del 1990, una femmina e un maschio. Io e Timothy.
Ogni giorno che passava, ogni settimana, ogni mese e ogni anno, la loro amicizia diventava sempre più forte: mia madre, una volta cominciato l’asilo entrambi, veniva a prendermi all’uscita, la madre di Timothy faceva lo stesso con lui, e poi si incontravano al parco. Un parco che era la giusta via di mezzo tra Notting Hill e Camden Town, che non facesse sentire a disagio me in mezzo a tanti piccoli bambini con vestiti molto costosi, o che non facesse sentire a disagio Timothy, tra bimbi che invece, troppo spesso, portavano calzini spaiati.
Eh già, quella era, ed è ancora adesso, una vera amicizia, in cui vige il rispetto della vita e delle idee altrui. Se tutto fosse rimasto così bello e perfetto, se quella piccola e innocente amicizia tra me e Timothy non fosse cambiata man mano che crescevamo, e una volta diventati adolescenti. Se lui non fosse diventato così bello e premuroso nei miei confronti. Se quel giorno in cui mia madre scoprì che mio padre l’aveva tradita con una ragazza più giovane di lei, e non avesse deciso di tornare qui, a Populonia, nostra terra d’origine, a casa della nonna. Se Timothy, il giorno della partenza non mi avesse detto: «Angelica, potremmo prometterci che, non so, magari… Un giorno saremo di nuovo insieme, tu e io. Con la nostra amicizia, oppure… Non ti nego che sto cominciando a provare sentimenti più forti per te. La tua vicinanza, il tuo contatto, mi confondono molto… E adesso te ne andrai…»
“Chissà ora come sarebbe stato!”, penso.
Avevo ascoltato quelle parole con il cuore che batteva fortissimo, avrei voluto dirgli che anche io provavo qualcosa. Che lo amavo, a dire il vero. Ma non avevo potuto. Faceva troppo male.
«Angelica», aveva continuato poi Timothy, «ti prometto che un giorno verrò in Italia. Realizzerò il mio più grande sogno, diventerò qualcuno, e ti porterò via con me. Mi aspetterai?» mi aveva domandato, infine. Gli avevo sorriso. «Sì, ti aspetterò» avevo poi risposto. E infine ci eravamo baciati. Il primo bacio di entrambi. Non lo dimenticherò mai…
Oggi Timothy è diventato davvero qualcuno, è un cantante molto famoso e conosciuto, soprattutto in Inghilterra, la sua terra. Ma non ha mantenuto quella promessa. Non è mai tornato da me. Ci siamo scritti molte lettere per i primi mesi di lontananza, poi sempre meno, e poi più nulla. Solo qualche telefonata, o messaggio, visti i suoi numerosi impegni, e nulla più. Ma di cosa mi stupisco, in fondo? Davvero credevo alle parole di un ragazzino di soli quindici anni? Lui è andato avanti, e io dovrei fare lo stesso, ma se continuo a seguire alla tv il gossip su di lui, i suoi concerti, quell’aria sempre un po’ strafottente che riserva ai giornalisti… Non è più lui! Mi faccio del male da sola, lo so, ma non riesco, non posso dimenticarlo!
E così è cominciato tutto. Mia madre ora non vive più qui con me, si è trasferita a Siena. Ha conosciuto un brav’uomo e si è innamorata. Lavora nella sua agenzia immobiliare. Io sono tanto felice per lei, ha sofferto molto il tradimento di mio padre. Lo sento al telefono ogni tanto, è rimasto a Londra. Nonostante il tentativo di mia madre nel farmi credere che eravamo venute via da lì per stare vicine alla nonna, ormai sola, io sentivo che c’era qualcosa. Poi ne ho avuto la conferma crescendo, quando mia madre cominciò a essere sincera e nel dirmi il vero motivo del nostro ritorno in Italia. Sono felice però di vivere qui a Populonia con la nonna. Sono felice di come vanno le cose per il nostro piccolo negozio, grazie al turismo. Sono felice della mia vita semplice, ma non chiedetemi di dimenticare Timothy, quello non posso farlo.
«Angelica, amore» sussurra mia nonna, mentre mi accarezza una spalla ridestandomi dai miei pensieri.
«Ciao nonna.»
Mi sorride.
«Sempre lui nella tua testolina, non è vero?»
Non le si può di certo nascondere nulla!
«Stavo solo ricordando a com’era averlo come amico.»
«Sei una giovane donna così bella e solare, i corteggiatori di certo non ti mancano! Sai, per quanto sia romantico ciò, in fondo nella mia vita c’è stato solo tuo nonno, non avrei desiderato altri e per questo ti capisco, il fatto di vivere un amore solo nella tua mente non ti permette di guardarti intorno. Forse là fuori, da qualche parte, c’è la tua anima gemella. Così facendo rischi di non incontrarla mai…»
«Nonna, non devi preoccuparti, so benissimo che un giorno molto probabilmente mi innamorerò, sono solo pensieri. Sono felice, amo la mia vita, davvero» affermo cercando di convincere anche me stessa. La nonna mi sorride e mi accarezza una guancia, prima di allontanarsi lasciandomi di nuovo assorta nei miei pensieri. La capisco benissimo in fondo, e devo dire che spesso risulto anche un po’ strana agli occhi delle mie amiche, che non si capacitano di come io possa pensare ancora a lui. Un tizio che potrò solo immaginare, per sempre… Perché per loro poco importa se io e Timothy siamo nati e cresciuti assieme, se abbiamo vissuto il nostro primo bacio e mi ha promesso di portarmi via con lui, un giorno. Lui non è più quel ragazzino, lui ha realizzato il suo sogno ed è diventato un personaggio noto, che non ha di certo più il tempo di pensare a ridicole promesse. Sempre che ricordi ancora quelle promesse…
Solo un mese fa, quando ormai io e Timothy avevamo smesso di scriverci delle lettere già da diverso tempo, lettere in cui fiero mi raccontava la sua nuova vita, ho ricevuto un messaggio sul cellulare che diceva: “Ciao Angelica, come stai? Il mese prossimo sarò in Italia per una breve tournèe estiva. Verrò in Toscana, il dieci di luglio, a Siena. Se ti fa piacere venire al concerto, ti invio un biglietto. Anche per i tuoi amici, ovviamente. Fammi solo sapere in quanti siete. A presto, un bacio.”
Avevo guardato il messaggio esterrefatta… “Un concerto qui in Toscana e non ne sapevo nulla? Certo che no, da molte settimane ormai mi sono imposta di non seguire ogni suo passo alla tv, ogni più piccolo pettegolezzo su di lui. Almeno questo! E poi no, non andrò al suo concerto. Viene dalle mie parti e la prima cosa a cui pensa invece di venirmi a trovare è invitarmi al concerto? No, non posso, non lo posso vedere. Se lo vedo è la fine!”, avevo pensato. Mi ero inventata una scusa.
“Ciao Tim, sono felice che le cose stiano andando così bene. Come sempre, ti seguo, ormai sei diventato una vera star. Verrei volentieri, ma purtroppo non posso assentarmi dal negozio. Con il turismo, teniamo aperto il negozio anche la sera. Grazie dell’invito, ti guarderò alla tv. Un bacio.”
Avevo riposto immediatamente.
“Peccato, mi avrebbe fatto piacere abbracciarti dopo il concerto. Spero ci saranno altre occasioni.” Freddo e distaccato. Dov’era finito quel dolce ragazzino, così premuroso? Non vi è più traccia, ha lasciato il posto all’uomo che è diventato, e che sembra tenere alla nostra amicizia in modo molto, troppo superficiale. Quelle brevi ma piacevoli telefonate, in cui mi parlava dei suoi studi, della scuola di canto, della possibilità che gli era stata offerta partecipando a un famoso talent show. Io, in cui gli parlavo della mia vita qui, dei miei studi conseguiti ottimamente e del negozio aperto con mia nonna. Pensieri, sensazioni, emozioni. Parole come “mi manchi” o “vorrei abbracciarti”. “Ci rivedremo presto”… e intanto sono passati dieci e lunghi anni.
Oggi è proprio il giorno del concerto, ho lo stomaco in subbuglio: è già sera e sono in negozio. La nonna seduta vicino al banco mi osserva. La piccola televisione a colori di fianco alla cassa è accesa. Non appena Timothy sale sul palco il mio cuore comincia a battere fortissimo. Avevo già visto un suo concerto e tutto sommato era stato sopportabile per il mio cuore. Poi è bravissimo, è un artista incredibile e sono orgogliosa di lui. Questa volta però, sapere che è così vicino, non essere andata da lui, è un peso troppo grande da sopportare. Ho sbagliato, me ne rendo conto. La clientela che entra nel negozio per acquistare i souvenir è rapita dalla musica di sottofondo, molti si sporgono anche un po’ per vedere a che punto è il concerto del loro cantante preferito. Le ragazzine con aria sognante… Certo, è bellissimo! Moro, occhi scuri, alto, un fisico statuario. Io invece sono piccolina, bionda e, nonostante vivo in un posto di mare, ho la pelle diafana con spruzzate di lentiggini ovunque. Sospiro, mentre incarto gli ultimi souvenir prima di apprestarmi a chiudere il negozio, dando un’occhiata fuori al cielo stellato che mi rende ancor più malinconica. Lo guardavamo spesso da bambini sdraiati sul prato del suo bel giardino di Notting Hill.
«Bambina, perché non sei andata? Avremmo potuto anche tener chiuso per una sera.»
«No nonna, è meglio così. Ormai non siamo più quei ragazzini, e poi non ci vediamo da dieci anni. Dieci anni!» scandisco per bene, «Ti rendi conto?»
«Certo che me ne rendo conto, eppure, non so, il fatto che ti abbia invitata…»
«Nonna, per favore…»
Alza le mani in sogno di resa. «Va bene, come non detto! Ora andiamo a riposare, su.»
Il giorno seguente ci metto un po’ a convincere la nonna a stare a casa, almeno la mattina, per dormire un po’ di più. Comincia a essere anziana, e non mi va che stia tanto in negozio. Stranamente acconsente.
Come ogni giorno sollevo la saracinesca, giro il cartello appeso alla vetrina dal lato “aperto” e mi appresto a cominciare una nuova giornata. Con questo bel sole c’è poco movimento per la via, molti turisti sono nelle spiagge e, non da meno, gli abitanti del luogo. Populonia è una piccola frazione, una cittadina che pare incantata: le piccole spiagge nei dintorni sempre verdi sembrano dune e a contatto con il blu del mare creano uno scenario da mozzare il fiato. Sorrido sempre al pensiero della mia terra, delle mie meravigliose radici. Solo il suono del campanello posto sopra l’ingresso, stranamente direi visto che la logora porta del negozio è spalancata e non può averlo scontrato facendolo suonare, mi ridesta. Alzo il viso e il mio sorriso si spegne.
Timothy è proprio di fronte a me, la cordina del campanello fatto suonare di proposito, in mano.
«Perché hai smesso di sorridere? Eri bellissima, Angi.»
«Tim, ma, che ci fai qui? Non mi aspettavo…»
Mi viene incontro e io, di riflesso, esco da dietro il banco della cassa. Ora siamo di fronte, uno all’altra.
«Come che ci faccio qui? Secondo te venivo in Toscana e non passavo a trovare la mia migliore amica?»
Lo guardo, è così bello… Vederlo nelle foto dei giornali o in tv non gli rende giustizia.
«Mi dispiace di non essere venuta ieri sera, dovevo…»
«Dovevi lavorare, sì, lo so, me lo hai detto» risponde un po’ impettito e poi continua, «Sai Angi, non credevo che avremmo fatto passare dieci anni prima di rivederci. Il fatto è che, non so, correggimi se sbaglio, man mano che il tempo passava ti ho sentita sempre più distante. Tu sapevi tutto di me, della mia vita, potevi seguirmi anche se non lo sapevo. Mi hai visto crescere, diventare un uomo. Conoscevi già il mio aspetto prima di oggi…» termina mentre si passa una mano sul viso e sospira.
«Il tempo è volato via Timothy, non è colpa nostra. Né tua, né mia. Succede, ma non per questo siamo meno amici.
Fa ricadere la mano sul fianco e mi guarda negli occhi. Sento un brivido lungo la schiena.
«Non mi hai mai inviato una tua foto, non sapevo nulla di te, se non qualche accenno. E ora ti guardo e penso che sei ancor più bella di quello che mi aspettavo. Ancor più bionda e con gli occhi ancor più luminosi e intensi, nonostante la malinconia che vi leggo.»
Ci osserviamo in silenzio ancora per qualche istante.
«Perché non sei venuta al concerto? Perché in questi anni ti sei allontanata da me così?» continua.
Ora sono davvero stupefatta!
«Tim, non sono io a essermi allontanata, tu hai cominciato a scrivermi sempre meno. Tu non mi hai mai chiesto una mia fotografia! Tu sembravi cambiato, sembravi freddo! Tu mi avevi promesso che saresti tornato e mi avresti portata via con te!» quasi urlo disperata l’ultima frase che mai avrei voluto pronunciare, ma le parole sono uscite da sole, incontrollate. La sua espressione cambia, si colma di infinita tenerezza.
«Non c’è stato un solo giorno in cui non ti abbia pensata. Abbiamo sbagliato entrambi, è vero. E poi la mia carriera mi ha travolto come un treno in corsa. Ho sbagliato, lo so. Ma so anche che ho sempre aspettato un tuo cenno, un qualcosa che mi facesse capire che mi pensavi ancora…»
Sento i miei occhi diventare lucidi.
«Io ti ho sempre pensato, ogni giorno…» gli sussurro.
Mi prende il viso tra le mani e mi posa un dolce bacio sulla bocca. Ricambio ma tremo per l’emozione, e lui lo stesso.
«Vieni con me» sibila, staccandosi controvoglia e molto lentamente dalle mie labbra.
«Ma Tim, non posso, il negozio! Se entra qualcuno…» dico con un sorriso complice.
«Non ci allontaneremo, voglio solo uscire un momento qui fuori.»
Lo seguo confusa e curiosa allo stesso tempo.
Si ferma proprio di fronte alla vetrina, al centro della via. Le poche persone che passano ci guardano curiose e anche un po’ divertite. Sicuramente lo avranno riconosciuto!
Siamo nuovamente uno di fronte all’altra.
«Solleva il capo Angi e guarda il cielo» mi dice sicuro di sé. Mi porto una mano alla bocca per trattenere un sorriso.
Lo faccio, guardo il cielo e lui sembra fare altrettanto. Continuo a bearmi della limpidezza di quell’azzurro puro, mentre due mani forti ora mi stringono la vita. Sento il suo respiro su di me.
«Lo vedi com’è bello, Angi? È sempre lo stesso cielo! Non importa quanto siamo lontani, non importa dove siamo. Perché noi due, la nostra amicizia, il nostro amore, sarà sempre sotto lo stesso cielo…»
Ora lo guardo negli occhi umidi di lacrime: tutto è così chiaro e limpido, proprio come il cielo sopra di noi. Ogni tanto sarà limpido come oggi, ogni tanto grigio e cupo, o marchiato da lampi e fulmini, ma sarà sempre lo stesso. Nulla cambierà.