Tante storie magiche
Senza un perché
Senza un perché
Di Franca Caiano
(Brano tratto da un racconto pubblicato nel 2014 nella raccolta UNA STORIA MAGICA)
Seduto sull’erba fresca, la schiena appoggiata contro il ruvido tronco di una quercia, Alessio era rimasto lì, accovacciato, a riflettere fin dalle otto di mattina. Lo sguardo malinconico ma fiero si allargava sull’intrico di piante selvatiche che da sempre lo incantavano. Pareva impossibile che in una sola foglia si concentrassero le più intriganti sfumature che andavano dal rosso vivo a un verde intenso per fondersi in un giallo ramato. Allungò una mano e ne raccolse una arrotolata su se stessa. Lentamente ne dilatò i bordi per distenderla e la sentì fremere come ferita, ne assaporò il profumo, poi passò l’indice sui colori chiedendosi se sarebbe mai riuscito a riprodurre su una tela quella tale meraviglia.
Quel giorno la scuola era l’ultimo dei suoi pensieri. Nelle precedenti ventiquattr’ore aveva litigato più o meno con tutti. Si sentiva incompreso. Persino Gaia, la sua ragazza, si era rifiutata di andare in discoteca con lui la sera prima. Doveva studiare! Che scusa banale. Va
bene l’esame di maturità, ma lui avrebbe dovuto essere più importante di tutto e di tutti. Invece la scuola e gli studi venivano sempre al primo posto, glielo diceva sempre suo padre che si sforzava di farglielo entrare nella testa con le buone e con le cattive. Per questo era sempre piuttosto malconcio e dolorante. Era successo anche quel mattino e la camicia a manica lunga, i jeans e un berretto con visiera servivano proprio a coprire parzialmente gli occhi e tutto il resto. Ma i rimproveri riuscivano solo a sortire l’effetto contrario e a fargli detestare anche le più semplici regole. Il suo sogno era diventare pittore. Questo pensiero illuminò per un attimo i suoi occhi e cominciò a fantasticare fino a quando spossato per la notte insonne si addormentò. Il berretto si spostò lateralmente scoprendo un orecchio tumefatto, mentre la foglia che stringeva tra le dita scivolava a terra. Una bomba d’acqua lo svegliò bruscamente. Erano passati solo pochi minuti. Lo sconquasso che ne seguì lo svegliò del tutto. Raccolse lo zaino e a passi svelti s’inoltrò nel bosco, in un punto preciso, dove sapeva di trovare un rifugio.
Il cielo greve di nuvole manifestava tutto il suo livore. Un albero secolare scricchiolando urlò la sua rabbia e i suoi rami, spezzati dal vento, si accumularono in una fantasiosa catasta sprizzando scintille. L’incendio si propagò e in pochi minuti il bosco fu lacerato da altissime lingue di fuoco, insaziabili. Il grido straziante di un uccello riempì l’aria portando scompiglio e terrore tra gli animali che cercarono rifugio nel profondo delle loro tane. Con un ultimo acuto l’uccello sentì che il collo si
spezzava e le ali non lo sorreggevano più. Esalò l’ultimo respiro infilzandosi in un rovo.
La scritta di «benvenuto» intagliata nello zerbino all’ingresso della baita contrastava con l’aspetto fatiscente della casupola che necessitava di una tempestiva opera di ristrutturazione.
Anche i mobili e le suppellettili rivelavano i segni del tempo. Sui muri scrostati l’umidità aveva lasciato una traccia giallastra e il pavimento in legno mostrava alcuni listelli consumati e scheggiati. La luce soffusa di una lampadina penzolante dal soffitto lasciava intravedere un lettino incastonato in una cameretta dove un armadio a due ante accoglieva tutto l’abbigliamento e la biancheria della casa. L’unica nota colorata era rappresentata da una tendina che tentava con scarsi risultati di vivacizzare l’ambiente esibendo disegni fantasiosi dove farfalle e api si rincorrevano o riposavano sui fiori. Un cellulare di ultima generazione e un portatile posati sul tavolo della cucina erano l’unica nota moderna nell’ambiente circostante.
Chiudendo la finestra della cucina, Anna si sentì pervadere da quella malinconia che ormai non lasciava più spazio alla naturale leggerezza intrinseca alla sua giovane età. La pioggia sfiorava i vetri formando lunghe e sottili strisce d’acqua che intrecciandosi si gonfiavano e si rincorrevano in rigagnoli informi. Così i suoi pensieri e il suo volto che si rispecchiavano nell’ambiente esterno.
«Dov’è quel disgraziato di tuo figlio?» Gigi era furibondo.
«È anche Tuo figlio!» Schiacciata contro la parete, Lucia, cercava di schivare i pugni e di farlo ragionare. «Ascoltami, una buona volta. Andiamo a cercarlo, prima passiamo dalla scuola poi parliamo con gli amici.»
«È tutta colpa tua, lo difendi sempre.» All’improvviso l’uomo parve calmarsi e, girandosi su se stesso, uscì sbattendo la porta. Lucia tentò qualche passo, ma fu sopraffatta da una fitta al fianco e si lasciò scivolare a terra. Da tempo si domandava in cosa aveva sbagliato con i suoi due figli Alessio e Anna. Il primo, come molti diciassettenni, era sempre pronto a sfidare l’autorità del padre che, non riuscendo a sottometterlo a parole, lo fronteggiava a furia di sberle. Invece Anna, delicata e sensibile, a ventidue anni aveva preferito rifugiarsi in un tugurio piuttosto che subire un padre tiranno.