Tante storie magiche
L’amore fra le pagine di un libro
La notte era tiepida. Un colpo di vento sollevò la tenda e lasciò passare qualcosa: uno spirito, un pensiero, un amore lontano. Qualcosa si insinuò silenzioso nella casa e vagò fra stanze buie, sino a raggiungere l’unica luce accesa: quella del frigo. Miriam appariva come un piccolo fantasma a piedi nudi vestito di una lunga – e vecchia – maglietta bianca; illuminato dalla luce che fuggiva attraverso lo sportello aperto. Strizzava pensosa il tubetto della maionese, voleva averla vinta sull’ultimo residuo di crema. Osservando con cura sospirò: “Finita!” si disse: la maionese e pure la sua relazione. Quattro anni nel vento: bye bye. Poteva uscire a comprarne altra, in vetro o in tubetto, poteva prepararla da sola con uova, olio, sale e limone, aceto per alcuni. “Finita!? Ma che senso ha? Che vuol dire?” Le cose cambiano improvvisamente. Si cambia strada, mutano i bisogni, si interrompono le magie. Arriva un momento in cui dal cilindro non escono più conigli bianchi, né bandierine, né fiori finti. Ci si toglie il mantello, lo si ripone nella valigia del mago. Si parte non senza un inchino e un sorriso. Senza biglietto e, spesso senza meta si va via strizzando l’occhio alla malinconia velata che presenzia ogni partenza. Sfilare le radici da una terra divenuta deserto e partire, cercare uno spazio fertile dopo aver guardato ancora una volta nel pozzo delle paure; quel buco lastricato di bisogni. E in quello sguardo ricambiato, il punto di partenza per un viaggio solitario. Alla ricerca di un pozzo che disseti la nostra vita. “Si aggiunge, non si lascia!”. Piccolissime particelle liquide dell’altro resteranno insolubili in noi. Modi di fare, modi di dire, essenza, ricordi non ricordati ci accompagneranno. “Basta con questa filastrocca!”. Ebbe un moto di stizza verso sé stessa e prese a scacciare via, come una mosca dalla fronte, quei pensieri che le rendevano pesante la maionese a quell’ora della notte. “Non posso mica passare la vita a fare analisi, mettere etichette e fare archivi puliti e logici… si! Magari con qualche spruzzo di candeggina o una mano di vernice rosa qua e là. Rinominare, ritoccare, ripulire, rimodellare,e bla bla bla… Ricominciare. Ho il polso stanco a furia di combattere per separare le acque con il pettine!”. Un brivido le attraversò la schiena, freddo. Meglio chiudere la finestra.
Il vento si era fatto insistente, a tratti ululava, e il mare cominciava a rispondergli in un canto di tempesta. Il faro, impassibile, dava i suoi quattro colpi di luce per poi concedere qualche secondo al silenzio del buio. Indossò le cuffie. Scorse titoli e titoli di canzoni. Anima fragile partì a volume basso nelle sue orecchie. – … e la vita continua anche senza di noi – cantava a squarciagola.
Fogli abbandonati accanto al PC sembravano fissarla. Piroetta e linguaccia, continuò a cantare. Dati su dati, un’infinita raccolta di numeri e informazioni: Come ti chiami? Da dove chiami? Chi ami? Si sedette sulla tazza. Quanta acqua bevi? Quanta pipì fai? E il sale? E poi ti sale il brivido di freddo e ti scappa la pipì.
Bisogna avere un’opinione, un pensiero per ogni circostanza: Sì, vado al circo con Costanza! Devi trovare il tuo posto nel mondo! “Si si, aspetta che cerco la pecetta col mio nome!”, blaterava Miriam girovagando per casa. Vide la sua immagine riflessa in un vetro. Forma. Peso forma, tieniti in forma, conta la forma, forma con queste parole una frase. Formatta la forma che informa sui contenuti che vuoi mostrare: pochi, tutto il resto è tuo, solo per te. Stampo per torte. Era arrabbiata con sé stessa, con la sua incapacità di riconoscere le sue priorità e nominarle, guardare le paure e dichiararle. Era incazzata per non aver saputo salvare la propria anima dai compromessi, per essersi accontentata pur di non fare i conti con lo specchio, pur di non vedere la sua parte distruttiva riaffiorare e farsi strada attraverso i rovi delle sovrastrutture come un animale selvaggio, ma libero. L’amore le appariva come uno schema. Un incontro, la scelta di piacersi, o la casualità per chi la preferisce (Miriam continuava a farsi scegliere), l’alchimia e per ultima l’affinità, solo per i più fortunati o meglio forniti. Talvolta le storie rimanevano bozze, ed erano le più belle: immacolate, cristalline e intatte come avvolte ancora nel cellophane. Altre volte duravano una stagione e lasciavano in bocca il gusto di baci inzuccherati di fresca passione non usurata. Qualcuna durava nel tempo e mutava di colore, resa asfittica da una quotidianità ripetitiva e insolente. Piaceva ai più restare con il tubetto di maionese vuoto in mano. Era pur sempre qualcosa: non si era soli! e si aveva nelle mani la prova tangibile che c’era un passato… o una passata!? Posto l’alluminio sull’altare di una vita dignitosa viaggiavano attraverso gli anni, i secoli, i millenni. Non lei, lei no.
La maionese poteva sognarla, cercarla, prepararla in casa, vederla finire e svanire, rinunciarci… ma in un tubetto vuoto trovava solo il vuoto. “La torta!?”, trasecolò rispondendo al telefono. “Miriam torna fra noi!”, tuonò Elena dall’altra parte: “spirito delle seghe mentali abbandona questa testa vuota ornamento di questo corpo!”. Aveva dimenticato il compleanno di Molly, all’anagrafe Maria Olivia. Elena era rimasta in piedi a decorare la torta per quel primo compleanno da separata dell’amica, a Miriam spettava il compito di consegnare il dolce, possibilmente intatto, a casa della festeggiata dove le tre amiche si sarebbero incontrate per una cena. Molly non aveva avuto né il tempo né la possibilità di perdersi in elucubrazioni sull’amore e altre salse. Veniva da un matrimonio difficile cui si era sottratta con fatica. Non aveva pensato alla maionese, all’altare e neanche al tubetto. Aveva navigato in un mare fatto di onde in cui si erano alternati il silenzio e la violenza. Passato il primo anniversario il rapporto con suo marito era divenuto cupo, lui era sempre più spento, avaro di sentimento e gioia, e se apriva il dialogo era soltanto per accusare la moglie di qualche mancanza o incapacità. Le rare volte in cui aveva provato a replicare si era trovata coi polsi lividi, i piatti rotti, le minacce urlate prima di uscire sbattendo la porta. Per trovare la forza di andar via, a Molly, era stato necessario arrivare a sentirsi serrare la gola dalle mani di quell’uomo che l’aveva impalmata promettendo di amarla e rispettarla ogni giorno della sua vita. Lei si, lei era andata via. Elena aveva decorato la torta con delle rondini di pasta di zucchero. Si perdeva nella nostalgia al gusto salso di quelle creature adorabili. Non aveva un uomo da dimenticare, ne aveva uno appena incontrato. Un quasi amore ancora tutto da scoprire che le faceva compagnia senza portare nuvole nere nei suoi cieli quotidiani. Gli occhi limpidi e la voce pacata di lui erano divenuti per Elena latte e biscotti per le sere d’inverno. “Si si, d’accordo,” passo verso le sei da te, recupero l’opera d’arte che hai fatto e la porto da Molly, concluse Miriam sdraiandosi sul letto. Da quanti anni erano amiche?! Tanti. Si erano conosciute ai tempi del liceo. Tra una sigaretta fumata di nascosto in bagno e una fuga al mare, amore dopo amore erano arrivate a quel compleanno. Tutto era passato tranne loro.
“Sarà un bel compleanno!”, si disse chiudendo gli occhi mentre le mani si facevano pesanti poggiate su un libro aperto a metà:
Molly Morgan lasciò il treno a Salinas e aspettò tre quarti d’ora la corriera. L’enorme automobile marciò poi senz’altri occupanti che Molly Morgan e l’autista. Disse Molly: “Non sono mai stata ai Pascoli del Cielo, sapete… Sono lontani dalla strada maestra?”
“Tre miglia circa”, rispose l’autista. “Ci sarà una vettura che possa portarmi nella valle?” “Ci sarà, se siete aspettata.”
da John Steinbeck, I Pascoli del Cielo