Tante storie magiche
IL FALÒ DEI SOGNI PERDUTI
Cammina avanti e indietro sulla sabbia, i piedi ficcati in sandali frusti, la pipa tra i denti. Si chiama Ernesto e fa il pescatore. Passa talmente tanto tempo in barca, tra cielo e mare, che i suoi occhi per difendersi dal riverbero sono diventati una fessura e la sua pelle è avvizzita e bruciata dal sole. Il suo carattere è diventato scontroso, non ha più amici, ormai parla solo più con sé stesso chiuso in un’ostinata solitudine dove c’è spazio solo per il rumore dei suoi pensieri. Sotto la sottile maglietta di cotone si possono contare le costole, procede a piccoli passi, le mani in tasca, lo sguardo assente, i calzoni arrotolati alla caviglia. Talvolta, nel tardo pomeriggio, si siede su uno scoglio, sempre lo stesso, scruta il mare e, osservando le onde infrangersi, con lentezza esasperante si accende la pipa. Rimane lì per ore ignaro del tempo che scorre e di chi passando lo squadra, scuotendo la testa.
In paese l’eco della tragedia non si è mai spenta e le maldicenze s’ingarbugliano con le mezze verità.
Gli anziani del posto raccontano che dopo quell’incidente, in cui il destino aveva scelto per lui chi doveva vivere e chi morire, la sua mente sconvolta era andata in tilt. Non c’è notte, sotto quel cielo stellato, che il tormento, come un tarlo, non s’impadronisca dei suoi pensieri. Vorrebbe raccoglierli e farne un falò. Il falò dei suoi sogni perduti. Ma non c’è verso, perché ogni volta che s’assopisce, inesorabili, ritornano. Vorrebbe cullarne le ceneri e spargerle in mare lasciandole scivolare tra le dita aperte. Finalmente dormire senza respirare l’odore acre dell’ospedale, l’andirivieni frettoloso d’infermieri e medici, le parole non dette, la testa tra le mani… “Perché proprio a me?”
Con Rossana e i due bambini, Roberto e Giulio di otto e dieci anni, era andato nel solito Ristorante del Centro, distante un paio d’isolati da casa. Lungo il breve tragitto si erano tenuti per mano mentre i bambini, spensierati, correvano e saltavano pochi metri davanti a loro. Dopo aver trascorso parte della mattinata nel parco tra altalene e giostrine del luna park erano giunti al locale. Il tavolo loro riservato era intimo e appartato come desideravano.
Mentre il cielo si tinge di rosa, i suoi pensieri s’intrecciano nebulosi e ingannevoli. È una tempesta traboccante di ombre, un totale caos mentale alimentato dalla solitudine e dal delirio ossessivo dei ricordi. Una felicità lontana secoli, fatta di abbracci speciali occhi negli occhi e rubata da uno schianto improvviso quanto devastante. Di più, mortale. Un’auto che sbanda e si capovolge sul piantone del dehor, tre corpi che roteano nell’aria disarticolati e un’immagine che si fisserà per sempre nella retina di Ernesto che incolume davanti alla cassa sta pagando il conto più salato della sua vita.
Nei giorni successivi una rabbia incontenibile l’aveva divorato insieme al senso di colpa. Avrebbe barattato la sua vita per quella di Rossana e mentre il medico, che lo conosceva da una vita, lo supplicava di farsi forza perchè dal coma si può tornare alla vita, due piccole bare bianche entravano nel camposanto.
Un esile legame li univa ancora, labile come quel respiro lento procurato dalle apparecchiature che tenevano in vita Rossana, sufficiente ad illuderlo. Non voleva lasciarla andare, non poteva, rimaneva lì a supplicarla, giorno e notte senza mangiare né dormire, indifeso e impotente, ma non rassegnato. Il senso di colpa non gli dava tregua e lo trasformava in un essere irascibile e rabbioso persino con i medici che a suo parere non si prodigavano mai abbastanza. Fino a quando senza più forze si abbandonò alla realtà e chiuse i conti con tutti. Si ritirò nella casa gialla accanto alla spiaggia e smise di opporsi a quel destino crudele.
Spesso dorme in spiaggia. Ha mangiato talmente tanta sabbia che gli ha divorato anche lo stomaco. Sputa sangue. I soldi per il suo funerale li ha messi da parte e consegnati al sindaco del paese, pianificando così i suoi ultimi giorni di vita terrena in attesa di quella eterna, finalmente insieme a chi gli ha voluto bene davvero e non l’ha mai giudicato.
IL FALÒ DEI SOGNI PERDUTI di Franca Caiano