Tante storie magiche
Il bambino che mangiava i numeri
Il bambino che mangiava i numeri Di Mathilda Stillday
(Brano tratto da un racconto pubblicato nel 2014 nella raccolta UNA STORIA MAGICA)
Smisi di contare i capelli bianchi il giorno del mio trentacinquesimo compleanno. Mi ero stancata di riempirmi ogni mese la testa di poltiglia colorata per fingere di essere più felice e più giovane. Mia madre non disse nulla. La mia decisione di non generare, in un paesino in cui il valore della donna aumenta in base al numero di figli dati alla luce, fu per lei una scelta ben più tosta da digerire. Mi sono sempre dedicata al lavoro, ai figli degli altri. Non mi sono mai sentita madre, neppure lontanamente. Fino al giorno in cui in classe mi trovai lui. Un bambino minuto con le occhiaie violacee su cui erano appoggiati due occhi tondi come olive nere. Come i tuoi. Mi guardava dal suo banco e non capivo se mi stesse ascoltando davvero o se mi fissasse pensando ad altro.
Aveva qualcosa di particolare, oltre agli occhi, che non riuscivo a decifrare.
Dopo qualche settimana una mattina rientrai in aula a fine lezione. Avevo lasciato la Montblanc sulla cattedra così affrettai il passo perché non ero sicura di ritrovarla ancora. Lo osservai durante la ricreazione e capii cosa non andava. Mi ci volle qualche giorno per recuperare il numero della famiglia; chiamai fingendo di essere la segretaria della scuola e chiesi un colloquio. Non dissi nulla ai miei colleghi perché poteva essere un episodio isolato e non aveva senso sollevare un polverone per un falso allarme. Almeno speravo lo fosse.
Al colloquio si presentò una donnina con la vita fasciata in un abitino a pois, stile anni Cinquanta, dall’aspetto molto curato. Aveva la stessa costituzione esile del figlio, le mani sottili con dita ossute e unghie trasparenti.
«Buongiorno, sono Katia. Mi scusi se l’ho fatta chiamare. Vorrei parlarle di Loris» esordii dopo aver schiarito la voce.
«Qualcosa non va? Si è comportato male?» indagò subito la madre.
«Stia tranquilla, ora le spiego. Volevo chiederle se ha notato dei cambiamenti in suo figlio. Ho la sensazione che a scuola non si senta a suo agio.»
La donna iniziò a sistemarsi il vestito, si guardò attorno poi mi chiese: «In che senso?»
«Negli ultimi giorni ho verificato varie volte e mi sono accorta che non mangia mai durante le pause. Ha notato se è dimagrito?»
La donna abbassò gli occhi appena si fecero lucidi. «Da diverso tempo mangia solo un po’ di pane e beve
acqua. Ha la fissa dei numeri. Dice che vuole mangiare solo i numeri. Non so più cosa fare.»
«Ha chiesto aiuto a qualcuno? Ha sentito il vostro
medico?»
La donna scosse la testa e riprese a fissarsi i pois del vestito. «Non ne ho parlato con nessuno. Ho paura che pensino sia impazzito», ammise.
«Perché dice così? È successo qualcosa di particolare?» sondai sperando di non risultare invadente.
«Mio marito se n’è andato da casa. Ha preso parte dei soldi che avevamo sul conto in banca ed è sparito.»
«Ha più avuto sue notizie?» la invitai a parlare, consapevole che probabilmente era davvero la prima volta che raccontava l’accaduto.
«Dopo qualche giorno ho trovato un messaggio in segreteria. Ha chiesto e ottenuto il trasferimento in un’altra scuola. Mio marito è insegnante, come lei», spiegò guardandomi negli occhi un paio di secondi per poi tornare a fissare il vestito.
«Insegnante, capisco.»
«Sì, insegna matematica. Diceva che era stanco di noi, che non ne poteva più. Con tutto quello che si sente oggi, di donne ammazzate e bambini picchiati, è un bene che se ne sia andato senza farci nulla. No?» La donna alzò nuovamente lo sguardo e mi fissò aspettando una conferma.
«Certamente, con tutto quello che si sente in giro, meglio così», confermai io mentendo. Francamente pensavo
che l’uomo fosse un vigliacco.