Tante storie magiche
E poi arrivi tu
E poi arrivi tu
di
Daniela Perelli
Sono passati sette mesi da quel giorno. Quel giorno che mi ha segnata così tanto, che mi ha insidiato l’anima e che difficilmente potrò dimenticare. La mia famiglia mi è sempre stata vicina, così anche i miei amici più cari e non smetterò mai di ringraziarli per questo, ma purtroppo non basta! La forza devo trovarla dentro di me, sono consapevole di questo ma, allo stesso tempo, ho paura di scavarmi dentro. Come vorrei che l’affetto di chi mi sta intorno bastasse, lo vorrei davvero con tutto il cuore.
Una domenica pomeriggio come tante, mentre sono in camera mia sdraiata sul letto ad ascoltare un po’ di musica, mia madre entra, si siede accanto a me e attira la mia attenzione porgendomi un coupon. Tolgo le cuffiette dalle orecchie, mi sollevo sedendomi accanto a lei e lo prendo.
«E questo cos’è?»
«Pensavo potesse aiutarti tesoro, leggi.»
«Corso di autodifesa… ma che significa?» chiedo, un po’ infastidita.
«Significa che potrebbe aiutarti a sfogarti e a farti stare meglio. Non stare subito sulla difensiva con me; sono tua madre, ti adoro e desidero solo aiutarti.»
«E pensi che frequentare questo corso possa farmi stare meglio? So già che potrebbe solo ricordarmi quel giorno. Oramai è successo, la paura è ancora tanta, non posso tornare indietro. A che mi serve imparare a difendermi? Stai pur tranquilla che mai più accadrà una cosa del genere, non lo permetterò e se sarà necessario non uscirò più di casa!»
«Non dire così, mi spezza il cuore vederti stare male. Prometti che almeno ci penserai, Alice.»
Emetto un sonoro sbuffo e annuisco con un lieve cenno della testa. Mia madre mi dà un bacio sulla guancia, si alza ed esce dalla stanza. Io mi sdraio di nuovo, rimetto le cuffiette alle orecchie e cerco di cacciare via quel pensiero dalla mia mente perdendomi completamente nelle dolci note di Mia Martini. Tengo sempre il coupon tra le mie mani, lo apro, lo leggo attentamente e penso che, dopotutto, non mi costa nulla provare.
***
La palestra non è molto distante da casa mia e neppure da dove lavoro: appena quattro fermate di autobus. Genova è così caotica, ma per fortuna l’orario del corso è perfetto per le mie esigenze, così posso andarci subito dopo il lavoro ed essere lì per le diciannove in punto. Quando mi trovo davanti all’ingresso ho un piccolo ripensamento, ma stringo forte i pugni per farmi coraggio e decido di entrare. Non ho voluto parlarne con uno specialista perché non ho mai creduto potesse aiutarmi, ma almeno questo lo devo ai miei genitori che ancora adesso stanno soffrendo nel vedermi sempre così spaventata.
Entro, mi avvicino al banco dove una ragazza mi sorride gentile.
«Ciao, posso aiutarti?» mi domanda.
«Sono qui per il corso di autodifesa.»
«Ma certo. Hai già provato o è la prima volta?» chiede ancora.
«No, prima volta» rispondo sempre più insicura di questa scelta.
«Allora hai diritto a un giorno di prova. Se poi vorrai continuare puoi iscriverti subito dopo la lezione, oppure la prossima volta che verrai.»
«Mi sembra perfetto, grazie.» Mi sorride e io ricambio appena.
«Vai avanti lungo il corridoio, la seconda porta a destra porta allo spogliatoio delle donne.»
«Ok, grazie ancora.»
Mi dirigo verso lo spogliatoio, apro la porta e appena entro percepisco tanti occhi su di me. Saluto educatamente, ma le guance mi si infiammano dalla vergogna.
Sono tutte donne e ragazze di diverse età e sono qui per imparare a difendersi, tutto qui! Perché ogni volta che conosco nuove persone e mi trovo a dover frequentare nuovi posti mi vergogno così tanto? Continuo a chiedermelo nonostante in cuor mio sappia già la risposta. Prima non ero così timida, ora ho ventiquattro anni, ma è come se fossi tornata indietro nel tempo e mi sentissi una bambina indifesa.
Cerco di cacciar via dalla mia mente certi pensieri e comincio a cambiarmi impacciata; non voglio che nessuna di loro noti la mia cicatrice. Qualcuna, forse accortasi del mio imbarazzo, mi sorride come a volermi rassicurare e fortunatamente un po’funziona.
Indosso pantaloni della tuta un po’ malconci e una maglietta non messa molto meglio, ma per quel che devo fare va più che bene.
Quando siamo tutte pronte ci dirigiamo in gruppo nell’ala della palestra e con alcune di loro comincia il rito della conoscenza. Stringo qualche mano, dei sorrisi forzati, che lavoro fai, dove abiti… insomma: solite gentilezze di routine.
A un certo punto sento la porta che viene spalancata con forza, ci giriamo tutte nella stessa direzione e quel che vedono i miei occhi deve essere sicuramente un miraggio. Non ho un’altra spiegazione. Osservo un attimo le altre e vedo dei sorrisini compiaciuti rivolti al ragazzo più carino che io abbia mai visto. Siamo davvero in tante e guardando alcune di loro mi chiedo se davvero sono qui solo per la paura di subire un’aggressione o c’è altro. Ok, ok, di solito non sono così, non giudico le persone, però non sono neppure cieca.
«Ciao ragazze» si rivolge a noi
«Ciao James» rispondono tutte in coro.
«Bene, abbiamo una nuova recluta». Si avvicina e mi porge la mano.
«Piacere, sono l’istruttore di autodifesa, benvenuta.» Capisco subito dal suo adorabile accento che è americano.
«Alice, piacere mio.» Porgo la mano a mia volta, ma non ho il coraggio di stringerla. Qualsiasi contatto mi paralizza. Lui però sembra accorgersi di qualcosa e la ritrae subito senza indugiare.
«Hai mai frequentato prima d’ora un corso di autodifesa?»
«No, mai» rispondo.
«Allora oggi ti lascerò guardare per renderti conto di come si svolge la lezione. Poi sarai tu a decidere se provare o meno, d’accordo?»
«D’accordo.»
Mi siedo a terra un po’ in disparte e non appena comincia a spiegare alcune semplici tecniche, il cuore comincia a correre come un pazzo. Non avevo valutato tutto questo contatto fisico. D’altronde è ovvio, per spiegare come fare a difendersi durante un’aggressione si deve inscenare un’aggressione. Sono completamente nel panico.
Sta succedendo di nuovo, sapevo che non dovevo venire qui. Questi attacchi di ansia erano scemati già da un po’, ma adesso stanno tornando e tutto perché non ho ascoltato me stessa e ho voluto compiacere mia madre. Ma possibile che non capiscano quanto mi fa stare male uscire dal mio guscio?
Quanto mi fa stare male stare con altre persone? So che è sbagliato, ma mi sento serena solo nel mio mondo, un mondo in cui nulla può succedermi. Ho tollerato appena il ritorno al lavoro, ma tutto questo è davvero troppo per me.
L’istruttore si avvicina, si accuccia di fronte a me, viso a viso, e mi poggia delicatamente una mano sulla spalla.
«Ehi, ti senti male?» Tutta l’attenzione adesso è su di me. Di male in peggio, maledizione!
«Io… ecco… no, sto bene, ma non posso restare, mi dispiace.» Mi sollevo da terra troppo velocemente e così la stanza gira intorno a me sempre più. Perdo completamente l’equilibrio e James prontamente mi sostiene. Il mio viso, adesso, è così premuto contro il suo collo e ne respiro il profumo che annebbia ancora di più i miei sensi facendomi sentire, però, al sicuro. Che strana sensazione.
Lui non parla ma è come se mi dicesse: “sta tranquilla, ci sono io, non ti succederà nulla” e tutto intorno sparisce. Ci siamo solo io e lui.
A poco a poco comincio a sentirmi meglio e James lo percepisce allentando un po’ la presa.
«Forse dovresti sederti e aspettare un po’ prima di andare via. Vieni, appoggiati qui, vado a prenderti dell’acqua.» Mi fa sedere su una poltroncina in un angolo della palestra in modo che possa appoggiare la testa. Alcune delle ragazze si avvicinano preoccupate chiedendomi se sto meglio, altre, invece, mi osservano indifferenti e capisco subito il perché. Se solo sapessero quello che mi è successo non penserebbero che sia stata tutta una messa in scena per attirare l’attenzione del loro “super eroe”.
James torna e mi porge il bicchiere con l’acqua.
«Grazie, ora mi sento molto meglio. Mi dispiace di aver rovinato la lezione. Vado via subito così potete continuare.»
«Sei venuta in macchina? Non puoi certo guidare così» continua preoccupato.
«No, ho preso l’autobus. Comunque mi sento molto meglio, davvero» affermo con tono insistente.
«Non mi sembra proprio, stai tremando. Finita la lezione ti accompagnerò io a casa e non si discute. Tutto il centro ha delle responsabilità dal momento in cui sei arrivata e nessuno qui ti lascerà andare via così.»
Noto subito una delle ragazze, che hanno fatto gruppetto, parlare nell’orecchio a voce bassa ad un’altra scuotendo la testa. Come immaginavo: pensano lo abbia fatto apposta per ottenere le sue attenzioni e questo mi fa capire ancor di più che la maggior parte di loro non viene realmente qui per imparare qualcosa che può salvare loro la vita, ma solo ed esclusivamente per lui. In una situazione del tutto normale forse avrei fatto anche io come loro, ma adesso è tutto diverso e le invidio da morire sapere che i loro più gravi problemi riguardano solo della gelosia per questo bellissimo ragazzo. E sono sicura di questo! Perché se veramente avessero cose più importanti a cui pensare non si comporterebbero così.
***
Finita la lezione vado nello spogliatoio per cambiarmi velocemente e sgattaiolare via per scappare da James, anche perché l’idea di salire in macchia con un ragazzo mi spaventa. Sono sicura sia una brava persona, ma ciò non toglie la dura realtà: io non mi fido di nessuno.
Esco fuori a passo svelto accennando appena un saluto, almeno alle ragazze che davvero si sono preoccupate per me, ma non appena esco mi sento chiamare.
«Alice!» Mi giro e James si avvicina. Non si è cambiato, ha ancora la tuta e i suoi capelli scuri sono tutti arruffati e inumiditi in maniera volontaria.
«Stai scappando, per caso?» Mi sorride.
«No, ma non è necessario che mi accompagni, davvero. Mi sento meglio e non voglio approfittare ulteriormente della tua gentilezza.»
«Ma a me fa piacere. Ho la macchina proprio qui dietro. Ho solo un’ora prima della prossima lezione quindi ci conviene muoverci, coraggio» mi dice porgendomi una mano, che io guardo ma non oso sfiorare. Non so spiegare tutte le sensazioni contrastanti che in questo preciso momento annebbiano la mia mente: paura, esitazione, curiosità e un pizzico di fiducia in me stessa che sembra quasi riaffiorare. Sento che devo e voglio passare ancora qualche minuto con lui e non solo perché è bellissimo da bloccarmi il respiro, ma perché mi parla e si comporta come se mi avesse letto dentro ma, a differenza della mia famiglia e dei miei amici che realmente sanno, senza giudicare le mie paure.
Annuisco e accetto il passaggio.
Dopo il primo minuto di assoluto silenzio decide di spezzare il mio imbarazzo.
«Ti era già successo?» mi domanda, scostando solo per una frazione di secondo gli occhi dalla strada.
«Sì» rispondo, sapendo già a cosa si riferisce. Tengo lo sguardo sulle mie mani sudate che continuano a torturarsi.
«So che non ci conosciamo, ma se ti va di parlare io sono uno bravo ascoltatore, sai?» Mi sorride ed io sollevo appena il capo per guardarlo.
«Non mi va, ma grazie lo stesso.» Non insiste.
«Al prossimo incrocio gira a destra e ti fermi di fronte alla seconda palazzina» continuo.
«Ma certo, signorina.» Ed ora scappa a me un sorriso per la sua risposta volontariamente spiritosa.
Si ferma con la macchina sotto casa ed io lo ringrazio, ma non appena apro la portiera mi posa una mano sul braccio ed io ho un sussulto.
«Aspetta» mi dice mentre estrae dal cruscotto della macchina un biglietto.
«Mi piacerebbe rivederti, ti lascio il mio biglietto così se ti va puoi chiamarmi» afferma speranzoso.
Io lo accetto ma so già che non potrò richiamarlo e sento una fitta di dispiacere dentro di me.
«Perché vuoi rivedermi?» gli domando.
«Semplicemente perché mi piaci» risponde sincero.
«Non capisco, dopo tutti i problemi che ti ho creato oggi…» Mi guarda confuso.
«Problemi? Deve esserti capitato qualcosa di molto doloroso se hai paura del bisogno che senti di avere fiducia nel prossimo. Non sarà certo questo a bloccarmi. Per quel che mi riguarda vedo una ragazza dolce e bellissima con la quale mi piacerebbe passare del tempo insieme.» Fa spallucce.
Lo guardo stupita di come abbia compreso questa parte di me.
«Ok.»
«Ok vuol dire chi mi chiamerai?»
«Ok vuol dire che ci penserò.»
«Mi sembra già un buon inizio.»
Ci salutiamo e scendo dalla macchina.
***
Mi sveglio di soprassalto annaspando, ho sognato di nuovo quel momento, quel momento esatto in cui sono stata aggredita e ferita con un coltello ma poi miracolosamente salvata da dei passanti che hanno disturbato il mio aggressore. Cosa sarebbe accaduto… cerco di non pensare al dopo. La cicatrice sulla spalla è ciò che mi ha marchiata quel giorno. I miei genitori sono davanti a me e cercano in tutti i modi di calmarmi. Comincio a piangere rannicchiandomi tra di loro che mi stringono forte cercando di calmarmi.
«Alice, piccola mia, ci siamo noi, sta tranquilla. Siamo qui con te» mi sussurra dolcemente mio padre nelle orecchie.
Dopo pochi minuti, che sembrano infiniti, mi libero dal loro abbraccio nascondendo il viso tra le mani.
«Era da un po’ che non avevi incubi» mi sussurra mia madre.
«Non preoccuparti mamma, adesso mi sento meglio, tornate a dormire.»
«Ti preparo una camomilla, prima.»
«Va bene, grazie.»
«Sicura che non vuoi parlarne?»
«No, non mi va, non insistere per favore. Vorrei stare da sola se non vi dispiace.»
«Come vuoi tu, amore.»
Sorseggio poi la camomilla che mi hanno portato, nella penombra della mia stanza che mi sembra ancor più piccola del solito, appoggio la tazza sul comodino e mi rintano nel mio piccolo guscio interiore. Domani credo che mi darò malata sul lavoro.
***
Non ho più scuse: devo tornare al lavoro se non voglio passare guai seri. Marco, il mio capo, è stato sempre, e lo è tutt’ora, molto comprensivo, ma non voglio approfittare della sua bontà d’animo. Poi amo davvero molto il mio lavoro e ho faticato tanto, finiti gli studi, per pagarmi i vari corsi di pasticceria. I miei mi hanno sempre dato una mano, ma mi è sempre piaciuto cavarmela da sola. Avevo anche deciso di prendere in affitto un piccolo monolocale, ma dopo quella sera l’idea di vivere sola mi spaventa moltissimo.
Appena entro in pasticceria Marco mi saluta calorosamente.
«Ciao Alice, sono felice di vederti, come ti senti?»
«Ciao capo, un po’ meglio, grazie, e scusa ancora per la mia latitanza. Non si ripeterà più, lo prometto.»
«Non preoccuparti, l’importante è che tu stia meglio.»
Saluto anche Flavia e Giorgio, i miei più cari amici e colleghi. Flavia si occupa del piccolo angolo caffetteria della pasticceria, Giorgio invece, come me, della preparazione dei dolci.
Vado subito a cambiarmi indossando la mia linda divisa e mettendomi subito al lavoro cercando di non pensare più ai giorni passati, anche se è davvero molto difficile.
«Come ti senti, Alice?» mi domanda Flavia preoccupata.
«A te non posso mentire. Mi sento uno schifo, ma vado avanti. Odio piangermi addosso, ma è veramente difficile.»
«Sei stata aggredita e ferita, sei fin troppo coraggiosa, davvero. Ti voglio bene e ammiro tantissimo la tua forza interiore. Per me è un onore averti come amica.» Cerco in tutti i modi di trattenere le lacrime.
«Grazie, ma non credo di essere poi così forte, altrimenti non scapperei da tutto e da tutti.»
Mi appoggia una mano sulla spalla molto delicatamente, perché sa quanto ancora i contatti mi infastidiscano, tollero appena gli abbracci dei miei genitori.
«Datti ancora un po’ di tempo, è troppo presto. Sono sicura che a piccoli passi tornerai a vivere la vita che meriti» mi dice sincera.
«Ti voglio bene, Flavia.»
«Anche io, non sai quanto.»
Sono sincera: aver parlato così, a cuore aperto, con la mia migliore amica, ha risollevato ancora un po’ il mio umore. Sono nella giusta direzione, anche se so che la strada è ancora molto lunga.
Nel pomeriggio mi faccio coraggio e decido di andare a fare due passi. Marco fa uscire un po’ prima sia me che Flavia, visto che la giornata in pasticceria, essendo una calda giornata primaverile, si prospetta alquanto tranquilla. Flavia mi accompagna entusiasta: era da molto che non gironzolavamo per negozi. Ci incamminiamo verso via Venti Settembre e dopo appena mezz’ora di shopping compulsivo di Flavia ci sediamo in un bar per prendere un aperitivo.
«Sei più andata a quel corso di autodifesa?» mi chiede la mia amica mentre sgranocchia delle patatine che, dall’aspetto, devono essere di almeno due giorni prima.
«Non ricordavo neppure di avertene parlato» rispondo.
«Infatti, non sei stata tu a dirmelo, ho parlato con tua mamma.» Mi guarda preoccupata della gaffe appena fatta.
«E così, parlate alle mie spalle, è?» le dico in finta aria di offesa.
«Mi spiace, scusa, ero solo preoccupata di sentirti poco e così…»
«Scherzo Flavia, non preoccuparti, non mi ha dato fastidio». La vedo rasserenarsi. «Iniziato e finito seduta stante, direi! Non credo che tornerò, non fa per me e poi… ha tirato fuori altre paure che cominciavo a gestire.»
«Forse è un bene che tu le affronta a muso duro!» Sento questa voce calda e sicura che proviene dalle mie spalle. Mi giro scostando la sedia in maniera impacciata e rumorosa, tanto che attiro l’attenzione di tutti su di me, e quando lo vedo quasi ho un mancamento: è James! Allora l’attenzione di tutto il bar non è rivolta alla mia rumorosa goffaggine, ma a lui!
«Ciao.» Non posso dire altro, ho la mandibola dolorante a causa del mio stupore.
«Sto ancora aspettando la tua telefonata» lo dice con un sorriso sghembo e quindi capisco che non è arrabbiato. Mi giro poi verso la mia scioccata amica che lo sta praticamente contemplando come il resto delle donne intorno a noi.
«Mi dispiace, ecco, vedi…» Non so proprio a quale scusa aggrapparmi. Lui se ne accorge e tenta di rassicurarmi.
«Non eri certo obbligata a chiamarmi. Però è un peccato che tu non abbia continuato con le lezioni.» Non so che dire…
James si rivolge educatamente a Flavia, le porge la mano e si presenta.
«Mi ha fatto piacere rivederti e, ovviamente, spero che ci ripenserai e verrai alle lezioni» mi dice.
«Non posso prometterti nulla, ma ci penserò» rispondo.
«Allora… ciao Alice.»
«Ciao James». Saluta poi Flavia che ricambia e quando si allontana percepisco nuovamente una fitta al cuore.
Mi giro verso Flavia, cercando di mantenere un modo di fare del tutto indifferente, ma fallendo miseramente.
«Oh, mio, dio! Chi è quell’adone?»
«L’istruttore di autodifesa» rispondo cercando di rimanere indifferente mentre sorseggio la mia bibita.
«E ti ha chiesto un appuntamento?» Le brillano gli occhi.
«Mi ha detto che vorrebbe passare del tempo con me…»
«E tu?»
«E io… in realtà non ricordo di avergli risposto.» Faccio spallucce.
«Secondo me dovresti uscire con lui. Niente di impegnativo ovviamente se la situazione ti mette a disagio. Anche un semplice caffè. Penso che ti farebbe bene, davvero.»
«E poi dovrei anche raccontargli del perché ho paura di tutto. Perché si suppone che, se la frequentazione dovesse andare avanti, non sarebbe giusto omettere una cosa del genere.» Flavia sospira pesantemente.
«Tu pensi troppo amica mia. Cerca di rilassarti.»
«Vedremo.»
«Per lo meno continua a frequentare il suo corso. È lo scossone che ti ci vuole, secondo me, per aiutarti a dimenticare.»
«Io non potrò mai dimenticare, purtroppo.»
«Non puoi saperlo se almeno non ci provi.»
***
Sono di nuovo di fronte alla palestra. Da una parte desidero con tutta me stessa entrare e affrontare le mie paure, dall’altra vorrei scappare via a gambe levate. Sto ferma ancora un po’ nella speranza che arrivi un segno da non so dove che mi faccia capire quel che devo fare, per non essere così costretta a decidere da sola da che parte voglio condurre il mio destino.
«Ciao bellissima.» Mi giro di scatto con gli occhi sbarrati nel sentire queste due parole che dovrebbero solo compiacermi, invece mi spaventano. È James.
«Ciao.» Si accorge del mio disagio.
«Sono felice di vederti, Alice. Davvero.»
Vorrei tanto dirgli che anche io sono felice di vederlo. Ma perché deve essere tutto così complicato?
«Che dici: entriamo?» mi domanda avvicinandosi e sorridendomi in maniera dolcissima. Lo guardo ancora un po’ esitante, ma alla fine mi decido.
Cerco con tutta me stessa di non curarmi degli sguardi sospettosi delle solite ragazze che, a quanto pare, pensano ancora adesso all’ultima volta che sono stata qui. Altre invece mi chiedono gentili come sto.
«Ciao, mi chiamo Giulia. La volta scorsa non ci siamo presentate. Spero tu stia meglio. Sai, anche a me è successo di avere degli attacchi di panico, quindi ti capisco.»
«Piacere, Alice. Grazie, sei molto gentile. Ora mi sento molto meglio.»
O almeno spero.
Quando James entra per cominciare la lezione per poco non ho il fiato corto. Dio mio, è bello da togliere il respiro e una fitta di gelosia si insidia in me nel vedere gli sguardi delle altre.
«Ragazze, oggi Lavinia mi farà da assistente. Vi farà vedere qualche semplice ma efficace tecnica nel caso in cui vi trovaste nella brutta situazione di essere aggredite alle spalle. Poi potrete provare una alla volta. Te la senti Alice?» Ho di nuovo gli occhi di tutte puntati addosso, ma quelli che più mi fanno male sono quelli della sua assistente che, da come si era posta nei miei confronti alla mia prima disastrosa lezione, sicuramente sta pensando che pur di farmi toccare da lui sarei disposta a inventare chissà cosa. Essere certa di questo mi fa davvero male.
Se solo sapesse quanto in verità sono spaventata da tutto ciò.
James si accorge di nuovo del mio disagio.
«Se non te la senti puoi guardare, ok?»
Voglio provare con tutto il cuore.
«No, ci proverò». Gli sorrido debolmente e lui risponde a sua volta.
A vedersi non sembra poi così complicato. Il problema è il trovarsi in una situazione del genere, e io lo so bene. Forse se ci avessi pensato prima, quella volta avrei potuto difendermi e scappare per tempo. Il problema è che si pensa che queste cose accadano solo nei film oppure ad altri. Non ci si pone il problema che, invece, può succedere anche a te.
Aspetto il mio turno con il cuore in gola. Vedere, poi, tutte le altre con gli occhi a cuoricino, piacevolmente coinvolte dalla sua presa forte, mentre mostra loro come fare a divincolarsi da quelle strette che tutto sono tranne che piacevoli, mi fa pensare a come vorrei essere io tra le sue braccia. Questo pensiero è così intenso in me, anche se so già che durerà per poco. Perché, non appena sarò io al posto loro, mi paralizzerò.
«Alice, è il tuo turno. Ti va di provare?»
Mi sollevo da terra e mi avvicino a lui.
«Coraggio.» Annuisco e mi ritrovo veramente troppo, troppo vicina.
«Ora girati. Io ti bloccherò arrivando alle tue spalle e tu prova a fare quello che hai visto fino a ora.»
«Ok» sibilo. Ci siamo, sento il cuore che batte fortissimo.
Faccio quel che mi dice e gli do le spalle. In un attimo lo sento su di me. Il suo petto contro la mia schiena sudata mentre mi cinge con un braccio la vita e con la mano, dell’altro braccio, mi serra la bocca. E io mi blocco.
«Sta calma» mi sussurra in un orecchio. «Prova a ricordare quel che hai visto fin ora». Mi sento sempre più in difficoltà. Ho un vuoto, ma non perché non ricordi nulla di quel che ho imparato.
«Porta tutto il peso del corpo in avanti in modo da farmi perdere un po’ di equilibrio e poi lasciati andare con uno slancio deciso all’indietro, così da colpirmi il viso con la testa. È importante fare ciò in modo da stordire l’aggressore. Nessuno rimane indifferente a una testata in viso data in questa posizione e tu avrai il tempo di scappare quando avrà mollato la presa per portarsi le mani alla faccia a causa del dolore» mi spiega.
Mi sento morire a poco a poco. Mi piace la sensazione del suo corpo contro il mio, ma da una parte ne ho paura.
«Non ci riesco, mi dispiace» sibilo appena. Sono così mortificata.
James mi lascia andare subito.
«Ehi, non importa. Sei stata bravissima. La prossima volta andrà meglio. Non disperare, ok?»
«Ok» rispondo, anche se già so che sarà difficile.
Esco dalla palestra e mi avvio velocemente alla fermata della metropolitana. Mentre cammino sento una macchina che rallenta e che segue il mio passo, guardo con la coda dell’occhio e vedo James. Mi tranquillizzo all’istante.
«Alice, vuoi un passaggio?» Rallento, ma continuo a camminare.
«No, ti ringrazio.»
«Puoi almeno fermarti?» Sbuffo scocciata da tanta insistenza, ma mi fermo e lui accosta.
«Cosa vuoi, James?» Scende dalla macchina e si avvicina.
«Perché sei così scostante con me? Credo di non aver fatto nulla di sconveniente nei tuoi confronti. Ti ho solo chiesto di uscire qualche volta.»
Tengo gli occhi bassi.
«Guardami per favore.» Si addolcisce. E io lo faccio, lo guardo. Guardo quegli occhi così grandi che sembrano smeraldi e quelle sopracciglia folte e un po’ arruffate, guardo quelle labbra carnose e quel naso imperfetto, ma che sul suo viso scolpito paiono un’opera d’arte. E ora mi sento persa ancora di più.
«Cosa ti spaventa tanto? Dimmelo, per favore.»
Socchiudo per un attimo gli occhi e scrollo un po’ la testa. Ma, non so cosa succede, gli racconto tutto e piango e, all’improvviso, mi sento ancora un po’ più libera e serena.
Il mio cuore perde un battito. Non posso credere di aver appena raccontato tutto.
James mi sorride. Lo sento così vicino e nonostante si capisca benissimo quanto vorrebbe anche solo sfiorare le mie labbra con un bacio non lo fa. Sono felice che, per lo meno, capisca quanto il contatto fisico mi metta a disagio e cerchi, allora, di rispettarmi.
«Mi dispiace tanto, Alice. Davvero. So che non potrai mai dimenticare quanto accaduto, ma so anche che tu mi piaci davvero molto e che rispetto i tuoi sentimenti e che, se mi permetterai di conoscerti, ti starò vicino e la paura piano piano si affievolirà» mi sussurra appoggiando la fronte alla mia in un modo delicato e rassicurante. Un gesto che mi fa sentire un po’ più sicura.
«Sabato sera, cena e cinema? Lascio a te la scelta del film» mi dice poi improvviso mantenendo questo delicato contatto.
Mi scosto solo un attimo per dargli un bacio sulla guancia che lo porta a socchiudere gli occhi.
«Sabato sera, cena e cinema. Il film lo scegliamo assieme» gli dico. Mi sorride e annuisce.
Forse è davvero l’inizio di un nuovo amore la soluzione più potente a tutte le nostre paure.