Tante storie magiche
Dolce novembre
Dolce novembre
di Daniela Perelli
La cravatta non era mai stata così stretta. Si sentiva come se gli mancasse il respiro. E Logan Donovan non si era mai sentito così… a disagio.
Lui stava sempre bene in mezzo alle persone. Ma ora era diverso. Percepiva che qualcosa in lui non andava.
Il suo bell’aspetto, con quegli occhi neri e intensi, le sopracciglia folte e quei riccioli ribelli che gli incorniciavano il viso, con indosso uno smoking di alta sartoria collezionato su misura per lui, non bastava in quel momento a placare il suo disagio.
Doveva allontanarsi da quella sala gremita di gente, non aveva altra scelta!
Non poteva cedere senza neanche saperne il vero motivo, e poi proprio di fronte a tutte quelle persone che tanto lo ammiravano. Quel macigno che sentiva premere sul petto non si sarebbe placato.
Avvicinò il padrone di casa dicendogli semplicemente che si sentiva poco bene. Forse influenza! Salutò gli altri conoscenti e uscì di lì deciso a raggiungere la sua macchina.
Una volta che la brezza pungente di una sera di novembre accarezzò il suo viso, allentò il nodo della cravatta. Mai lo aveva fatto in passato. Ma questo gesto lo rasserenò un po’. Faceva freddo ma Logan respirò l’aria pungente a fondo, guardandosi un po’ intorno, come se non sentisse freddo. Le campagne piemontesi intorno ai piccoli paesi erano bellissime. Abituato com’era alla vita caotica di Chicago, qui gli sembrava di essere atterrato su un pianeta sconosciuto. Ma gli piaceva, come gli piaceva il piccolo appartamento affittato a Nizza Monferrato, sua abitazione per poco ancora. Ebbene, il suo lavoro di architetto lo aveva portato in queste campagne così lontane dagli Stati Uniti. Era lì da due mesi, ma presto il soggiorno in quei luoghi sarebbe terminato. Aveva avverato il suo sogno. Lo stava finalmente realizzando.
Anche questo pensiero lo fece calmare un po’.
Quando passò di fianco alla dependance che il proprietario della tenuta aveva fatto adibire a cucina per il catering, si bloccò beandosi delle belle risate sincere che arrivavano dall’interno. A quanto pareva il personale addetto al servizio si stava divertendo un mondo al di là delle mura, a differenza della grande sala dove tutti invece riservavano solo sorrisi di circostanza.
Sorrise anche lui e poi proseguì, ma a quanto pareva il destino ci metteva sempre del suo, o era solamente diventato improvvisamente curioso, cosa che non era mai stato prima. Un rumore di bottiglie infrante lo fece voltare. Solo allora si accorse di trovarsi sul retro della dependance. Notò una ragazza di spalle intenta a buttare, una alla volta, le bottiglie di vetro nell’apposito cassonetto. Portava un giaccone imbottito e una gonna attillata fino al ginocchio. I capelli erano raccolti in una coda bassa e ordinata. Doveva essere una delle cameriere, anche se non ricordava di averci fatto caso, prima.
La ragazza improvvisamente si voltò spaventata da quella presenza dietro di lei.
Portava occhiali da vista un po’ troppo grandi per il suo viso piccolo e delicato, ma non fu tanto questo ad attirare l’attenzione di Logan, quanto le sue labbra rosee e carnose. Percepì un nodo allo stomaco.
«Buonasera signore, posso aiutarla?» domandò la ragazza con fare teso.
«Mi scusi, non volevo spaventarla. Stavo andando via, ma a quanto pare ho perso l’orientamento. Cercavo la mia macchina.» La ragazza si rasserenò, mentre Logan cominciò nuovamente a sentire quella dolorosa morsa al petto.
«È facile perdersi qui, è come un labirinto, specialmente se non si è del luogo.» Logan parlava italiano, ma la ragazza capì dal suo inconfondibile accento americano che non era del posto.
«Per arrivare al parcheggio deve tornare indietro e proseguire sul secondo sentiero, ma…Si sente bene?» Si era accorta che qualcosa non andava.
«A dire il vero non molto, ma sarà solo stanchezza. La ringrazio e mi scuso ancora di averla spaventata.»
«Non si preoccupi.»
«Allora buonasera signorina…»
«Matilda. Matilda Orsini, e lei è?»
«Logan Donovan. Molto piacere e grazie ancora…» Si allontanò, anche se avrebbe voluto rimanere ancora un po’ con quella ragazza, per parlare, per sapere qualcosa in più su di lei. Ma non lo fece.
Matilda lo guardò allontanarsi, ma non poté fare a meno di seguirlo per assicurarsi che stesse bene davvero. In fondo aveva finito il suo turno per quella sera, e poi era pur sempre una studentessa universitaria che un giorno sarebbe diventata medico.
Il nome di quell’uomo le era familiare. Lo aveva già sentito nominare in giro. Se era alla festa di beneficenza organizzata dal sindaco di Nizza Monferrato, doveva essere di certo un personaggio di rilievo.
Quando lo raggiunse lo chiamò per nome. Logan si girò proprio mentre stava per aprire la portiera della sua macchina. Si guardarono per un bel po’ prima di parlare. Logan cominciò a sentirsi di nuovo meglio. Quegli occhi così belli e dolci sotto quei grandi occhiali che la rendevano ancor più graziosa e affascinante, erano magici a quanto pareva.
«Mi scusi se l’ho seguita ma… Studio medicina e non posso fare a meno di preoccuparmi quando vedo una persona che non si sente bene…» Logan le sorrise.
«Va molto meglio, davvero, grazie ancora.»
«Ok, allora…Buonanotte.» Ora era Logan che guardava Matilda allontanarsi.
«Aspetta! Lascia che ti accompagni alla macchina. È già buio.» Le diede del tu e sperò in cuor suo che anche lei facesse lo stesso. Non gli piaceva in quel momento tanta formalità.
«Non è necessario, abito a dieci minuti da qui e non sono venuta in macchina. Torno a piedi.» Si sentiva di nuovo strano Logan, ma questa volta era diverso. Si sentiva più leggero e non avrebbe rinunciato alla compagnia di quella ragazza anche solo per pochi minuti. Sapeva che non l’avrebbe più rivista. Presto sarebbe partito e avrebbe solo conservato per sempre il ricordo di una bellissima ragazza italiana, con occhiali grandi e buffi, che si era preoccupata per lui. Che lo aveva visto in un momento di vulnerabilità. Mai nessuno lo aveva visto sotto questo aspetto.
«Allora lascia almeno che ti accompagni fin sotto casa. Mi sentirei più tranquillo.»
Matilda acconsentì e si avviarono così lungo la strada. Non ci misero molto ad arrivare. La tenuta costeggiava la rotonda che portava allo svincolo per immettersi nel centro di Nizza Monferrato.
La palazzina dove Matilda viveva era proprio nel centro storico. Logan si guardava intorno: per la prima volta osservava più attentamente le bellezze del luogo e la pace che il contesto trasmetteva.
Matilda si fermò vicino al portone, lo guardò e notò subito che il suo viso aveva ripreso colore. Non era più pallido e non aveva il respiro affannato.
«Credo che tu abbia avuto un attacco di panico» asserì. Logan sembrò perplesso.
«Un attacco di panico? No, non è possibile…» Gli scappò un sorriso divertito.
«Io credo di sì, invece. Ho notato anche come continuavi ad allentare il nodo della cravatta…Sai queste serate di gala possono essere davvero snervanti. Io le vivo indirettamente. Quando sono lì con il mio bel vassoio colmo di tartine in mano, mi accorgo della tensione che spesso trasmettono gli invitati. Ma credo sia normale. Tutti ci tengono a fare buona impressione.» Logan la ascoltava attentamente. Era ammirato ma allo stesso tempo preoccupato. Come poteva aver avuto un attacco di panico? Non era davvero possibile. Si appoggiò al muretto che costeggiava la palazzina dove Matilda viveva.
«Io sono la calma in persona. Ero solo a una delle tante serate di beneficenza a cui spesso partecipo per contribuire ai fondi per la rimessa a nuovo di vecchi edifici. Sono un architetto e vengo da Chicago…Come posso avere avuto un attacco di panico?» Logan si sentiva davvero sconvolto e di nuovo involontariamente allentò il nodo della cravatta fino a sfilarla via. Matilda si avvicinò e si appoggiò anch’essa al muretto di fianco a lui.
«Si vede che sei un uomo tutto d’un pezzo, ma non per questo sei immune alla fragilità. Sei lontano dalla tua casa, dalla tua vita che, per quanto possa essere caotica, è pur sempre la tua certezza.» Logan socchiuse leggermente gli occhi mentre la guardava.
«Fammi indovinare… Sei anche psicologa?» Voleva prendersi un po’ gioco di lei per allentare la tensione che in lui si era creata.
«In realtà spero in futuro di riuscire a diventare un buon medico di famiglia ma…gli anni di studio sono ancora lunghi e…mai dire mai…» Non se l’era presa. Non era permalosa come tutte quelle ragazze simili a top model che era dedito frequentare.
«Credo che sarai un bravo medico un giorno anche se, sono sincero, questa tua spiegazione sul fatto che io possa aver avuto un attacco di panico non mi piace molto» continuò puntandole un dito contro con fare scherzoso.
«Sei un architetto, vivi in una città come Chicago, avrai tanti amici importanti, una famiglia di tutto rispetto… E vuoi dirmi che non ti senti mai fuori posto? Non provi mai quella paura di sbagliare e deludere chi ti sta intorno?» Questa volta Matilda nel dirgli quelle parole lo guardò dritto in volto e Logan si sentì ancora più esposto. Non si era mai posto queste domande… Aveva mai avuto paura di sbagliare? In verità no, era sempre stato sicuro di sé o forse era stato sempre così tanto impegnato da non avere tempo per certi pensieri. Non si sentiva più sicuro di nulla, a dire il vero, in quel momento.
Si era limitato a osservarla, beandosi della bellezza di quel viso delicato e di quelle labbra piene che avrebbe tanto voluto baciare per sentirne la morbidezza. Una bella sensazione che però lo mise in allerta.
«A essere sincero non ho mai avuto molto tempo per pensare alle insicurezze. Sin da piccolo ho sempre saputo cosa avrei fatto un giorno e cosa sarei diventato.»
Matilda si allontanò un po’ da lui e cominciò a guardarsi intorno.
«Quando ero piccola sognavo di diventare un giorno una grande condottiera e con il mio vascello scoprire tanti mondi nuovi, inesplorati.»
«E quando hai deciso di diventare medico?» domandò Logan sorridendo.
«Al primo anno di liceo durante una rappresentazione scolastica. Un ragazzo era stato colpito da un malore improvviso. Un medico era presente fortunatamente e lo ha aiutato. In quel momento avevo pensato che i veri eroi erano tra noi. Non nei film o nei cartoni animati. Allora misi da parte l’idea di diventare una condottiera.» Logan scrollò il capo e sorrise ancora, colpito da tanta naturalezza.
«Vuoi dirmi che hai cominciato il liceo pensando ancora di diventare una grande condottiera?»
«Non ridere sai! Non tutti sono precoci nel sapere cosa fare da grandi. Ci ho messo solo un po’ di più, tutto qui.» Matilda fece spallucce e Logan la trovò sempre più adorabile. Era a suo agio in quel momento, di fronte a una ragazza così diversa dai suoi soliti canoni. Non aveva mai percepito il rumore del suo cuore che batteva, fino a ora. Lo sentiva bene. Forte e chiaro! Se non avesse avuto quell’attacco di panico non avrebbe mai incontrato Matilda. Forse sarebbe stato un bene per il suo ego smisurato, ma la sua anima in quel momento dissentiva e si sentiva ancor più leggera. In fondo sarebbe rimasto un bel ricordo. Una volta tornato a Chicago non avrebbe raccontato a nessuno della sua debolezza e di come quella debolezza lo aveva portato a incontrare Matilda. Avrebbe conservato gelosamente quel ricordo.
«E allora non posso far altro che augurarti di avverare il tuo sogno, anche se, ripeto, sono sicuro che sarai un grande medico, un giorno.»
«Lo spero tanto» rispose Matilda con un nodo allo stomaco. Sapeva che era arrivato il momento di salutare quell’uomo affascinante e che non avrebbe più rivisto. Era di Chicago e poi non solo per quello…Era troppo per lei e lo sapeva bene.
«Bene, ora che so per certo che ti senti meglio, visto che hai anche riacquistato colore in viso, posso tornare a casa. Domattina mi sveglio molto presto…» Si sentiva in imbarazzo, ora. Prima parlava con un uomo che stava poco bene, e questo tirò fuori il futuro medico che era in lei mettendo da parte tutte le sue insicurezze, adesso invece lo vedeva forte, virile, deciso…Quel che era davvero, insomma. Uno straniero che arrivava da una grande metropoli, che lei immaginava e sognava grazie ai grandi film e telefilm americani.
«Grazie ancora Matilda, sei stata molto gentile. Tra due giorni ripartirò per Chicago, ma porterò con me il ricordo di una bella e gentile ragazza italiana che ha assistito al mio primo attacco di panico.» Logan sorrise a questa sua affermazione, ma di un sorriso anche questa volta di circostanza. E non perché doveva fare buona impressione come era solito nelle sue giornate lavorative, ma perché dentro percepiva una sensazione di dispiacere. Il dispiacere di allontanarsi da lei.
Anche Matilda sorrise e aggiunse un lieve inchino.
«Ne sono davvero onorata» rispose in tono sarcastico, ma come Logan era un po’ triste.
«Allora buonanotte Matilda, è stato bello incontrarti.» Si avvicinò a lei e le posò un tenero e casto bacio sulla guancia, che lo bruciò dentro.
Matilda rimase immobile. Chiuse solo appena gli occhi per bearsi di quella bella sensazione.
«Buonanotte Logan.» E si allontanò velocemente senza mai voltarsi. Lo conosceva da solo un’ora, presto lo avrebbe dimenticato! O almeno lo sperava.
Logan aspettò che entrasse. Solo allora si allontanò ripercorrendo lo stesso sentiero a ritroso per raggiungere la macchina. Avrebbe potuto invitarla a prendere un caffè il mattino seguente, ma a che scopo? Non l’avrebbe più rivista. Poco prima di entrare in macchina si sfiorò le labbra con le dita, gli sembrava di sentire ancora il calore della sua guancia che nonostante il freddo pungente era arrossata sì, ma calda. Si inumidì appena le labbra e percepì anche un gusto dolce e piacevole.
Si allontanò e cercò di non pensarci più.
***
Era passato un mese da quell’incontro, ma Matilda non poteva fare a meno di chiedersi se quell’uomo così bello e dai modi tanto gentili e garbati, stesse bene. Se avesse avuto ancora attacchi di panico, o se il tornare nella sua grande metropoli lo aveva distratto e assorbito a tal punto da non creargli più alcun tipo di problema. Era un medico, si preoccupava un po’ di tutti, non pensava a lui di certo per altri motivi. Ormai stava diventando un ricordo sfocato anche il suo aspetto…
Oltre oceano la situazione non era tanto diversa. Impegnato com’era nel suo lavoro, come poteva ritrovarsi la sera a osservare fuori dalla finestra le macchine sfrecciare, pensando a quella ragazza italiana? Eppure era così. Non poteva togliersela dalla testa. Avevano passato solo un’ora insieme e si stava comportando come un adolescente che si innamora al primo sguardo. Se solo le avesse chiesto il numero di telefono… Forse sarebbe stato ancor peggio, non poteva di certo frequentare una ragazza di un piccolo paese italiano per poi vederla forse una volta all’anno! E poi per cosa? Per fare del sesso una volta l’anno, con tutte le belle donne che frequentava e sempre disponibili? Il fatto era che se la immaginava vicina, non solo per un’avventura, e proprio per questo si sentiva ancora più ridicolo.
Anche Matilda si sentiva ridicola. Di certo non aveva difficoltà a conoscere qualche bel ragazzo e chissà… forse anche innamorarsi. Sorrise e scrollò il capo, per questa cotta che non aveva alcun senso.
Lo stesso fece Logan, nello stesso istante.
***
Un anno dopo…
Logan non credeva di tornare in Italia tanto presto, ma un altro lavoro era arrivato inaspettatamente e lui non si sarebbe di certo tirato indietro. Nonostante a Chicago fosse oberato di impegni, voleva comunque dare il suo contributo in quei piccoli luoghi tanto sperduti, ma che pensava avessero molto da offrire.
Questa volta la destinazione era San Giacomo, un paese di montagna dove presto avrebbe progettato un albergo, visto il turismo che stava prendendo piede anche lì, per via dei prezzi economici. Era bravo nel suo lavoro ma non era solo per questo che spesso lo cercavano, e lo sapeva bene. Di certo i soldi non gli mancavano ed era spesso dedito fare della beneficenza. Lui aveva troppo, e tante tantissime persone, troppo poco. Non era giusto.
Quando il volo atterrò ebbe di nuovo un sussulto. Sperò che non si trattasse di un altro attacco di panico. Non ne aveva più avuti da quella volta. Quella volta che conobbe Matilda. Il ricordo di lei ovviamente era scemato nel tempo, ma adesso che era di nuovo in Italia, anche se in un luogo diverso, pensò che le avrebbe fatto piacere rivederla. Nizza Monferrato forse distava qualche ora da lì, non sapeva quanto non essendo certo un esperto del luogo, ma avrebbe chiesto. Avrebbe potuto nuovamente affittare una macchina per spostarsi in quei bei luoghi. Sarebbe rimasto solo una settimana questa volta ma, una volta finito il lavoro riguardante il progetto, avrebbe potuto fare una gita e tornare a Nizza Monferrato. Una gita… proprio come un ragazzino ai tempi della scuola.
Si calmò di nuovo, non era un attacco di panico questa volta, era solo un sussulto per la strana emozione che provava al pensiero di rivedere quella ragazza. Sapeva solo dove abitava ma…se avesse cambiato casa? Se i suoi studi l’avessero portata altrove?
Nel frattempo Matilda raccoglieva ordinatamente i suoi appunti che erano caduti non appena uscita dall’aula. Era un disastro in quanto a ordine, ma la vita caotica che svolgeva non le permetteva di essere diversa da quel che era.
Si apprestò a raggiungere la stazione del treno per tornare a casa e buttarsi sui libri. Era stanca, non poteva negarlo, ma voleva diventare un bravo medico un giorno, voleva dare speranze, aiutare e salvare le persone che si sarebbero fidate di lei. Ci teneva con tutta se stessa.
“Sarai un grande medico un giorno”, le aveva detto quell’uomo che ogni tanto tornava tra i suoi pensieri. Lo sperava davvero. Era ambiziosa, ma teneva i piedi ben saldi a terra.
Il viaggio in treno era lungo, ma non appena varcava la soglia di casa e si toglieva le scarpe, si sentiva già in forze e rigenerata. Fece un bagno caldo, si mise una tuta comoda, mangiò qualcosa e subito si buttò sui libri, approfittando del fatto che avrebbe lavorato solo nel fine settimana. I suoi abitavano a dieci minuti da lei, erano ben contenti di darle una mano, ma Matilda cercava di non approfittarne troppo, e anche per questo decise di vivere da sola nel piccolo appartamento che la bis nonna le aveva lasciato. Si sentiva davvero fortunata e voleva meritare questa fortuna.
***
Logan aveva affittato una macchina un po’ piccola per la sua stazza robusta, ma era così caratteristica e adatta per percorrere le strade delle campagne piemontesi. Una fiat 500.
Aveva deciso di tornare a Nizza Monferrato, per vedere ancora una volta quella ragazza, e intanto, durante il viaggio, pensava alla proposta che gli era stata fatta dal responsabile del progetto. Avrebbe accettato solo se avesse avuto un motivo più che valido, e il motivo, per quanto si rendesse conto che era pura follia, poteva essere soltanto la sua ragazza italiana.
Poteva essere fidanzata per quel che ne sapeva e poi non la vedeva da un anno e l’ultima volta erano stati insieme per un’ora! Si sentiva davvero ridicolo. Ma se dopo un anno, tornato in Italia, il ricordo di lei che pian piano stava sbiadendo grazie a Chicago, si stava facendo di nuovo strada in lui facendogli battere il cuore ancora più forte, come poteva far finta di nulla?
Quando arrivò parcheggiò la macchina e proseguì a piedi per il centro storico. Un’altra giornata di novembre, piuttosto fredda, stava per finire arrivando a sera.
Si fermò proprio sotto quel portone. Ricordava esattamente dove si trovava quella palazzina. Si avvicinò al citofono e vide che su una delle tante targhette c’era proprio scritto Matilda Orsini, e nessun altro nome vicino…Viveva da sola, ma non poteva essere certo che non fosse fidanzata. Suonò.
Matilda sentì il citofono ed ebbe un lieve sussulto. Chi può essere a quest’ora dopo cena?, pensò. Prima di rispondere avvolse il suo cardigan ancor di più intorno a sé e aprì la finestra. Quando si affacciò vide un uomo di fronte al portone.
«Chi è?» domandò, portando Logan a spostarsi e a sollevare il capo. I loro occhi si incrociarono. Matilda non riusciva a credere che fosse davvero lui.
«Logan? Ma, cosa ci fai qui?»
«Sono tornato in Italia per lavoro e…volevo vederti per sapere come stavi…» Era incredula ma allo stesso tempo felice di vederlo.
«Aspetta, mi cambio e scendo.»
«Non mi muovo di qua» affermò con un sorriso sbarazzino, che poco si addiceva a un uomo come lui, ma che le fece provare un delizioso sfarfallio nella pancia.
Si cambiò velocemente; un jeans e un maglione, faceva davvero freddo. Indossò la giacca e uscì.
Scese le scale un po’ tremante e quando aprì e lo vide lì davanti, ancor più bello di quanto lo ricordasse e con quel viso da mascalzone, per poco non cedette alla voglia di abbracciarlo forte e poi baciarlo. Era del tutto irrazionale, ma non poteva farci nulla e poi erano solo pensieri che tali sarebbero rimasti.
«Ciao Logan è bello rivederti» disse mentre si richiudeva il portone alle spalle.
«Come stai, come vanno i tuoi studi?»
«Bene, grazie e tu? Hai più avuto…».
Logan capì. «No, non è mai più successo.»
Matilda sorrise e si strinse ancor di più nella giacca. Avrebbe voluto invitarlo a casa a prendere un caffè, si stavano congelando, ma non se la sentiva. Non lo conosceva, davvero. Logan, come se le avesse letto nel pensiero le domandò: «Ti va una cioccolata calda?»
«Molto volentieri.»
Si incamminarono verso il bar più vicino. Matilda conosceva il proprietario, in fondo Nizza Monferrato non era di certo una grande metropoli, e poi qualche fine settimana aveva prestato servizio come cameriera anche lì.
Quando entrarono, Matilda salutò l’anziano proprietario e Logan fece lo stesso, sotto il suo sguardo indagatore e sotto lo sguardo di altre persone lì presenti. Logan ordinò due cioccolate e si sedettero un po’ in disparte, almeno avrebbero potuto parlare con calma. Ma parlare di cosa?
Bevvero la loro cioccolata guardandosi di sfuggita, finché Logan non cominciò a spiegarle il vero motivo per cui era andato da lei.
«A essere sincero il lavoro che mi ha portato di nuovo in Italia non è qui nei dintorni, ma… dovevo vederti Matilda. Non so spiegarmelo, ti ho pensata tanto e… appena ho rimesso piede in Italia ho provato qualcosa che mi spingeva a rivederti, anche solo una volta. So che è del tutto assurdo, irrazionale ma… dovevo sapere se anche tu hai provato le stesse sensazioni e hai continuato a provarle…»
Matilda lo guardò negli occhi e pensò che era vero: non aveva mai dimenticato quell’uomo americano. E non per una semplice attrazione o una cotta molto forte, ma semplicemente per quell’alchimia che si era creata tra loro in così poco tempo. Quelle sensazioni che non potevano essere reali, se non vissute guardando un bel film.
«Sì, ti ho pensato molto anche io, e il pensiero che non ti avrei più rivisto… ci ho messo un po’ ad accettarlo. Il fatto è che adesso sarà peggio, almeno per me. Perché forse tu ora hai dissipato i tuoi dubbi e magari tornerai a Chicago e mi dimenticherai presto o tardi. Io invece… mi ritroverò col cuore spezzato, perché adesso ho la certezza che non era solo una mia illusione.»
«Mi dispiace, non volevo turbarti, sono stato egoista. Avevo voglia di vederti, di passare del tempo con te, anche se poco, e…»
Matilda lo interruppe.
«Ti va di fare due passi? So che fa freddo, ma è una bellissima serata…»
«Andiamo.» Si sollevò dalla sedia e lasciò i soldi sul tavolo. La prese per mano e uscirono.
Era da poco passata l’ora di cena, ma essendo un sabato sera c’era ancora molta gente in giro per le caratteristiche vie.
Camminarono per mano ancora un po’ fino a che Logan allentò la presa della mano e le passò un braccio intorno alle spalle accompagnandola dolcemente sotto un piccolo porticato lontano da occhi indiscreti.
Poi, sempre molto dolcemente, fece scivolare il braccio intorno alla sua vita e lo stesso fece con l’altro, fino a che si trovarono viso contro viso. Matilda però appoggiò le mani sul suo petto, per cercare di mantenere un po’ di distanza. Era incredula e imbarazzata. I loro respiri si rimestavano perfettamente e poi Logan la baciò. Un bacio lento, sensuale e molto profondo. Matilda ricambiò e finalmente gli avvolse le braccia intorno al collo.
Era una sensazione così bella, così inaspettata e forse proprio perché inaspettata; magica.
Si baciarono a lungo e Logan la stringeva a sé ancora più forte. Ora che l’aveva rivista, ora che l’aveva baciata, non avrebbe più potuto fare a meno di lei e per Matilda era lo stesso.
Quando si staccarono per riprendere fiato Matilda lo guardò intensamente e gli disse: «E adesso, cosa facciamo?» Logan le accarezzò i capelli e il viso. Le tolse gli occhiali per ammirare ancor di più i suoi bellissimi occhi. Le sfiorò le labbra con le dita, erano proprio morbide e calde come le aveva immaginate. E dolci, dolcissime. Anche Matilda aveva pensato spesso a come sarebbe stato baciare quelle labbra così belle e virili. La sensazione più bella che avesse mai provato: Logan era passione e irruenza, ma anche tanta dolcezza. Dolce, proprio come la cioccolata che avevano bevuto in una fredda serata di novembre.
«E adesso stiamo insieme» rispose Logan come se fosse la cosa più ovvia.
«Ma…» Logan le posò un altro bacio, ma questa volta sfuggente.
«Niente ma, devi fidarti di me. Tornerò a Chicago per sistemare alcune cose e ti prometto che tornerò qui, da te. Ci conosceremo meglio, anche se a essere sincero mi sembra di conoscerti da sempre.»
Matilda era davvero scioccata.
Le persone ci mettevano mesi, se non addirittura anni per conoscersi, stare bene insieme e poi magari costruirsi un futuro. Loro invece stavano bruciando tutte le tappe.
«E la tua famiglia?» Non sapeva nulla di lui, neppure se avesse qualcuno ad aspettarlo, eppure le sembrava davvero di conoscerlo da sempre.
«Non ho fratelli e i miei genitori saranno felici di vedermi felice. Se sono qui con te non è per un semplice capriccio. Mi hanno offerto un buon lavoro e intendo accettarlo. Credo che il destino ci abbia messo il suo zampino. Troppe cose coincidono alla perfezione.»
Matilda sorrise. «Anche io voglio stare con te. Credo che novembre diventerà il mio mese preferito, visto che mi ha riportata a incontrarti.»
Logan la strinse ancora e le sussurrò semplicemente: «Anche il mio. Il mio dolce, dolce novembre.»