Tante storie magiche
Amore di cristallo
Amore di cristallo
Il telefono squillava ma nessuno si decideva a rispondere immaginavo il suo suono forte espandersi in quella casa silenziosa e, con la mente, vedevo mia nonna col suo passo lento incamminarsi verso esso.
Stavo per riattaccare quando, finalmente, sentii il suo stanco: «Pronto?».
«Nonna, ciao, sono io: Adele!».
«Adele bedda, è tanto che chiami? Non lo sento più ‘sto telefono!».
«No, avrà squillato poche volte…», mentii.
«Come stai? Che bello sentirti! Che mi racconti? E Matteo?».
Sentii un nodo alla gola e le lacrime invadere i miei occhi, respirai e poi dissi: «Tutto bene nonna, stiamo entrambi benone, ti chiamavo solo per dirti che vorrei venire qualche giorno da te».
«Che bello, nichitta mia! Questa è casa tua, lo sai, ma Matteo ha le ferie?».
«No, no, lui ancora purtroppo no, scendo da sola, qui si soffoca, ho bisogno di cambiare aria!».
«Sola? Ma sei sicura? Non è che ti fa male?».
Le sue premure mi commuovevano e dovevo tranquillizzarla: «Stai tranquilla nonna, sto benissimo e con te starò ancora meglio. Parto domani mattina, atterrò a mezzogiorno e venti».
«Matri mia, mi tocca sbrigarmi allora, dirò a tuo fratello di accompagnarmi al centro commerciale per la spesa e pure del tuo arrivo così viene a prenderti lui».
«Grazie nonna, non vedo l’ora di vederti!».
«Bedda, che gioia che mia hai dato».
«A domani, ti bacio».
***
La Sicilia mi accolse con un sole a cui non ero più abituata, guardai fuori dal finestrino e provai la splendida e rasserenante sensazione di essere a casa. D’istinto la mia mano si posò sul ventre leggermente più rotondo: benvenuta nella tua terra, piccola mia.
Mio fratello era lì ad attendermi, coi suoi soliti capelli ribelli e lo sguardo da sedicenne sognatore. Mi salutò storpiano il mio nome, da che ne avevo memoria, mi aveva sempre chiamata Ady. Mi strinse e il suo abbraccio mi rassicurò: sarebbe andato tutto bene
«Ciao Leo, che bello rivederti!».
«Che ci fai qui da sola? Matteo ti ha cacciata di casa o ti si è rotta l’aria condizionata?», disse prendendomi in giro.
«Spiritoso, avevo solo voglia di sole e mare prima di diventare una balena», tentai di mantenere un tono scherzoso, nonostante il peso sul cuore che a tratti sembrava farmi mancare il respiro.
Il viaggio fino a casa della nonna fu ricco di risate, mio fratello era sempre il solito: per nulla serio, sempre giocherellone e alla ricerca di un sogno, di una passione. Nonostante fosse sposato e papà della piccola Sveva, a vederli insieme sembrano più fratelli, però ne ero certa, era un padre straordinario nonostante Elisa, sua moglie, lo definisse un bambinone.
«E papà lo vedi ogni tanto?», chiesi interrompendo le risate.
«Lo sento qualche volta, ma non viene spesso dalle nostre parti».
«E Sveva? Non viene a trovarla?».
«Figurati, crede gli basti farle un regalo a Natale e per il compleanno per potersi definire nonno, ho perso le speranze Ady, è sempre il solito, cattivo padre e, di conseguenza, cattivo nonno».
Era tutto come lo avevo lasciato: mio padre sempre assente, così dedito alla sua nuova famiglia da scordarsi di quella vecchia.
«Non è cambiato nulla Ady. – disse quasi leggendomi nel pensiero – La mamma chiama per le feste e lui fa altrettanto, ma meglio così, meglio ora, ricordi quando stavano assieme?».
Non risposi, ricordavo purtroppo. Ricordavo le liti, le urla, i pianti, la paura di Leo, le notti a casa di nonna. La separazione, alla fine, era stata un sollievo, nonostante fossimo diventati dei pacchi spediti da un capo all’altro dell’Italia. L’unica vera pace, la sola vera famiglia era stata con nonno e nonna, le estati con loro erano piene di gioia e amore. Tutto ciò che io e Leo siamo adesso lo dobbiamo a loro, a questi grandi nonni di cui portiamo i nomi.
***
La casa di nonna Adele era sempre uguale, ordinata e con quel profumo che evocava in me ricordi belli e di un’infanzia a tratti felice.
«Nonna!», la abbracciai forte, sentii il suo odore e capii di aver fatto la scelta giusta.
«Nichitta mia, quanto sei bella, che gioia mi hai dato. Quanto ti fermi, aspetti Matteo?».
«Non lo so ancora nonna, per adesso voglio solo riposarmi un pochino».
«Vuoi farti una doccia? Ho detto a Leo di andare a prendere Elisa e a picciridda così mangiamo tutti assieme».
«Non vedo l’ora di vedere Sveva, dalle foto sembra grandissima!».
«È una gioia ‘sta picciridda, ma dimmi di te: come ti senti? Nemmeno si vede ‘sto pancino! Com’è che ancora non vi hanno detto se è maschietto o femminuccia? Volevo farti un paio di sciarpette, ti serviranno, fa freddo a Firenze, mica è come qua».
«Purtroppo ancora non si fa vedere, ma è questione di tempo», mi voltai perché ero certa che avrebbe capito il mio disagio.
Il pranzo della nonna fu abbondante e buonissimo, non mangiavo così da secoli, l’odore di casa e la serenità acquisita mi avevano fatto venir un appetito che non avevo mai avuto a Firenze. Mia nonna, appoggiata da mia cognata Elisa, continuava a dirmi che ero troppo magra, tanto da non sembrare nemmeno incinta, a Sveva lo avevamo detto e lei era stata tutto il tempo a fissarmi la pancia e poi, con la spontaneità dei suoi tre anni e mezzo, mi era venuta accanto e mi aveva detto piano: «Zia, lo so che sarà una femminuccia».
Per non piangere lì, davanti a tutti, mi alzai dicendo che volevo chiamare Matteo e sdraiarmi un pochino. Mi dissero di salutare Matteo da parte loro, si sentì un coro mentre salivo le scale e le lacrime uscivano prepotentemente dai miei occhi.
Sdraiata sul letto, a occhi chiusi, ripensai a Matteo: il mio amore grande, l’uomo forte a cui mi ero appoggiata, l’illusione più grande della mia vita. Il suo volto sembrava essere davanti a me, riuscivo persino a sentire il suo profumo, forse erano i miei vestiti ad avere l’odore della mia vecchia casa, della mia vecchia vita e dovevo liberarmene per ricominciare. Non avrei neanche disfatto le valigia, avrei dato tutto ad Elisa e mi sarei vestita con abiti da futura mamma.
***
I giorni a casa della nonna furono un toccasana per la mia mente e il mio corpo, facevo colazione con la granita alla menta che solo lei sapeva fare. Seduta in quel cortile, a me tanto caro, aspettavo l’arrivo di un nuovo giorno. Andavo spesso al mare con Elisa e la piccola Sveva, altre volte da sola, e poi tutti a pranzo dalla nonna; mi sembrava di essere tornata indietro nel tempo, prima di lasciare tutto per andare all’università, prima di essere la donna oggetto di un uomo bellissimo, prima che quello stesso uomo mi annientasse. La notte era il momento più brutto, il sonno non arrivava, la mente vagava, spesso dovevo alzarmi, avevo paura di non respirare più.
«Nonna, dormi?».
«Adele che c’è? Ti senti male?».
«No, volevo semplicemente dormire con te, se vuoi…».
«Ma certo nichitta mia, vieni qui».
Avrei voluto essere ancora figlia.
Quella notte sognai Matteo, sognai quel pomeriggio maledetto, ma con un finale diverso: nel sogno era dolce, passionale e forte. Era come quando gli caddi quasi sopra, scendendo le scale dell’università e rimasi ferma tra le sue braccia, persa in quegli occhi così audaci, di un nocciola caldo e intenso.
Una settimana dopo eravamo già amanti, sei mesi dopo mi aveva chiesto di sposarlo. Nessuno mi disse “…è troppo presto”, “pensaci bene”, “non lasciare gli studi, realizzati”…
Solo nonno Leo mi chiese: «Sei felice Adele?».
«Sì».
Felice lo ero, immensamente felice, moglie di un uomo bello da togliere il fiato, gentile, forte e poco importava dei miei studi, io volevo lui e basta.
Giorno dopo giorno mi lascia chiudere nella mia gabbia dorata, quando potevo lo seguivo nei suoi viaggi, ma il più delle volte ero lì, a casa ad aspettarlo. Quando eravamo insieme, però, tutto si annullava, pelle contro pelle lui colmava tutti i miei vuoti e le sue assenze: ero al sicuro.
***
Quella gravidanza inaspettata fu il coronamento del nostro amore, Matteo esplose di felicità quando al rientro da un viaggio trovò sul letto il mio test di gravidanza e un paio di calzini da neonato.
«Mi hai reso l’uomo più felice del mondo, Adele».
«Sei tu che hai reso me la donna più felice al mondo».
Matteo non era mio padre, io non ero mia madre, il mio piccolo tesoro avrebbe avuto un padre forte e una madre presente, avrebbe avuto quella famiglia che io avevo sempre e solo sognato.
La notte posava la sua mano sul mio ventre e poi lo baciava: «Ciao campione, lo sai che papà non vede l’ora di vederti? ».
«Guarda che potrebbe essere una femminuccia», lo riprendevo scherzosamente.
«È un piccolo campione, me lo sento, faremo grandi cose insieme!».
«Matty, andrà tutto bene, vero?».
«Certo che andrà bene, io sono qui con te».
Il medico passava l’ecografo sulla mia pancia appena più rotonda, avrei voluto Matteo con me, ma come al solito era fuori Firenze. Mi sentivo strana fin dalla mattina, non avevo fatto neanche colazione, pensavo fosse per via dell’ansia, mi emozionavo sempre a ogni ecografia, soprattutto quando il dottore mi faceva sentire il battito, il suono più dolce che avessi mai sentito.
«Signora, suo marito è fuori? Possiamo farlo entrare?», mi disse a un certo punto il dottore con l’aria preoccupata.
«No, perché? C’è qualcosa che non va? Che succede il bambino? Sta bene?».
«Desidererei che lei facesse degli esami più approfonditi, signora».
Mi manco il fiato e scoppia a piangere: «È successo qualcosa al mio bambino?».
«Signora, si calmi, non bisogna allarmarsi prima di avere delle certezze».
Tornai a casa distrutta, non dissi nulla a Matteo, non volevo allarmarlo o forse non volevo deluderlo. Più della forza della paura, c’era quella dell’amore per la creatura che portavo dentro e che dovevo proteggere a tutti i costi.
Feci tutti gli esami prescritti dal dottore, senza dire nulla, senza avere mai nessuno che mi accompagnasse, eravamo soli: io e mio figlio.
Ed eravamo sempre noi due quando il medico lesse l’esito di quegli esami davanti a me: «Signora, sarebbe stato meglio se lei non fosse stata da sola oggi…».
«Mi dica tutto dottore, la prego, l’attesa mi sta uccidendo».
«Aspetta una bambina, che però come sospettavo è affetta dalla sindrome di down».
***
Da quel momento in poi non ricordo più nulla, so soltanto che andai a casa, staccai tutto, chiusi le tapparelle e mi misi a letto. Piansi tanto e forte, risentivo le parole del dottore: “Ha ancora tempo signora, ci pensi bene con suo marito e poi decidete insieme”.
Ma cosa avrei dovuto decidere? Se uccidere o meno mia figlia? La mia bambina che aveva il suo cuore nella mia pancia? Chi ero io per decidere della sua vita?
Il venerdì Matteo tornò, mi preparai a dargli quella notizia sicura che, dopo aver diviso questo peso con lui, mi sarei sentita più serena e sarebbe comunque stata la nostra campionessa. Non volevo aspettare, stretta nel suo abbraccio di bentornato dissi tutto d’un fiato: «Matteo, ho dovuto fare degli esami specifici in questi giorni, ho scoperto che aspettiamo una bambina e che è down».
«Cos… cosa dici Ady? Si saranno sbagliati, non può essere, domani andiam…», non lo lasciai finire.
«Non c’è nessun errore Matty, è così e dobbiamo accettarlo, è sempre la nostra bambina».
«Cosa cazzo dici Adele, cosa? Hai idea di cosa significhi? Sei pronta ad affrontare tutto? Oh mio Dio, ma come è potuto succedere?», si staccò da me come una furia, si sedette con la testa tra le mani, mentre io ero immobile, spiazzata e impaurita.
«Giuro che mi sarei aspettata di tutto, Matteo, ma non che reagissi così, non hai idea di cosa ho passato, di come mi sono sentita mentre facevo gli esami, come fai?».
«Da quanto lo sai? Avresti dovuto chiamarmi, dobbiamo parlare col dottore, ragiona Ady, ti prego, pensa a noi, pensa a me», sembrava nel panico, rosso in viso e sudato, non lo avevo mai visto così.
«Cosa vuoi dire Matteo?».
«Voglio dire che non possiamo permetterci una figlia malata, tu non hai idea di cosa ci aspetterebbe, come faremo? Io col mio lavoro, tu non potresti seguirmi, distruggeremo tutto Ady, tutto».
«No, non è possibile, mi stai chiedendo di abortire? Vuoi che io uccida mia figlia?», gli urlai in faccia le sue parole, tenendomi il ventre come per difendermi e difenderla.
«Io non voglio una figlia così…», disse con più calma.
«Non puoi dire questo, è mia figlia, la mia bambina, e tu sei suo padre, dovresti amarla nonostante tutto, non puoi toglierle la vita, ha il diritto di nascere e di essere felice tra di noi», scoppiai a piangere.
«No, Ady, io non sono pronto a gestire una situazione simile, se tieni lei, perderai me».
«Matteo no, ti prego, non puoi chiedermi di scegliere tra te e nostra figlia, è inumano, guardami, sono io con dentro tua figlia», mi avvicina a lui che prontamente si scansò.
«Riparto domattina, al mio ritorno fammi sapere la tua decisione, se mi ami pensa a me, a noi, a tutto ciò che abbiamo costruito».
La mia risposta non arrivò mai, non appena lui ripartì io feci le valigie: avevo già deciso. Non meritava neanche le mie parole, solo per rispetto degli anni passati assieme gli scrissi poche righe prima di andare via.
“Ho deciso Matteo, ho scelto il diritto alla vita”.
***
Matteo non rispose mai alla mia lettera, aveva accettato la mia decisione, aveva rinunciato a noi.
Per i primi giorni in Sicilia, ho sperato di vederlo arrivare in lacrime, a chiedermi scusa, lo avevo immaginato mentre ci abbracciava e ci rassicurava che sarebbe andato tutto bene perché papà sarebbe stato accanto a noi, ma invece passarono i giorni, i mesi, quella pancia cresceva, la mia bimba si muoveva e io dovevo dire la verità.
«Nonna, che fai?».
«Sto facendo i maccheroni, domani vengono Leo e ‘a picciridda».
«Posso aiutarti? Devo dirti una cosa…».
«È di Matteo che mi vuoi parlare, vero? Sono vecchia, ma non sciamunita».
Le mie barriere si spezzarono, le lacrime arrivarono come una diga aperta.
«Nonna, lui non ci ha volute, non voleva la bimba che porto dentro e, di conseguenza, non ha voluto me, mi ha chiesto di scegliere tra lui e mia figlia».
«Manco uomo si può chiamare!».
«Mi dispiace averti mentito, non riuscivo a dirti che aspetto una bimba down».
Lei aggirò il tavolo, con le mani ancora sporche di farina prese le mie tra le sue.
«Adele, nichitta mia, questa figlia è un dono di Dio e se lui l’ha mandata così è perché sa che sarai una buona mamma… – mi strinsi a lei singhiozzando – e ora andiamo a comprare un pochino di lana che domani inizio una sciarpetta per ‘sta creatura».
«Nonna, ma con tutte le cose da pensare, ti preoccupi della lana?», risi tra le lacrime.
«Certo, a casa ne ho solo un pochino viola, ma non ci basta».
«Hai detto viola?».
***
Il 26 dicembre, sotto una pioggia battente, nacque Viola Stefania Adele, la mia meravigliosa bimba down. Quando mio fratello venne a vederla mi sentii in colpa per averglielo tenuto nascosto.
«Leo, non sono riuscita a dirtelo, ma Viola è…».
«Viola è viva, è questa la cosa più importante!».