Tante storie magiche
Wrong
“Wrong” di Maria Dotto
Oggi è un altro di quei giorni. Quei giorni bui, in cui tutto sembra andare per il verso sbagliato. Quei giorni difficili, in cui a volte, ti dimentichi persino di te stessa.
E oggi, alla luce di questo giorno, io soffro. Ancora una volta.
Mi chiamo Veronica e ho diciannove anni.
Una storia come le altre, direte voi. Una ragazza come tante, ma non è esattamente cosi. Ho un segreto che porto nel cuore, da oltre ormai, tre anni. Un segreto che non tutti conoscono e che non capiranno quasi mai.
Quindi, tocca fare una correzione. Mi chiamo Veronica, ho diciannove anni e sono malata.
Di Fibromialgia.
Non si sa quale sia la causa che la manifesta, in genere è cosi. Ma nel mio caso, lo so.
Sono stati una serie di errori a farmi ammalare. Errori commessi da chiunque mi circondava: amici, parenti. Errori che mi hanno portata a dubitare di me stessa.
Tre anni fa, mia sorella ha perso la vita in un incidente stradale. Da allora la mia vita sembrava essersi avvinghiata ad un sedile delle montagne russe e non aveva intenzione di scendere. Credo che, neanche adesso, sia scesa. A volte, mi sembra ancora di roteare all’insù e sottosopra. Ho iniziato a dormire male, a provare dolore alle ginocchia, alle braccia. Non riuscivo più a fare ciò che facevo prima. Anche camminare mi pesava. Iniziai a perdere lucidità e spesso non riuscivo a concentrarmi e dovetti lasciare la scuola. Ancor prima di prendere il diploma.
Non capivo cosa mi stesse succedendo, il mio corpo era giovane e tonico, ma dentro era vecchio, come se fossi arrivata ad una veneranda età. Nemmeno gli altri riuscivano a capirmi. Entrai in un tunnel buio, casa della depressione, tutto mi sembrava sbagliato. Io mi sentivo sbagliata, inutile, come qualcosa da cancellare.
Avevo perso non solo il mio corpo, ma anche i miei amici, la mia famiglia. Mi sentivo un errore, qualcosa venuto al mondo in modo sbagliato. Quando capii che in me, stava cambiando qualcosa, fu troppo tardi. Ormai la malattia si era annidata nelle mie viscere, nei miei muscoli, come se volesse avvilupparmi nelle sue losche spire. Quando provai a chiedere aiuto, ormai era cronica.
Ci furono tantissimi esami sbagliati, visite inutili. Avevo qualcosa dentro di me, ma nemmeno i medici sapevano cosa. Ospedali, ambulatori, cliniche: ne ho visti fin troppi. Sembravo di colpo finita in quelle serie tv mediche, da quattordici stagioni. Mai viste in vita mia, ma in quel frangente pensavo che forse, lì, avrebbero saputo aiutarmi. Purtroppo non era una finzione. Era la realtà, la mia realtà.
Ricordo che quando, finalmente, mi diagnosticarono questa malattia, non sapevo neanche pronunciare il suo nome.
Fibromialgia.
Dovetti scriverla un paio di volte, per accettarmi che non fosse frutto della mia immaginazione, cosa di cui spesso gli altri, mi avevano accusata.
Ricordo anche che ne fui contenta all’inizio. Di colpo non mi sentivo più cosi sbagliata, inutile.
Non era colpa mia. Non ero pazza.
Adesso, dopo tre anni, convivo con questa nuova “amica”. L’unica che conosce ogni centimetro di me.
Mi dirigo verso lo specchio, a passi lenti. Oggi ho dolore ai piedi e alla schiena. E’ una bella giornata di sole, ma non ho voglia, né la forza di uscire.
<<Buongiorno>>, sussurro al mio riflesso. Sono sicura che “la parte oscura” di me, stia ascoltando.
Cerco di pettinarmi i capelli biondo grano, ma anche tenere la spazzola in mano, è uno sforzo enorme.
L’odore di caffè, invade la mia stanza. Mia madre sta preparando la colazione, ma oggi non ricordo neanche che giorno è. A volte capita, devo scrivere ogni cosa che succeda, per paura di dimenticarmi da un giorno all’altro.
Sulla mia scrivania, sono posate tutte le mie valigette porta-trucco. Ieri mi sentivo splendidamente, e mi sono divertita a truccare Valeria e a scattarle delle foto.
Ecco, questa è una delle cose che la Fibromialgia non ha sconfitto: la mia creatività.
Dopo aver lasciato la scuola, e dopo gli innumerevoli pianti, sono riuscita a frequentare un corso di make-up.
Non mi sono arresa, anche se la mia amica, molto spesso non voleva che andassi costringendomi al riposo forzato.
Ma ho imparato a essere più forte e fare quello che più mi piace, fin quando il mio corpo lo permette.
Vivo in un paesino di montagna, in provincia di Treviso. L’aria che respiriamo quassù, è indescrivibile, ma a volte sembra di soffocare.
Riordino la mia camera, anche se sono sicura di dimenticare qualcosa.
Quando rifaccio il letto, una fitta alla schiena mi fa fermare di colpo. Faccio qualche respiro, per rilassarmi.
Sento uno stridio di freni, sotto la mia finestra. Di colpo, ricordo cosa avevo dimenticato: Marco.
Apro la finestra e lui è là, in sella alla sua Mountain Bike rossa, con una borraccia attaccata al manubrio.
E’ bello come il sole, è più grande di me di tre anni ed è il mio fisiatra.
Già!
Lui è stata l’unica persona a credermi davvero. L’unica che si è accorta che in me c’era qualcosa di molto più grande di un disturbo dell’attenzione.
Mi è stato vicino, quando gli altri non avevano tempo per me. Non mi ha mai detto: “Passerà”.
Ma ha ascoltato ciò che avevo da dire, senza mai tirarsi indietro. Ed io ero completamente cotta di lui.
<<Ciao, pigrona>>, mi saluta. Qualcosa nella mia espressione, lo allarma. <<Non avrai mica dimenticato la nostra gita, vero?>>.
Purtroppo si, Marco.
<<Oggi mi sento uno schifo, non mi va di pedalare>>.
Al solo pensiero, la mia amica intima, sorride soddisfatta. Qualunque cosa che può mettermi i bastoni fra le ruote, la fa trionfare. Dannata di una fibromialgia.
<<Adesso vengo su>>, dice Marco, posando la bici accanto al muro di casa mia.
Lo sento parlare con mia madre in cucina e dopo qualche attimo è su da me. Bellissimo con quei suoi capelli neri e gli occhi blu.
Mia madre non batte ciglio sul fatto che un ragazzo bello come lui sia nella mia camera. E’ convinta che le sue visite siano soltanto terapia, ma questa volta è il mio cuore ad aver bisogno di una spinta.
<<Vediamo, cos’hai?>>, mi chiede dolcemente.
<<Mi fanno male i piedi e la schiena>>.
Lui mi fa sedere sul letto e inizia a farmi dei massaggi. Non capisco come faccia, ma il dolore si allieva.
<<Va meglio?>>.
<<Si, grazie>>, gli dico.
<<Allora, andiamo?>>, mi chiede sorridendo.
<<Non me la sento, Marco. Non ce la farei mai a pedalare>>.
<<Signorina Veronica, l’attività fisica è un ottimo rimedio, per cui muoviti e vieni con me>>.
Lo guardo dubbiosa e lui insiste ancora. <<Dai, se non ce la farai, ci fermeremo. Te lo prometto>>.
Come posso resistere? Gli sorrido e annuisco. Infilo le scarpe, con un po’ di fatica e prendo le mie cose. Lancio uno sguardo allo specchio: un punto per me, amica!
La giornata è primaverile, l’estate è alle porte e si sta bene all’aperto. Anche se ho dovuto indossare una felpa per tenere i muscoli al caldo.
Seguo Marco, a qualche centimetro di distanza. Non ho tutta la sua forza per pedalare. Sarà come dice lui, il moto mi farà bene, ma mi sento già stanca.
Il paesaggio cambia man mano, dalle villette a schiera del mio quartiere, ci ritroviamo nella più aperta campagna. Un campo di margherite, alla mia destra, attira la mia attenzione.
<<Marco, ho bisogno di una pausa>>, gli urlo per farmi sentire.
Lui frena subito e annuisce. Ci dirigiamo verso il campo, il forte odore dei fiori mi solletica le narici.
<<Ho saputo che le analisi di ieri sono andate bene>>, mi dice, quando si siede accanto a me. Posso avvertire il calore confortante che emana.
Un’altra caratteristica della mia malattia, è la riduzione dei globuli rossi, il che mi porta ad essere soggetta ad altri tipi di malattia. Fortunatamente, da oltre un anno ormai, i miei valori sono tutti stabili. Un altro punto a mio favore.
Annuisco. <<Si, è tutto nella norma>>.
Chiudo gli occhi e alzo il viso verso il sole. La mia pelle esulta a quel tocco caldo e delicato dei raggi solari. Sento lo sguardo di Marco su di me, ma fingo di ignorarlo.
<<Sei diversa, lo sai?>>.
Mi volto a guardarlo. <<Cosa vuoi dire?>>.
Lui si strinse nelle spalle, un po’ imbarazzato. <<Quando sei venuta da me eri disperata, adesso invece sei una donna adulta>>.
Non so se prenderlo per un complimento, ma so che ha ragione.
Gli sorrido. <<Tu sei stata la mia ultima risorsa. Quando hai scoperto cosa avevo, ne sono stata addirittura felice. Questo significava che non ero pazza. Ma quando ho iniziato a comprendere la gravità della cosa, mi è crollato tutto addosso>>.
Lo guardo, mentre prende la mia mano tra le sue.
<<Però adesso è tutto diverso>>, continuo. <<Nonostante tutti gli altri mi abbiano abbandonata, tu sei rimasto al mio fianco. Ormai ho accettato le condizioni, questa sono io>>.
Marco mi guarda in modo insistente e io arrossisco. Sento il calore invadermi le guance, ma posso sempre attribuirlo al sole.
<<Voglio soltanto dirti che non devi sentirti diversa dalle altre persone, Veronica. Non lo sei>>, mi dice con un timido sorriso. <<Puoi essere tutto ciò che vuoi, puoi fare ciò che vuoi. Magari più piano degli altri, seguendo i tuoi tempi, ma hai una vita d’avanti. Non puoi arrenderti al volere della malattia. Non devi>>.
Le sue parole mi scaldano il cuore e l’anima. Qualche lacrima riga il mio viso, ma mi accingo subito ad asciugarla. Marco ha ragione, devo farcela. Per la mia famiglia, per lui, per mia sorella. Ma soprattutto per me stessa.
Ho sempre pensato di essere sola, nonostante l’appoggio di mia madre. Ma adesso c’è Marco e c’è Valeria, che ho conosciuto al corso di makeup, e sono sicura di trovarne tanti altri di amici. Amici che non mi giudicheranno, amici a cui andrò bene lo stesso.
Marco allunga una mano per accarezzarmi i capelli e il mio cuore inizia a battere forte. Ti prego, fa che lui non lo senta, mi ritrovo a pensare.
<<Posso baciarti?>>, mi chiede.
Okay, adesso immagino anche le cose. Certo che oggi, la mia cara amica si sta dando alla pazza gioia. Rimango in silenzio a guardarlo.
<<Vero..?>>.
<<Si?>>.
<<Posso baciarti?>>.
Il fatto che me lo stia chiedendo, invece di farlo, conferma che è soltanto una mia fantasia, ma poi mi accorgo, che è sempre più vicino, e riesco a sentire il profumo del suo dopobarba.
Chiudo gli occhi.
<<Si..>>, sospiro.
Le sue labbra sfiorano le mie, e il mio cuore, quasi cede. Mi sta baciando, sul serio. Non è un sogno. E’ tenero, dolce. Non ho mai baciato nessuno in vita mia, eppure lui neanche se ne accorge.
Mi cinge la vita con un braccio e io sospiro. Ma non di dolore. Non sento praticamente più nulla.
Quando si ritrae, mi guarda negli occhi. <<Mi piaci tantissimo, lo sai?>>.
Mi sembra quasi di volare e sorrido. <<Anche tu mi piaci tantissimo>>.
Lui ride, e mi abbraccia, attento a non stringermi troppo forte. Rimaniamo qualche minuto cosi, in silenzio.
Mi sento bene.
<<Okay, ora possiamo andare>>, dice alzandosi e portandomi con sé.
<<Dove?>>, chiedo, sorpresa.
Mi indica un punto in lontananza. <<Laggiù. C’è un ranch, voglio mostrarti i cavalli>>.
Ho sempre amato i cavalli, sin da quando ero piccola. Ma il punto indicato è molto lontano, non sono pronta per pedalare di nuovo.
<<Marco, non so se l’hai notato, ma è molto lontano per me>>.
<<E chi l’ha detto che devi pedalare?>>.
Lo guardo confusa, mentre lui recupera la sua bici e mi fa cenno di avvicinarmi.
<<Sali>>, mi indica il manubrio.
<<Sul manubrio? Cadrò e mi farò molto male>>, gli dico.
Lui ride. <<E allora? Sono il tuo fisiatra, ti aggiusterò>>.
Mio malgrado scoppio a ridere, mentre lui mi attira a sé, dandomi un bacio lieve.
Ah, questi ragazzi!
Faccio come dice, mi sistemo con qualche difficoltà, e mi mantengo forte con le mani.
Marco sale in sella e inizia a prendere velocità. Il vento mi sfiora il volto, i capelli, è una bella sensazione.
Inizio a ridere spensierata. Anche se stasera, sarò un rottame umano, non mi interessa adesso. Voglio vivere, e vivere significa anche libertà. Libertà significa felicità. E adesso basta sentirsi inutili, sbagliati ed esclusi. La vita è fin troppo preziosa, per perdersi.
Ho deciso di non nascondermi più, voglio avere il potere e il comando della mia vita. Qualunque essa sia.
Mi volto a guardare Marco che mi sorride, contento.
Cara Fibromialgia, ho vinto io.
Ora e sempre.