Tante storie magiche
Insieme a Melody
Insieme a Melody
di Daniela Perelli
Davis aveva sempre saputo che non sarebbe stato facile, che la sua vita sarebbe sempre stata dedita al lavoro, ma non si era mai spaventato. Sin da piccolissimo era sempre stato sicuro e deciso nelle sue scelte.
Di certo non era stato poi tutto così difficile: un quoziente intellettivo ottimo, non aveva mai avuto bisogno di studiare molto per una interrogazione o un compito in classe, piaceva agli insegnanti ed era un vero e proprio leader anche tra i suoi compagni. E tutto ciò sin dall’asilo, per poi arrivare all’università con quel suo bell’aspetto… Le ragazze facevano sempre in modo di attirare la sua attenzione e lui se ne compiaceva parecchio. Aveva sempre molti appuntamenti, ma mai nulla di serio. Lo studio, lo sport, gli amici, il desiderio di avverare i propri sogni… lo portavano a essere troppo concentrato per pensare di avere una ragazza fissa. Era fatto così e, una volta laureato e una volta cominciato a lavorare, le cose non erano cambiate di molto.
Viveva nel suo appartamento, una deliziosa mansarda nella piazza principale di Acqui Terme, cittadina piemontese, che si affacciava sulla storica Fontana della Bollente: si svegliava sempre presto, andava per un’ora a correre al parco con il suo amico Stefano, tornava a casa, si preparava e faceva colazione. Cominciava le sue giornate come consulente nella scuola elementare della città, grazie alla sua laurea in Pedagogia e, come se non bastasse, aveva superato le selezioni presso l’ufficio giudiziario minorile che lo avevano portato a diventare un Giudice Onorario. Quindi, lavorava anche per due giorni a settimana nel tribunale minorile di Torino. Una vita piena, metodica, che lo rendeva appagato seppur per lavorare, essendo quello un campo difficile e per lo più precario, doveva avere sempre molta determinazione e studiare di continuo. Certo era che nulla avrebbe mai capovolto il suo essere integerrimo e metodico.
***
Celeste era sempre stata un tipino fuori dall’ordinario: disordinata, non amante delle imposizioni, intelligente, questo sì, ma in un modo tutto suo, perché a scuola, già dalle elementari se non le andava di eseguire un certo compito o di studiare una determinata materia si comportava in un modo tutto suo. Quel modo di fare schematico che era d’obbligo seguire le stava stretto, lei amava imparare leggendo molto, ma solo ciò che davvero le piaceva, stando a contatto con la natura. Amava gli animali, ogni essere vivente.
Già sapeva sin da piccola che da grande sarebbe diventata veterinaria, poco importava cosa le insegnanti le dicessero, sul fatto che avrebbe dovuto studiare di più se davvero un giorno voleva diventare medico. E lei rispondeva sempre nell’unica maniera concepibile: e cioè che le esperienze vissute ogni giorno l’avrebbero portata ad avverare i suoi sogni.
E così aveva avverato tutto: una veterinaria lo era diventata, per di più era riuscita ad aprire una piccola clinica nel cuore di Acqui Terme, cittadina piemontese, insieme alla sua più cara amica, nonché ex compagna di università. Certo, Celeste era ancora oggi fuori dagli schemi e sopra le righe ma… nel suo lavoro nessuno era come lei. Nessuno sapeva capire, comprendere, comunicare con gli animali come lei faceva.
***
Non era stata molto fortunata, di questo ne era ormai certa.
Perché finire per la strada una seconda volta, stanca, infreddolita e affamata, per di più con un bel po’ di graffi… no, non solo era stata sfortunata, ma neppure molto amata.
La piccola quattrozampe era una meticcia di taglia media, dal pelo nero e corto, una macchia bianca alla base del collo e le zampe anch’esse bianche. Pareva avesse dei calzini.
Poi, i suoi occhi… uno marrone e uno azzurro, così belli e particolari, ma purtroppo sempre molto tristi, spenti.
Era così sola e spaventata, non riusciva proprio a capire perché si era trovata lì, qualche giorno prima, sul ciglio di una strada e ora, dopo molto tempo, nessuno era più venuto a cercarla, ad abbracciarla e a coccolarla.
E se il destino avesse li avesse fatti incontrare?
***
Era un venerdì sera come tanti, di un giorno di inizio autunno come tanti: Davis guidava la sua golf; era di ritorno da Torino. Era stata una giornata dura in tribunale visto il caso che stava seguendo di un minore conteso da entrambi i genitori in fase di separazione.
Parcheggiò e si avviò verso casa ma, una volta arrivato, proprio vicino al portone, notò un cane rovistare nella spazzatura. Lì per lì non seppe che fare, non aveva mai visto un randagio, sempre che lo fosse stato. Si avvicinò, il cane lo notò e si fermò di colpo, le due zampe anteriori appoggiate sul piccolo cassonetto, rimase dritto sulle due zampe posteriori ancora un po’. Di situazioni tristi ne vedeva così tante quando era in tribunale, non ne sapeva molto di animali, ma si rendeva conto che anch’essi erano anime innocenti e fragili e che, come i bambini, avevano bisogno di cure.
Cercò di sanare quelle crepe formatesi sul muro che si era costruito dal momento in cui aveva deciso di fare questo mestiere, mestiere che doveva portarlo a essere distaccato con i casi che gli capitavano in tribunale, e amichevole ma autoritario con i bambini della scuola nella quale faceva da consulente, eppure non poté fare a meno di avvicinarlo.
La via pedonale era poco trafficata, vista l’ora di cena.
“Ehi, piccolo…” Poi lo osservò meglio e si accorse che era una femmina. Si avvicinò ancora un po’, con molta cautela per paura che scappasse impaurita ma anche per evitare di essere morsicato, di certo non poteva aspettarsi la vera reazione del cane che, felice di essere al centro dell’attenzione di qualcuno, gli andò incontro e cominciò a fare a Davis un sacco di feste. Un sacco di feste imbrattandolo, visto che aveva le zampe sporchissime.
Preciso e ordinato com’era di solito, non gli fece molto piacere, storse un po’ il naso, ma poi si lasciò andare a quelle effusioni. Quell’affetto era davvero contagioso e diciamo pure che Davis non vi era di certo abituato. Si ritrovò per un attimo catapultato alla sua infanzia, al modo di essere un po’ freddo dei suoi genitori che non erano molto inclini alle coccole e, proprio in quel preciso istante, si rese conto che in verità ci aveva sofferto anche se non lo dava a vedere, serio e imperturbabile com’era anche da piccolo.
Fece poi cenno al cane di seguirlo. “Andiamo, bella.” Ovviamente la sua nuova amica non se lo fece ripetere due volte.
E ora che si trovava nella sua casa linda, con un cane sporco in maniera imbarazzante, cosa avrebbe fatto?
Per il momento riempì la sua vasca con tanto di doccia incorporata, non doveva essere poi molto difficile, sicuramente la cagnetta sarebbe entrata senza problemi, a chi non piaceva essere in ordine e profumato?
Diciamo che non fu proprio così semplice e, dopo varie peripezie, un tentativo di fuga che inzuppò e insaponò tutto il suo meraviglioso pavimento in cotto, riuscì nel suo intento.
Una asciugata col phon e… il gioco era fatto e Davis si sentì incredibilmente soddisfatto.
“Ora sì che ci siamo!” esclamò osservandola tutta tronfia dell’approvazione del suo nuovo amico.
Le diede poi dell’avanzo di arrosto, il suo arrosto speciale. Sì, perché Davis sapeva anche cucinare molto bene, sarebbe stato un uomo da sposare in effetti, se non avesse cambiato ragazza con la stessa facilità con cui si cambiava di abiti ogni giorno. Eppure, quella inusuale e inaspettata compagnia a quattro zampe lo rendeva così sereno e appagato… che strana sensazione! La piccola mangiò di gusto la sua porzione mentre Davis cercava di pulire e sistemare tutta quella confusione.
Le preparò una cuccia in camera sua con una vecchia e logora coperta, la osservò un po’ meglio una volta che la cagnetta si addormentò stremata: aveva qualche piccola ferita e lacerazione, ma non pareva nulla di grave. L’indomani avrebbe cercato una clinica veterinaria e l’avrebbe portata per una visita e le medicazioni del caso, poi avrebbe cercato un buon canile che potesse prendersene cura. Di certo lui, con la sua vita, il suo lavoro, il suo modo di fare… No, non poteva assolutamente tenerla con sé.
Dopo una doccia indossò i pantaloni del pigiama e si mise a letto. Prima di spegnere la luce della abatjour la guardò ancora una volta e pensò, più che altro i pensieri divennero parole.
“Chissà quante ne avrai passate, eppure… sei qui, ti sei fidata e non hai perso la tua vivacità…” L’opposto di ciò che era lui, in verità.
Spense la luce e si addormentò.
***
Un risveglio a dir poco umido per Davis la mattina seguente. Ci mise qualche secondo di più a capire cosa stava succedendo. Solo quando aprì gli occhi e si ritrovò di fronte un naso nero e umidiccio, due occhioni vivaci di colori differenti, realizzò.
“Ehi, buongiorno, hai dormito bene?” le domandò in maniera buffa come se la sua ospite potesse rispondergli. E, in effetti, una risposta la ebbe grazie a un abbaio deciso e spacca timpani. Le fece una carezza sulla testa e si alzò. Andò diretto in bagno per prepararsi e fare colazione. Solo dopo guardò l’ora e scosse un po’ la testa ricordandosi che era sabato e il sabato non lavorava, anche se si dedicava al riposo o alla lettura. Il suo svago quando voleva stare solo con se stesso, anche se non disdegnava di certo una birra con gli amici, appuntamento fisso del sabato sera, o una cena con annesso dopocena quando conosceva qualche nuova ragazza.
Poteva sembrare in effetti una vita piena: un buon lavoro, stipendio non esagerato ma dignitoso, una bella mansarda in centro città, amici, nuove amiche senza nessun impegno… Eppure qualcosa mancava, mancava poter parlare con qualcuno che capisse quanto in verità il suo lavoro con i minori era spesso difficile, quanto soffriva quando in tribunale vedeva famiglie allo sbando. Era solo bravo a nasconderlo, era professionale, solo il suo amico e collega, nonché insegnante di ruolo, lo conosceva meglio degli altri, ma era troppo bello parlare di sport o tanti argomenti futili per non intristirsi. Era un amico, non un confidente, in fondo!
Mentre i suoi pensieri vagavano e finì la colazione, così anche la dolce cagnetta, cercò su Google un veterinario vicino. Per quella mattina non sarebbe andato a correre, come ogni fine settimana spesso faceva.
“Direi che può andare bene, è aperto anche il sabato mattina sino a mezzogiorno” disse guardando poi la sua nuova amica che lo osservava con quegli occhioni così belli e particolari che sembrava capirlo. C’era solo un piccolo problema: non aveva un collare e un guinzaglio, non aveva mai avuto animali domestici, neppure pesci, criceti o simili, visto che i suoi genitori erano sempre stati contrari.
Per non rischiare che scappasse e finisse sotto una macchina, una volta giù nel portone, la prese in braccio, non era poi così pesante trattandosi di una taglia media. Si avviò rapido per la via già rumorosa in quanto ogni sabato mattina vi era il mercato, fece qualche slalom e arrivò alla macchina, le chiavi già in mano da ben organizzato qual era e la accomodò delicatamente dietro. Più tardi avrebbe pensato ad acquistare per lo meno un collare e un guinzaglio. Mise in moto e partì, ma non ci mise molto ad arrivare, la piccola clinica si trovava al piano terra di una palazzina degli anni ‘70 proprio di fronte alla piscina.
***
“Perché vede, dottoressa, Ginni per tutta la settimana non ha fatto altro che uggiolare a ogni minimo rumore, non è possibile continuare così, è sempre agitata, non sta mai calma, può darmi ancora un po’ di quelle goccine alle erbe? Sono veramente un aiuto!” disse la donna fiduciosa a Celeste.
Celeste ascoltava quella anziana signora ormai da un anno, ogni sabato mattina, da quando la sua Ginni era morta e aveva attraversato il ponte dell’arcobaleno raggiungendo gli altri animali, come a lei piaceva pensare, e come aveva detto alla donna per darle conforto. Solo che la povera signora era convinta che lo spirito della sua Ginni fosse con lei, riusciva anche a vederla e a capire ogni suo tipico disturbo proprio come quando era in vita e, a quanto pareva, nell’ultima settimana, Ginni, o meglio il suo spirito, avrebbe ripreso ad abbaiare e a uggiolare in maniera insistente. E Celeste, come ogni volta, le sorrideva e cercava di spiegarle con dolcezza la situazione.
“Signora, deve ricordarsi che la sua Ginni non c’è più, sono felice che lei ancora la percepisca e la senta così vicina da sentire ogni cosa, ma non deve preoccuparsi, i vicini non la sentono, quindi non disturba il caseggiato, può stare tranquilla. Se però ora lei comincia a non sopportare più il suo uggiolare e abbaiare insistenti forse è arrivato il momento di… lasciarla andare, ma sul serio…” terminò Celeste sotto gli occhi commossi dell’anziana signora, la quale trattenne a stento le lacrime.
“La ringrazio, dottoressa, mi rendo anche conto che dare una medicina a uno spirito è alquanto assurdo, ma io la vedo, la sento e a volte mi sembra anche di toccarla con le mie mani. Non posso, non riesco ancora a lasciarla andare. Non ce la faccio!” Celeste guardò la sua più cara amica Serena, nonché collega mentre, cercando di non entrare nel merito della conversazione, si limitò a sollevare un po’ le spalle come a dirle di lasciar correre ancora la cosa. Intanto, continuava a sistemare la scrivania che era un po’ troppo in disordine per continuare a stare così.
Celeste allora si avvicinò a una delle mensole e prese il campioncino che conteneva il medicinale omeopatico a base di camomilla e passiflora e lo diede alla donna che, felice come non mai, le salutò e si allontanò.
Solo che dalla parte opposta, nella saletta d’entrata e di aspetto, vi era uno sconvolto Davis che, siccome la porta dello studio era semi aperta, aveva sentito tutto.
Si limitò a dire uno stentato buongiorno alla donna che usciva di lì e a entrare con la sua amica cercando di far finta di nulla. Scrollò un po’ il capo.
“Buongiorno” salutò rivolgendosi alla dottoressa alla scrivania intenta a sistemare e poi rivolgendo la sua attenzione alla seconda, quella che una volta che si fu girata, rispondendo adesso al buongiorno, aveva capito essere la stessa che aveva parlato con quella signora del suo cane defunto.
Davis ci provò, davvero, a far finta di nulla, ma la sua espressione tra il dispiaciuto per la sofferenza di quella anziana signora, sicuramente sola, che aveva perso il suo compagno di vita, ma anche un po’ tra il divertito a immaginarla mentre cercava di dare quelle gocce a uno… spirito? Di certo lui non credeva a certe cose!
“Mi scusi, non ci eravamo accorte che in sala d’attesa ci fosse qualcuno. Forse… ha sentito tutto…” continuò Celeste facendo un sorrisetto preoccupato e anche un po’ imbarazzato. Era un nuovo cliente, quel ragazzo con il suo cane, forse stava pensando che erano una gabbia di matti.
Davis la guardava, di certo non poteva non notare quegli occhi azzurri e grandi, quel bel sorriso reso particolare e affascinante da un piccolissimo spazio tra i due incisivi. I capelli scuri e un po’ mossi lunghi sino alle spalle ma tenuti in ordine da un cerchietto.
“Sì, forse ho sentito più di quanto avrei dovuto” affermò. Nel frattempo, teneva ancora in braccio la sua dolce amica che si stava spazientendo curiosa e ansiosa di poter fare qualche festa anche alle due veterinarie. Davis capì un’altra cosa di lei: non aveva paura dei dottori.
“Prima o poi se ne farà una ragione” si intromise Serena avvicinandosi all’amica per porgerle un foglio che stava cercando, alzando anche un po’ gli occhi al cielo per la sua sbadataggine. Celeste le sorrise cercando la sua comprensione.
“Dunque, mi dica tutto” continuò Celeste rivolta a Davis e alla sua bellissima meticcia. “La accomodi pure sul lettino” terminò. E così fece Davis. Anche Celeste lo osservava un po’, era veramente attraente anche se l’espressione del viso pareva un po’ troppo severa. E di certo quegli occhi che sembravano grigi mettevano un bel po’ in soggezione. Serena, dal canto suo, osservò un po’ quella scena: che la sua amica dedita al lavoro, al volontariato, un topo da laboratorio eccentrico come lei fosse ammirata da un tipo, bello certo, ma dall’aspetto di un bacchettone?
“Vado a prendere un caffè, torno subito. Lo vuoi anche tu?” Celeste scosse il capo. Poi lo chiese per educazione anche al ragazzo, il quale disse un semplice “No, grazie mille.” E così si dileguò. Per quella mattina di stranezze ne aveva già cominciate a vedere troppe.
“Cosa le è successo?” domandò Celeste cominciandosi per visitarla con attenzione. Le sentì il cuore, controllò le zampe e la schiena. Davis spiegò tutto per filo e per segno. Celeste appurò che dovesse avere circa tre anni e constatò che non aveva il microchip, quindi era una trovatella a tutti gli effetti e, molto probabilmente grazie al cielo, di proprietà di nessuno.
“Conosce un buon canile dove io possa portarla?” domandò.
Celeste lo guardò dritto negli occhi.
“Un canile? Pensavo, sì, insomma, da come vi ho visti così affiatati che… il cane fosse suo, adesso. Mi è sembrata serena con lei, è sicuro di non volerla tenere con sé?” domandò un po’ indispettita. Davis sospirò.
“Vivo da solo in una piccola mansarda, sto fuori casa dal lunedì al venerdì per tutto il giorno, per di più due volte la settimana vado a Torino e torno ancora più tardi. Sarei libero solo nel fine settimana, ma non mi sembra abbastanza. Fino a venerdì dovrebbe stare sola tutto il giorno, non posso tenerla” terminò con tono quasi più per convincere se stesso che altri.
Celeste rimase in silenzio per il tempo necessario per ascoltare ancora il cuore del cane.
“E, invece, un canile, per quanto qui in zona ce ne siano di ben tenuti, le sembra una giusta soluzione?” domandò un po’ impettita cominciando poi a medicare i graffi della cagnolina che stava bravissima e ferma come se sapesse che la stavano aiutando a stare meglio. Nel mentre Davis le accarezzava il muso.
“E sentiamo, lei che prescrive gocce omeopatiche a una donna da dare al suo cane fantasma, ha un consiglio migliore?” Ecco che la sua vena di superiorità e strafottenza era uscita fuori. Quegli occhi severi erano anche sarcastici in maniera simpatica. Celeste, che non era certo un tipino che le mandava a dire, fece un sorrisetto di circostanza.
“Mi dica, signor…”
“Davis, mi chiamo Davis Pastorino” rispose.
“Piacere, Davis, io sono la dottoressa Celeste Montaldi. Ma, ora che ci siamo presentati e abbiamo raggiunto un grado di confidenza più importante ed educato, mi dica: lei cosa avrebbe fatto?” domandò, in realtà curiosa della risposta. Nel frattempo, diede qualche croccantino alla cagnetta come premio per essere stata così brava e lei in risposta intonò un uggiolare che sembrava quasi una canzone.
“Le avrei consigliato di parlarne innanzitutto con il suo medico di famiglia che magari le avrebbe consigliato uno psicologo con cui confidarsi. Nei consultori ce ne sono di molto bravi, nel caso la signora non avesse potuto permettersene uno. Un anno mi sembra eccessivo e dare delle gocce incentivando questa follia, non è di certo il comportamento di un medico…”
Celeste aprì leggermente la bocca, avrebbe voluto insultarlo, ma era in studio e lì, per lo meno, un tono professionale doveva mantenerlo.
“Non c’è nulla di male se la cosa dà alla donna un po’ di conforto, e poi come fa mi scusi a essere sicuro che la signora non veda davvero lo spirito del suo amato cane? Non può chiamare follia una cosa che non conosce e il fatto che io possa anche, che ne so, crederci, non mi rende un medico meno bravo!” rispose. Nel mentre, la meticcia continuava a intonare il suo canto.
Davis scrollò un po’ il capo e, per smorzare i toni, cercò di tornare all’argomento principale che riguardava la cagnolina randagia a cui, indubbiamente, si stava affezionando.
“Senta, la ringrazio molto. Mi dica quanto le devo per la visita e se vuole indicarmi un canile, una pensione per animali o qualcosa di simile dove portarla…” La prese di nuovo in braccio, il passo successivo sarebbe stato quello di comprare un collare e un guinzaglio una volta uscito di lì. Il grande magazzino degli animali per fortuna era a pochi minuti di macchina.
Celeste disinfettò il lettino da visita e sistemò lo stetoscopio e il disinfettante sul tavolino a lato. Ci fu un attimo di silenzio in cui sembrò rimuginare parecchio.
“Ascolti, innanzitutto per i nostri nuovi pazienti la visita è gratuita, seconda cosa ho una proposta da farle.” Davis la ringraziò e poi le rispose con un semplice “La ascolto.” Davvero? La ascoltava? Ascoltava la dottoressa un po’ svitata che forse credeva nei fantasmi?
“Se vuole può portarla qui, noi apriamo lo studio dal lunedì al venerdì alle dieci e facciamo orario continuato sino alle diciotto. Solo il sabato sino a mezzogiorno. Ho una vecchia cuccia e poi nell’ora di pranzo potremmo portarla fuori, siamo in due e ci diamo il cambio. Non sarebbe un problema, almeno per il tempo che le serve per organizzarsi e per abituarsi a lei.” Ci fu solo un attimo di silenzio e poi Celeste continuò. “Si dia del tempo, non si tolga questa possibilità. Loro sono un dono e il fatto di esservi incontrati in una circostanza così particolare…” La interruppe. Non era solo credulona, ma anche un po’ fatalista! Eppure non poté non dire: “Va bene, accetto, almeno fino a che non avrò trovato con calma una famiglia per lei…” rispose ancora incredulo. Ma cosa diavolo gli era venuto in mente? Celeste sorrise.
“Le ha dato un nome?” domandò. Davis ci pensò un po’ su. Uggiolii come canzoni, melodie…
“Melody!” affermò, deciso. La cagnolina si mosse tra le sue bracca un po’ troppo, a quanto pare le piaceva il suo nome.
“Mi sembra perfetto” terminò Celeste. Un ultimo sguardo fugace con quegli occhi così severi che, improvvisamente a pronunciare il nome della sua nuova piccola amica a quattro zampe, sembrarono subito più dolci.
Da lunedì, molte cose sarebbero cambiate.
***
Davis il guinzaglio e la pettorina li aveva acquistati, oltre a due pacchi di crocchette, una cuccia, ossi, qualche gioco, salviette… Se doveva tenerla con sé fino a che non avesse trovato una famiglia perfetta per lei per lo meno doveva farla sentire a suo agio.
Il fine settimana stava trascorrendo in modo non molto consono: quella sera il suo amico era da lui per una birra. Dopo una settimana di duro lavoro, niente locale alla moda, niente belle donne, ma una o forse anche due birre ghiacciate davanti alla tv a vedere il Super Boaul sul canale satellitare. Melody, nonostante la sua cuccia formato famiglia gigante, preferiva di gran lunga il divano, se poi in mezzo a Davis e al suo simpatico amico, tanto meglio.
Stefano, una birra nella mano destra, mentre con la sinistra picchiettava le dita sul bracciolo del divano. La partita in verità era un pretesto per curiosare su ciò che era davvero successo al suo amico che, per di più, aveva la barba di due giorni!
“Quindi” cominciò con lo sguardo diretto alla partita, “se ho capito bene, ieri hai trovato questa povera randagia sotto casa mentre frugava nella spazzatura, l’hai portata qui, le hai fatto il bagno, le hai dato da mangiare e il mattino dopo l’hai portata dal veterinario, o meglio veterinaria, che si è proposta di farti da dog-sitter fino a che non avrai trovato una famiglia che la addotti” terminò, con un sorrisetto divertito sulle labbra.
“Esattamente” rispose Davis poco prima di avvicinare la bottiglia di birra alla bocca e berne un altro sorso mentre con la sinistra accarezzava Melody. Ma l’amico non avrebbe mollato la presa, doveva indagare, perché lo conosceva troppo bene, sapeva quanto non gli piacessero le novità e quanto fosse metodico nella sua vita. Sapeva che difficilmente si sarebbe fatto scomporre da qualsiasi avvenimento, a meno che non stesse in realtà per crollare e tirar fuori una buona volta tutta quella sensibilità repressa per via della durezza costruita intorno al suo lavoro, specialmente da quando aveva cominciato a lavorare in tribunale come giudice onorario. Non era facile e lui lo sapeva bene e per questo aveva mollato.
“Oh, andiamo, ma mi prendi per i fondelli? Una buona volta ce la fai ad ammettere che anche tu soffri, che ti senti in difficoltà, che la pressione del lavoro a volte ti distrugge dentro a poco a poco?! Io l’ho fatto e lo sai, e da quando ho cominciato a far chiarezza in me stesso mi sento molto meglio…” terminò lasciando l’ultima frase in sospeso. Davis continuava a bere la sua birra e a non distogliere gli occhi dalla tv. Stefano scrollò il capo.
“Tu lo hai lasciato il lavoro in tribunale, Ste. Io non voglio mollare, io devo, devo…” L’amico sorrise lievemente.
“Lo so che è dura, credi che non mi ricordi quale è stata l’ultima causa a cui ho presidiato? Quella bambina in aula… non potrò mai dimenticare il suo sguardo impaurito. Quel giorno il giudice contava su di me, sulle mie esperienze, avrei dovuto formulare un giudizio oggettivo su quella situazione schifosa e decidere per il futuro di una bambina di appena sei anni!” terminò ora portando di nuovo l’attenzione sul suo amico che posò la birra sul tavolino di fianco e smise di accarezzare Melody che, agitata dalle voci che si facevano sempre più concitate, aveva preferito rintanarsi nella sua cuccia per continuare a dormire senza essere più disturbata.
Anche Davis sorrise per spezzare quella tensione.
“L’unica cosa che posso dirti è che non c’è un momento in cui io non provi un forte disagio nei confronti di quei bambini che incontro in tribunale e che hanno famiglie disagiate, o quei ragazzini che si credono uomini e si mettono nei guai o a quelle ragazze che…” si fermò un attimo prima di continuare, “Io lo amo quel lavoro e lo odio allo stesso tempo, certo è molto più facile tutti i giorni a scuola, i problemi degli studenti sono sciocchezze in confronto a ciò che trovo in tribunale, ma io non sono te, Ste, io voglio continuare e voglio imparare a gestire il mio stato d’animo. Ho ancora molta strada da fare, ma so che è quella giusta anche se difficile. E sì, stare qui sul divano a guardare una partita con il mio migliore amico e una randagia di cui prendermi cura, mi fa sentire bene. Era da tempo che non mi sentivo così bene, solo questo conta adesso. I giorni a seguire, vedremo…” Avrebbe voluto aggiungere di un paio di occhioni e un sorriso così luminoso e altrettanto imperfetto che lo aveva catturato, ma non era quello il momento.
Continuarono a guardare la partita, solo che ora Melody, visti i toni di nuovo calmi, si sistemò in braccio a Davis, strappandogli più di un sorriso.
Quella nuova amica aveva il dono innato del buonumore.
***
Quella settimana sarebbe stata più impegnativa del solito e Celeste ben lo sapeva: dopo poco più di un’ora avrebbe aperto, lei e Serena erano già in studio per sistemare alcune ricette e documenti.
“Io ancora non riesco a credere che ti sei proposta per aiutare quel tipo…”
“Non aiuto lui, do un sostegno a quella povera cagnolina che chissà quante ne ha passate” rispose. Serena inclinò lievemente il capo.
“E questo ti fa onore e poi c’è anche da dire che lui è… beh, un bel tipo davvero…” continuò. Celeste incrociò le braccia al petto.
“Così mi offendi, ormai dovresti conoscermi bene, anche se il padrone di quel cane fosse stato con la gobba e avesse avuto un grosso bitorzolo sul naso, li avrei aiutati lo stesso” terminò perentoria. Serena alzò gli occhi al soffitto.
“Lo so, certo che lo so, però almeno ammetti che è davvero affascinante. Un po’ troppo serio e composto, ma affascinante…”
Celeste mise via l’ultimo plico di fogli e sospirò.
“Sì, è vero, è proprio un bel ragazzo e chissà come saranno le donne che frequenta… Alte almeno un metro e ottanta, così per lo meno gli arrivano al viso, vitino da vespa, un genere su Barbie, molto raffinate, non so, ho questa idea…”
Ma non fece in tempo a continuare.
“In verità non mi piacciono le donne molto alte e poi le preferisco semplici e tutto è una Barbie tranne che semplice…” continuò Davis incredibilmente divertito con una punta di sadismo nel vedere la mascella di Celeste cadere a terra dalla vergogna. Serena lo salutò imbarazzata e si dileguò nel retro per sistemare alcuni asciugamani. Melody si sedette e si mise su due zampe per farsi notare.
“Oh, ecco, ma… era ancora chiuso, come ha fatto a…” Davis, ora un po’ dispiaciuto nel vederla balbettare la interruppe.
“A quanto pare non avete chiuso a chiave…” rispose.
Celeste si maledisse mentalmente per la sua sbadataggine. Era sicura, sicurissima di aver girato quelle dannata chiave!” Ma ormai era stata colta sul fatto, tanto valeva scusarsi.
“Mi dispiace per quelle chiacchiere da pettegole, vede…” Non poteva aprirsi una voragine sotto di lei per essere risucchiata via senza alcuna pietà?
“Mi scuso io per essere arrivato prima, ma mi hanno chiamato dal tribunale e devo andare a Torino” continuò prima di salutare Melody con una carezza sotto al muso come aveva constatato a lei piacere tanto.
“Oh, è un avvocato, allora” continuò.
“No, sono un Giudice Onorario, presidio per alcuni casi nel tribunale minorile, in verità lavoro nelle scuole elementari e medie a tempo pieno come consulente per l’infanzia. Sono un Pedagogista” disse. Celeste provò un’infinita e inspiegabile tenerezza. Non l’avrebbe mai detto a vederlo. Era proprio vero che l’abito non faceva il monaco.
“Capisco… Ha fatto bene, non si preoccupi: Melody è in buone mani.”
“Non ne dubito” continuò guardandola negli occhi con fin troppa attenzione “Tornerò qui verso le diciotto” disse, ancora. Celeste annuì. Non riuscì ad aggiungere altro.
Davis le diede poi una borsa con dentro un osso e i croccantini, Celeste la mise da parte.
“A stasera e grazie ancora, Celeste” disse ma poi, prima di uscire, si girò ancora verso di lei.
“Giusto perché tu lo sappia, riguardo la tua incredibile curiosità, mi piacciono le donne non troppo alte, formose e castane con un bel sorriso sincero…” E si allontanò, dopo averle dato del tu confessando questo suo piccolo segreto.
Celeste rimase di sasso, Melody vicina alla sua gamba ad aspettare quelle coccole che non ci misero molto ad arrivare una volta uscita da quello stato confusionale.
Serena spuntò dal retro solo con la testa.
“Potresti essere proprio tu il suo tipo.” E senza che l’amica avesse il tempo di rispondere si nascose di nuovo di là.
***
Era passata circa una settimana e Davis non aveva ancora trovato una famiglia per Melody.
In verità non era molto dispiaciuto, solo che quel giorno i suoi genitori che vivevano ad Asti sarebbero passati a fargli visita e… come dire… non aveva raccontato loro di questa novità. Non che fosse importante, era un uomo adulto e viveva da solo da quando aveva vent’anni, solo che non aveva voglia di raccontare o dare spiegazione ai suoi genitori che non erano stati mai molto amanti degli animali e che, non potrà mai dimenticare, di fronte a quel povero gattino fradicio e indifeso che si erano trovati davanti all’uscita di scuola quando aveva circa sette anni, non avevano mosso ciglio nel suo disperato tentativo accompagnato a un pianto incessante, di portarlo a casa con loro, di non lasciarlo lì solo e spaventato, ma loro non ne avevano voluto sapere! Quella scena e il ricordo di quel gatto che non aveva mai più rivisto si catapultò di nuovo nella sua mente di uomo ora ventinovenne quando aprì la porta di casa e se li ritrovò davanti. Di certo i loro modi ineccepibili lo avevano condizionato nel suo modo di porsi, ma fino all’arrivo di Melody, però.
“Davis, ciao” lo salutò sua madre seguita poi da suo padre, poco prima di entrare in casa.
Non ci fu il tempo però di molti convenevoli, perché Melody, seppur Davis si fosse raccomandato di stare buona per un po’ nella sua cuccia, non riuscì neppure questa volta a controllare il suo infinito entusiasmo e saltò addosso ai due spiazzati, increduli e un bel po’ indisponenti genitori.
“Ma, Davis, ma… oddio, che orrore, indosso un tailleur di Chanel… ma cosa ci fa questo cane in casa tua? Sei impazzito, per caso?” cominciò sua madre inorridita, seguita da suo padre che abbozzò un semplice: “Non ne sapevamo nulla!”
“Melody, da brava, seduta!” E finalmente riuscì nel suo intento. Perché l’adorabile meticcia si sedette da brava, muso in su, petto in fuori come a dire “Visto, sono bravissima!” E Davis non poté fare a meno di sorridere anche un bel po’ divertito.
Ci fu solo qualche imbarazzante momento di silenzio, nel quale sua mamma si lisciò il tailleur color pastello che pareva uno di quelli indossati dalla regina Elisabetta.
“Venite in cucina così vi racconto, vi stavo preparando il tè” disse incamminandosi seguito da loro che cercavano di far star lontana Melody che proprio non ne voleva sapere di non seguirli anche lei.
Si sedettero al tavolo, nel frattempo Davis preparava le tazze e metteva dei biscotti in un piattino.
“L’ho trovata che rovistava nella spazzatura proprio vicino al portone. Non potevo lasciarla lì. Me ne sto prendendo cura, sto cercando nel frattempo una famiglia che la voglia adottare.”
Non aggiunse altro, non ne ebbe il tempo visto che suo padre gli ricordava del suo lavoro, del suo impegno in tribunale, delle responsabilità nel tenere un animale in casa e del fatto che sporcassero… Ah no, quest’ultimo commento fu aggiunto da sua madre.
Ma Davis in verità non ascoltava neppure. Era sempre stato indipendente, aveva sempre fatto le sue scelte anche se loro avevano sempre qualcosa da criticare. Solo sul suo carattere erano riusciti ad avere la meglio, sul suo essere sempre così metodico, serio, imperturbabile, ma adesso stava anche un po’ cambiando sotto questo aspetto, e non gli dispiaceva, stava lavorando su se stesso.
Inutile dire che Melody non si era arresa per tutta l’ora successiva in cui rimasero lì, nonostante i modi distaccati della coppia, lei aveva sempre una simpatica musata da riservare a loro tanto da far scoppiare Davis a ridere di gusto dopo che se ne furono andati.
***
Il giorno dopo, essendo sabato, non avrebbe lavorato, eppure un salto alla clinica veterinaria l’avrebbe fatto lo stesso.
Quella prima settimana la giovane e bizzarra dottoressa Celeste si era presa cura di Melody, non poteva evitare di invitarla quantomeno a pranzo fuori. Tutto qui, un pranzo con una nuova amica, si disse tra sé e sé, anche se il cuore al suo pensiero fece un bel capitombolo.
Non che Melody fosse proprio disciplinata al guinzaglio, pareva più che altro un cane da tartufi: zigzagava a destra e a sinistra tutta intenta ad annusare ogni centimetro che raggiungeva di fronte a sé con una camminata piuttosto veloce. E si trattava di un cane di media taglia, per tanto non difficile da gestire, eppure Davis, nonostante non fosse proprio un minuscolo giunco, anzi tutt’altro, faceva fatica a mantenere un passo coordinato.
Non ci mise molto ad arrivare alla clinica. Era aperta, entrò e si sedette ad aspettare, visto che sentì alcune voci al suo interno. A quanto pareva era in corsa una visita e la porta era di nuovo socchiusa, pertanto, nonostante cercasse di pensare ad altro, nonostante Melody si fosse sdraiata finalmente stanca dandogli la possibilità di dare un’occhiata alle riviste veterinarie poggiate su un tavolino, non poté fare a meno di ascoltare.
“Vede, dottoressa, Penny non ne vuole proprio sapere. Rodolfo, il mio fidanzato, ormai vive con noi da tre mesi, e lei continua a fargli pipì sulle pantofole.” esclamò la donna. Davis dovette trattenersi dal ridere, voleva proprio vedere come Celeste avrebbe risolto questa situazione.
“Forse la cagnetta percepisce di stragli antipatica e reagisce in questo modo” disse la collega di Celeste. Poteva essere un’idea, in effetti, anche se forse c’era dell’altro.
“Antipatica a Rodolfo? No, lui la adora e quando succede ciò non la sgrida neppure!” continuò la donna.
“Anche non sgridarla è sbagliato, io credo che il suo fidanzato dovrebbe far capire a Penny che anche lui è un membro della famiglia e sgridarla con fermezza potrebbe essere la soluzione al problema” continuò, Celeste. Davis annuì, tra sé e sé a quella risposta.
“Ma vedete, noi pensavamo che sgridandola si sarebbe ingelosita e non si sarebbe mai abituata a una nuova presenza in casa…” La donna pareva parecchio confusa, anche se in buona fede.
“Certo, lo capisco, ma così state sbagliando. Penny ha proprio bisogno di essere sgridata, in particolar modo dal suo fidanzato. Se saprà essere fermo e deciso conquisterà la sua fiducia: c’è un momento per giocare con loro, per dargli tutto il nostro affetto, ma c’è anche un momento in cui è importante educarli e rimproverarli quando è il caso” continuò Celeste.
Davis doveva ammettere che era proprio brava nel suo lavoro anche se a vederla tutto sembrava tranne un medico. Sorrise tra sé.
La donna ringraziò e uscì dallo studio con la sua cagnolina che curiosa si avvicinò a una assonnata Melody. Davis si alzò dalla sedia, Melody fu subito scattante nonostante il sonno evidente dato dalla passeggiata non proprio rilassante per arrivare lì, salutò la donna che ricambiò cordiale ed entrò.
Salutò gentile la sua collega che ricambiò e poi incontrò lo sguardo stupito di Celeste che non si aspettava di trovarlo lì. Lo salutò un po’ imbarazzata, forse più dal disordine dello studio che era talmente pulito e profumato da fare parecchio contrasto con tutta quella confusione.
Ci fu solo qualche attimo di silenzio prima che l’amica lo spezzasse.
“Celeste, oggi vado via un po’ prima, allora. Giacomo partecipa a una corsa campestre e dice che non lo vado mai a vedere…” alzò gli occhi al cielo in modo buffo. Davis pensò che questo Giacomo doveva essere il fidanzato visto l’anello vistoso che portava e che lui notò quando la donna si portò le mani al viso in un finto gesto di disperazione che in verità si capiva che era amore.
E, infatti, Celeste sorrise divertita.
“Era ora che andassi a vederlo. Il prossimo anno vi sposate e non ti sei ancora interessata al suo sport preferito!” continuò scrollando il capo. La ragazza fece spallucce.
“Ah, l’amore…” terminò prima di togliersi il camice e prendere la sua borsa.
“Allora, ci vediamo lunedì. Sicura che non vuoi venire a mangiare una pizza con noi dopo la corsa?” domandò.
“No, stasera riposo, ci vediamo lunedì.” Salutò e se ne andò.
Erano soli, adesso.
“Come va la ricerca di una famiglia per Melody?” domandò Celeste avvicinandosi per farle una carezza e bearsi delle sue feste.
“Ancora nulla di nuovo” rispose. Celeste lo guardò.
“Forse è destino” continuò cominciando a sistemare un disordine che non aveva un inizio e una fine. Davis inclinò il capo lievemente.
“Io invece credo solo che ci vuole un po’ di tempo, non è un cucciolo, in quel caso sarebbe stato sicuramente più facile” rispose.
“Vedremo” continuò Celeste guardandolo di nuovo negli occhi.
“Non posso approfittare per sempre del tuo aiuto e io non posso dedicarle molto tempo…” Ma Celeste non lo fece continuare.
“Sì, lo so, il tuo lavoro ti impegna e lo capisco perfettamente, ma sono sicura che il giorno in cui troverai una famiglia per lei… correrai a riprendertela il giorno stesso perché ti mancherà.” Erano proprio diversi loro due: Celeste nonostante la razionalità che il lavoro di medico comportava era molto fatalista, creativa e viveva alla giornata. Davis, invece, studiava per bene il suo futuro e pensava che il destino solo lui stesso potesse costruirselo. Melody era davvero quel tocco di “originalità” che nella sua vita mancava e lo capiva benissimo, non era uno stupido.
“Sei libera per pranzo?” le domandò cambiando argomento. Avrebbero avuto modo di terminare quel discorso in un altro contesto. Celeste non si aspettava una domanda che pareva un invito e lui se ne accorse dall’espressione del suo viso.
“Oh, be’, sì… dovrei fare un salto al canile nel tardo pomeriggio, ma per pranzo… sono libera” rispose portandosi le ciocche di capelli dietro le orecchie in un gesto che sembrava più nervoso che naturale.
“Pensavo di mangiare qualcosa al chiosco che da poco hanno aperto vicino agli Archi Romani. Con Melody… non mi viene in mente un altro posto che abbia un prato così” terminò. Di solito lui quando invitava una donna a pranzo, o meglio a cena, la portava in un bel ristorante… Solito, poi: cena romantica, passeggiata, dopo cena… E poi, di solito, tutto finiva lì. Era un bel po’ diverso, invece, quando da un giorno all’altro la vita prendeva una piega inaspettata, certamente piacevole e divertente.
“Ok… volentieri. E poi io e Melody siamo amiche ormai” disse trovando l’assenso di una Melody euforica come non mai. Sembrava aver capito che sarebbe stata una giornata divertente.
“Chiudo lo studio verso mezzogiorno” continuò.
“Ripasso più tardi, allora” terminò Davis prima di salutarla.
E no, non aveva visto male: quelle guance erano diventate rosse. Si sarebbe un bel po’ divertito a metterla in imbarazzo. Sapere di piacere a quella donna lo elettrizzava come non mai, si sentiva come un ragazzino alle prime cotte e… lui non si era mai sentito come un ragazzino alle prime cotte, neanche quando ragazzino lo era stato.
***
Celeste non aveva un appuntamento da molto, moltissimo tempo: un po’ per il suo lavoro di veterinaria, perché portare avanti un proprio studio a ventisette anni non era di certo facile. Sì, la sua collega e cara amica, veterinaria anche lei, era un aiuto importante ma, essendo lei la socia maggioritaria, avendo ereditato una somma di denaro dai nonni materni, cercava di non gravare molte delle sue responsabilità burocratiche all’amica. Le sembrava giusto così.
E un po’ anche perché spesso si occupava, come volontaria, di curare i cani del canile, ma soprattutto per il suo modo di essere sopra le righe, i suoi modi di vedere la vita fantasiosi che poi portava anche nel lavoro e per lei erano un’arma vincente.
Il suo ultimo ragazzo, un ortopedico, frequentato per circa un anno, la criticava spesso, aveva sempre da ridire sul suo abbigliamento, sul suo modo di lavorare tanto da portarla a chiedersi più volte del perché stesse con lei… Poi aveva capito, Celeste, quei soldi ereditati dalla nonna facevano gola anche a lui che provò a chiedere un prestito a Celeste per aprire il suo studio, ma Celeste non accettò, spiegando che anche lei aveva lo stesso desiderio. E inutile dire come era finita, insomma.
E ora, eccola lì che si sistemava i capelli, si aggiustava la frangetta perfettamente dritta e corta, si sistemava la camicetta creando un piccolo nodo sopra l’ombelico coperto anche dai jeans attillati ma a vita alta. In effetti il suo era uno stile da Pin Up, in un certo senso: o piaceva alla follia, o non piaceva per niente. Ma poco le importava quello che gli altri pensavano di lei.
Si passò un velo di rossetto aranciato, un velo di rimmel e il phard sulle guance… Era perfetta per posare per qualche foto di un giornale vintage. Sorrise all’idea.
Davis era davvero diverso da lei: le camicie sempre perfette e inamidate segnavano un fisico atletico ma non esagerato. I pantaloni quasi sempre eleganti, anche se casual, gli stavano d’incanto. E quei capelli un po’ sbarazzini rendevano il tutto ancor più perfetto… lo aveva guardato bene e, proprio perché si rendeva perfettamente conto che non era l’uomo che faceva per lei, doveva smettere di fare certi pensieri.
Era nata solo una bella amicizia grazie alla piccola Melody, tutto qui. Una volta che Melody avesse trovato una famiglia, quell’amicizia sicuramente sarebbe finita. Era solo Melody l’artefice, il ponte conduttore che legava due cuori così differenti. Tutto qui.
Prese la borsa, uscì dallo studio e attraversò la piccola saletta d’aspetto. Chiuse la porta a vetri e tirò giù la saracinesca.
Nel frattempo Davis e Melody arrivarono. Davis oggi indossava jeans strappati al ginocchio, una maglietta bianca con scollo a v e un cardigan aperto… “Devi smettere di guardarlo, devi smettere, non fa per te…” si disse.
Di rimando Davis la squadrò spudoratamente dalla testa ai piedi, facendola balzare subito sull’attenti.
Stai molto bene, non ti avevo ancora vista senza il camice, sei…” Celeste lo interruppe.
“Stravagante” terminò. Davis la osservò ancora, nel frattempo Melody cercò le attenzioni di Celeste che, come sempre, non tardarono ad arrivare.
“Stravagante e… bella.” La fece arrossire. Quel complimento le fece piacere. Sapeva di essere un tipo ma… bella no, nessuno le aveva mai detto Bella. Carina, ma non bella.
“Grazie” rispose semplicemente prima di incamminarsi insieme. Melody al guinzaglio faceva strada a entrambi.
“Anche tu sei bello, anzi no bellissimo” avrebbe voluto dire, ma evitò.
Arrivati al chiosco presero due panini farciti con ogni sorta di unta leccornia dentro, due bibite e andarono a sedersi sul prato. La giornata era bellissima, un giorno di autunno caldo e soleggiato, tanto che Celeste non ebbe neppure bisogno di tenere il pullover sulle spalle. Lo mise in borsa. Anche Davis si tolse il cardigan e lo posò vicino. Non c’era molta confusione e poi il parco era talmente grande che Davis provò a sganciare Melody che, divertita, correva e riportava la pallina che lui le tirava. Fino a che stanca non decise di sdraiarsi e bearsi del sole.
“Raccontami qualcosa di te, sono curiosa” lo incalzò Celeste. In effetti non sapeva poi molto di lui.
“Non ho una vita molto interessante, in verità: sono nato e cresciuto ad Asti, ho vissuto a Torino per tutti gli anni di università, condividevo l’appartamento con altri due studenti. Una volta laureato mi è stato offerto un lavoro come Pedagogista qui, in una scuola elementare. Poi ho fatto alcuni corsi specifici e sono diventato un Giudice Onorario. Due volte a settimana lavoro a Torino al tribunale minorile, ma questo forse te lo avevo già detto.” Celeste era attenta.
“Deve essere un lavoro davvero stimolante, stare a contatto con i bambini, scoprire il loro mondo a colori…” disse. Davis le sorrise, sorrise per la sua visione felice delle cose. Era davvero piacevole la sua compagnia.
“Sì, quando svolgo il mio compito nelle scuole dove non ci sono grossi problemi è bello, in effetti, ma in tribunale… è un’altra cosa. Lì spesso mi ritrovo a dover decidere, a dare delle opinioni che potrebbero condizionare la vita del minore.” Celeste divenne seria.
“Scusami, mi dispiace, ho parlato in modo superficiale non conoscendo la situazione. Immagino che questo aspetto non debba essere molto piacevole” continuò.
“Non devi scusarti” le disse mentre, in modo del tutto involontario ma naturale, le sistemò i capelli sfuggiti dal leggero venticello dietro le orecchie e, come se niente fosse, continuò, “è il lavoro che ho scelto e che mi piace, nel bene o nel male, sapere di poter aiutare chi è più debole è una soddisfazione, in un certo senso. Anche se molto spesso è davvero difficile.” Celeste lo ascoltava anche se ancora percepiva quelle dita che le sfioravano i capelli e le orecchie nonostante ora fossero tornate al loro posto. Cercò di far finta di nulla, limitandosi a sorridergli per quel gesto gentile.
“Lo vedo che ti piace, te lo leggo negli occhi da come ne parli” continuò lei, “credo proprio che i tuoi genitori siano fieri di te, andare via di casa così giovane per studiare e poi per lavorare…” Davis fece una carezza a Melody che ora dormiva beata.
“Diciamo che essere figlio di un grande avvocato e di una organizzatrice di eventi mondani non ha giocato molto a mio favore… e diciamo che avrebbero sicuramente preferito che diventassi un importante amministratore delegato, degno figlio di una famiglia di nobili origini” disse un po’ tristemente. Celeste rimase per un attimo in silenzio prima di parlare.
“Magari sono solo un po’ chiusi di carattere, ma sono sicura che sono felici per te. Non tutti i genitori sanno come dimostrarlo” affermò, sicura. Talmente sicura da spiazzare ancora una volta Davis sempre più incantato da quel raggio di luce che sprigionava. Tornò subito il buon umore e la voglia di continuare con quella bella giornata. Si sdraiò sul prato, le mani dietro alla nuca in una posa rilassata. Celeste rimase seduta.
“E tu, cosa mi racconti?” domandò curioso. Celeste fece spallucce.
“Oh, be’, io ho deciso che sarei diventata veterinaria all’età di nove anni, non è stato facile ovviamente, ma era il mio grande desiderio. Per quanto riguarda la mia famiglia… diciamo che i miei genitori sono molto diversi dai tuoi: entrambi insegnano yoga, si sono conosciuti a uno stage e… come dire… sono molto particolari.”
“Particolari, come sei particolare tu. La mela non cade molto lontana dall’albero” controbatté Davis.
“Sì, è vero, anche se per certi versi credo di essere più responsabile di loro. Per certi versi, ovviamente…” terminò alzando un po’ gli occhi al cielo come se una nuvoletta dei pensieri le si fosse formata proprio in quel momento.
Davis si tirò su e si mise di nuovo seduto come prima, ma un po’ più vicino a Celeste che poteva percepire il suo respiro.
“Sai, Davis, io credo che se non fosse stato per Melody…” cominciò a dire, ma lui la interruppe.
“Non ci saremmo mai incontrati, o se per caso ci fossimo incontrati non ci saremmo mai neppure presentati” terminò.
“Già e…”
“E sarebbe stato un vero peccato” sibilò prima di baciarla. Un bacio che durò troppo poco visto che Melody si mise felice e scodinzolante in mezzo a loro.
In fondo ne aveva tutto il diritto, perché era proprio così: se quella sera Melody non avesse incrociato la strada di Davis, loro tre non sarebbero stati lì insieme.
***
Era una giornata cupa a Torino: il tempo era improvvisamente cambiato, nulla a che vedere con il fine settimana di sole, specialmente con il sabato passato insieme a Celeste e a Melody al parco.
La domenica non si erano visti, Celeste era impegnata al canile. In verità Davis avrebbe voluto andare con lei, ma si era trattenuto dal chiederglielo, nonostante avesse letto negli occhi di Celeste il desiderio di rivederlo al più presto. A essere sinceri erano entrambi guardinghi, come se qualcosa li bloccasse dal lasciarsi andare a qualcosa in più di un’amicizia.
Davis osservava il panorama dalla finestra del tribunale, il grigiore della città portato anche dai palazzi di un lunedì non cominciato proprio nel migliore dei modi.
“Davis, tutto bene?” La voce di un caro collega lo ridestò. Anche lui si trovava lì in quello stesso giorno, ma per un’altra causa ben più leggera e… avrebbe tanto voluto essere al suo posto.
“Sì, tutto bene. E tu? Come è andata a Milano?”
“Diciamo bene, è stata dura, ti racconto tutto quando ci vediamo per una birra. Per fortuna oggi non dovrebbero esserci problemi” terminò. Aveva il viso stanco e gli occhi un po’ arrossati. Nessuno meglio di lui poteva capirlo. Davis gli diede una pacca amichevole sulla spalla.
“Ci vediamo una sera, allora. Così mi racconti. Ora vado, tra cinque minuti comincia la causa” disse prima di allontanarsi sotto gli occhi comprensivi del collega.
Quando entrò in aula e vide gli occhi spenti di quella bambina di appena sette anni, provò una morsa allo stomaco. Pensò per un attimo a Melody e a Celeste, al fatto che ora erano insieme e alla bella giornata trascorsa, sorrise appena prima di tornare serio e completamente concentrato nel dare tutto il supporto necessario al Giudice togato che quel giorno, insieme a lui, avrebbe dovuto prendere una decisione importante.
***
Quella sì che per Celeste e Serena era stata una giornata più dura del solito: sette vaccini, due mal di pancia improvvisi, un calcolo renale…
Finì di sistemare e pulire, lo stesse fece Celeste subito dopo aver dato un po’ delle crocchette che Davis le aveva lasciato a Melody.
“Ci vediamo domattina, se sopravvivo…” disse in maniera un po’ teatrale la collega prima di andare via. Celeste sorrise, ma non poteva di certo darle torto.
“A domani…” la salutò.
Nel frattempo, arrivò Davis che quasi non ebbe il tempo di entrare viste le feste di Melody che quasi si ingozzò con le crocchette per salutarlo come si deve!
“Ehi, come ti sei comportata oggi, eh?” le domandò come se potesse risponderle. Celeste inclinò un po’ il capo resasi conto che quando a un animale si cominciava a parlare, specialmente in quel modo, diventava davvero una parte importante di noi. Da lì capì davvero che Davis forse ci stava ripensando e l’avrebbe tenuta con sé.
Una volta coccolata Melody come si deve la sua attenzione andò completamente a Celeste.
“Ciao, spero che non ti abbia dato problemi” disse, speranzoso.
“No, brava come sempre, non preoccuparti, è un piacere tenerla qui con me.” Davis sospirò.
“Forse ho trovato una famiglia disposta ad adottarla, ho appuntamento con loro venerdì sera, ti andrebbe di accompagnarmi? Forse sei la più indicata nel capire se possono essere idonei…” terminò in modo formale. Celeste ebbe un tuffo al cuore, la sua speranza si frantumò, anche perché sapeva che in realtà non era ciò che Davis davvero voleva.
“Sei sicuro? Non vuoi pensarci ancora un po’?” domandò titubante. Davis sospirò ancora.
“Non posso tenerla con me, Celeste. E poi per quanto ancora può andare avanti questa situazione? Continuerò a portarla qui? Non sei un dog sitter, non è giusto continuare così…” terminò. Celeste non disse altro. Il suo tono l’aveva fatta rimanere male, ma lo capiva, voleva davvero bene a Melody. Davis si accorse del tono usato e anche Melody che, un po’ intimorita, continuò a mangiare le sue crocchette con le orecchie basse.
Si avvicinò un po’ di più a Celeste per esserle proprio di fronte. Il modo era davvero molto confidenziale. Celeste sollevò un po’ il capo per guardarlo in viso.
“Mi dispiace, scusami, non volevo essere maleducato. Ho avuto una giornata difficile, il mio lavoro mi assorbe completamente anche quando torno a casa, ho paura di non riuscire a dedicarle il tempo che merita e poi… anche tu hai molto lavoro qui, non posso continuare ad approfittare della tua gentilezza, non è giusto.”
“Ma per me è davvero un piacere, Melody è dolcissima e ormai è un po’ la mascotte della clinica. Anche i nostri piccoli o grandi pazienti appena la vedono è come se si tranquillizzassero. Dico sul serio…” terminò speranzosa. Rimasero per un attimo immobili e in silenzio. Silenzio che venne però sostituito da Davis che, preso dal bisogno di saggiare quelle labbra così belle, si avvicinò e la baciò, ancora. Celeste rispose, seppur subito titubante, a quel bacio.
Melody, in tutta risposta, non poté fare a meno di cominciare a ululare come a voler dare conferma del suo assoluto consenso.
***
Erano di fronte all’ingresso principale, al di là del cancello c’era un grande e bel giardino.
“Questo posto è bellissimo, sarai felice qui, Melody” disse più a se stesso che a lei che, ancora ignara di tutto, pareva davvero entusiasta di quel verde su cui avrebbe potuto correre e ruzzolarsi. Celeste lo guardava, si era accorta di quanto soffriva, perché aveva capito che l’avrebbe lasciata con quella famiglia.
Suonò il citofono, spuntò dalla finestra una donna che sorrise e andò subito ad aprire, dall’interno al pian terreno, il cancello. Poi aprì e uscì dalla porta di casa per andare loro incontro, il marito la seguì. Erano una coppia di mezza età senza figli e avevano davvero un sorriso gentile.
“Prego, venite! Molto piacere, Claudia e lui è mio marito Pietro.” Si strinsero la mano. Davis si presentò e presentò Celeste. Melody fece ovviamente le feste anche a loro, contenta di quella visita e di annusare un po’ tutto in quel bel giardino. Davis la lasciò libera quando la donna glielo disse, almeno avrebbe cominciato ad ambientarsi.
“Gradite un caffè?” domandò poi l’uomo. Celeste annuì.
“Io molto volentieri, grazie” rispose. Davis fece lo stesso.
Una volta in cucina seduti intorno al tavolo a sorseggiare il caffè, Davis raccontò come era avvenuto l’incontro con Melody, non tralasciò nulla. L’uomo e la donna ascoltavano con attenzione mentre Melody mangiava di gusto due biscotti gentilmente offerti da loro.
Fu quando arrivò il momento di salutarsi che Davis si incupì ancora di più. Si avvicinò a Melody, proprio come se lei potesse capire ogni sua parola.
“Melody, starai benissimo qui e prometto che verrò a trovarti spessissimo…” Si fermò per un attimo sotto gli occhi commossi della coppia e di Celeste che distolse per un momento lo sguardo. Melody, leggendo un velo di tristezza sul viso del suo amico, l’uomo che le aveva salvato la vita e lei ben lo sapeva, appoggiò il muso sulle sue ginocchia. Sembrava improvvisamente triste anche lei, lei che mai aveva avuto quell’espressione sul muso e che mai aveva tirato indietro le orecchie. Anche Celeste la salutò facendole una carezza. Erano state tanti giorni insieme, la sentiva anche un po’ una parte di sé.
“Ci vediamo tra pochi giorni” terminò Davis prima di sollevarsi da terra e salutare la coppia facendo le giuste e ultime raccomandazione.
“Starà bene” affermò la donna, prima di salutare, insieme al marito, anche Celeste.
Uscirono di casa, Melody insieme alla coppia li guardava attraversare il giardino e uscire e chiudersi il cancello alle spalle solo che… Tutto accadde in un attimo…
L’agilità di Melody non era di certo mai stata messa in dubbio, ma immaginare che all’improvviso potesse mettersi a correre, saltare su un cumulo di terra a lato del giardino e saltare dalla parte opposta della recinzione per correre da Davis… eppure, andò proprio in questo modo.
Solo che loro erano già dal lato opposto della strada dove avevano parcheggiato e Melody la attraversò di corsa: Davis si accorse di lei nel momento in cui sentì una macchina inchiodare, sia lui che Celeste si girarono per capire cosa stesse succedendo e, fortunatamente illesa accompagnata da un’imprecazione dell’autista e da una suonata di clacson prima di continuare per la sua strada, vennero completamente travolti da lei. La coppia, accortasi e inerme, li raggiunse sconvolta e dispiaciuta dall’accaduto.
“Melody, ma…” furono le uniche parole di Davis che cominciò a controllarla ovunque per capire se la macchina l’aveva anche solo sfiorata e fosse ferita, ma stava bene.
“Credo che voglia stare con te, mi sembra te lo stia dimostrando…” e non aggiunse altro Celeste, commossa.
Si scusò con l’uomo e la donna che erano troppo sconvolti e dispiaciuti dall’accaduto.
“Mi dispiace, credo che…” Ma non lo fecero terminare.
“Non si preoccupi, è giusto che stia con lei, noi andremo al canile, potremo adottare un altro cane che ha bisogno davvero di una famiglia, Melody…” si fermò solo per pochi secondi, “una famiglia l’ha già.”
Salutarono la coppia e salirono in macchina con lei.
Davis rimase fermo nel parcheggio ancora un po’, Celeste lo guardava. Melody era seduta dietro che si riposava felice, dopo la folle corsa.
“Dovrò organizzarmi in qualche modo, magari trovare una pensione per animali che la tenga per le ore in cui sono al lavoro, non tutti i giorni, qualche volta starà a casa da sola, dovrà abituarsi” disse.
“Lo sai che per me è un piacere tenerla, davvero” continuò Celeste. Le voleva bene e cominciava a provare qualcosa di molto forte anche per Davis, ma aveva paura di soffrire, perché lui era davvero difficile da decifrare. In alcuni momenti sembrava coinvolto, in altri meno.
Davis si girò per guardarla.
“Lo so e ti ringrazio molto, ma voglio che si abitui anche ad aspettarmi a casa” disse. Celeste sorrise.
“Hai ragione, lo penso anche io, ma sappi che ci sarò se avrai bisogno” continuò con una punta di malinconia nella voce. Davis si sporse un po’, avvicinò il viso al suo, e con una mano le accarezzò il viso.
“Ma io ho bisogno… di te…” terminò prima di baciarla.
Quella sera la passarono insieme, sul divano a mangiare panini farciti di ogni prelibatezza che Davis aveva prontamente preparato con quello che aveva. Parlarono molto, Davis confidò i suoi momenti difficili sul lavoro di quei giorni in tribunale. Non si era mai sentito così prima d’ora, come se quel macigno nel petto fosse meno pesante ora che aveva qualcuno con cui parlarne. Il suo amico certo lo capiva, ma non era la stessa cosa. Quel sentimento chiamato amore aveva bussato alla sua porta: Melody e Celeste erano entrate prepotentemente per farne parte e lui non poteva più tornare indietro.
***
Si erano svegliati molto presto, o meglio: Melody li aveva svegliati balzando sul letto.
Avevano passato la notte insieme, avevano fatto l’amore e di certo il risveglio improvviso con Melody che leccava la faccia a entrambi avrebbe portato via l’imbarazzo del momento.
“Che succede?” le domandò mettendosi su un fianco, il palmo della mano sorreggeva la testa e con l’altra le accarezzò il ventre.
Celeste rimase così, a bearsi di quelle carezze, scostò solo il capo per guardarlo in viso.
“Sto solo pensando a come tutto è successo così in fretta” sibilò.
Davis continuava ad accarezzarla. Nel frattempo, Melody era di nuovo nella sua cuccia.
“Stiamo bene insieme, tu mi piaci molto, sento qualcosa per te e questa notte è stata davvero speciale” disse sincero mentre Celeste continuava a guardarlo negli occhi.
“Anche per me è così, solo che…” si fermò.
“Solo che cosa?” la spronò.
“Non ti porterò mai a casa mia, tanto per cominciare” Davis alzò un sopracciglio. Per quel che aveva cominciato a capire di lei sapeva che il discorso, seppur cominciato in modo serio, avrebbe preso una piega inaspettata e divertente.
“E perché?” domandò curioso. Celeste fece spallucce.
“Ma dico: hai visto casa tua? Sembra una di quelle che vedi in foto nei cataloghi. Sei così ordinato, preciso, anche la cuccia di Melody è perfetta! Casa mia sembra stata invasa dai terroristi! E questo è solo un esempio! Sono sicura che quando ti accorgerai di come comincerò a incasinare casa tua una volta che mi sarò alzata di qui e magari nelle settimane a seguire, cominceremo a discutere. Tu vorrai cambiare me, io vorrò cambiare te e via dicendo. E questo è solo un esempio! Forse era meglio lasciare tutto come prima, rimanere amici anche per il bene di Melody…” Non la smetteva più di parlare e allora Davis si spostò velocemente e si mise sopra di lei bloccandola per baciarla in modo molto intenso e passionale per poi dirle: “Così almeno starai un po’ zitta” terminò prima di baciarla ancora e fare di nuovo l’amore con lei. Per fortuna Melody si era nuovamente addormentata, non era di certo il momento appropriato per saltare sul letto.
Una cosa Celeste l’aveva capita: Davis era molto più avventuroso di lei, non vi era alcun dubbio. E ci voleva un po’ d’amore e una speciale amica in comune per capirlo davvero.
***
“Allora, stasera verranno i miei genitori a trovarmi e te lo ripeto: sono particolari quindi se vuoi aspettare ancora un po’ di tempo per conoscerli…”
Alla fine, Davis ci era andato a casa di Celeste con Melody e lo aveva davvero pensato che era un gran casino e che la voglia di mettere un po’ in ordine lo aveva pervaso. Ma poi l’aveva guardata, quel sorriso vero e genuino, quel vestito a fiori velato e lungo fino ai piedi, così sbarazzino ma femminile… e non gliene ne importava niente, era la sua casa ed era perfetta così….
“Non vedo l’ora di conoscerli, credo che sarà una serata divertente…”
Celeste alzò gli occhi al cielo perché non sapeva se davvero sarebbe stato divertente. In verità Davis non sapeva quanto fossero sopra le righe, non ne aveva proprio idea. Ma presto lo avrebbe scoperto, visto che suonò il campanello e la prima ad arrivare ansiosa davanti alla porta fu proprio Melody.
Celeste andò ad aprire accompagnata da Davis.
“Ahhhhhh, tesorina mia!” esortò sua madre prima di entrare, spaventando stranamente Melody che andò dritta in salotto e si accucciò vicino al divano. Cominciava davvero bene, la serata.
“Ciao mamma, ciao papà” li salutò mentre entravano e si chiudevano la porta alle spalle. Poi guardarono curiosi Davis.
“Lui è Davis e quella che hai fatto scappare con il tuo garbato saluto è la sua cagnolina Melody” terminò.
“Piacere Davis” suo padre gli strinse la mano in maniera vigorosa e Davis a sua volta in maniera altrettanto vigorosa.
“Ci ha raccontato di Melody e di te e devo dire che osservandoti posso notare che hai un’aura davvero luminosa” disse con una tranquillità imbarazzante, la donna. Celeste si sarebbe sotterrata, ma si limitò a fare spallucce accompagnate da un sorrisetto forzato nei confronti di un Davis che però pareva davvero divertito.
“Questo è davvero un bel complimento, signora. Di solito mi dicono che sono serio e ombroso” continuò, lui. La donna sembrò inorridita.
“Solo perché non sanno vedere il cuore delle persone e allora parlano a sproposito” continuò il padre però, questa volta.
“Mi hai tolto le parole di bocca…” disse al marito prima di dargli un bacio appassionato davanti a loro. In fondo non vi era da stupirsi, erano ancora rimasti figli dei fiori, “Peace and love”. Davis trattenne a stento una risata.
“Scusa i miei genitori, Davis, non hanno proprio nessun freno” continuò Celeste cercando di avere la loro attenzione e dividerli. Per fortuna la ottenne.
“Cosa ti abbiamo sempre insegnato fin da piccola?”
“Sì, lo so, lo so, baciarsi quando si sente il bisogno di farlo è la più grande forma d’amore che esista” li rimbeccò. La coppia sorrise. In fondo, per uno strano scherzo del destino, si chiamavano proprio Romeo e Giulietta.
“Mi sembra giusto” continuò Davis, malizioso.
“Vedi, l’ho detto che è speciale!” terminò la donna.
Celeste non ebbe nulla da aggiungere o da obbiettate, questa volta.
Finalmente si spostarono in salotto dove anche Melody venne analizzata per bene.
“Quanto hai sofferto, piccola Melody, ma ora hai Davis e voi siete perfetti insieme perché emanate la stessa aura.”
Tutto sommato fu davvero una serata divertente, e solo due giorni dopo Celeste conobbe i genitori di Davis che, rigidi e altezzosi come canne di bambù, rimasero piacevolmente colpiti dal fatto che il loro unico figlio frequentasse una veterinaria, un medico.
“Ci ha fatto davvero piacere conoscerti, Celeste” le dissero. Sotto gli occhi sbarrati e stupiti di Davis che sorrise loro, ovviamente sempre con un sorriso di circostanza. Di certo non sarebbero mai cambiati con lui, ma forse un po’ ammorbiditi e questo era già un passo avanti.
“Anche io sono felice di avervi conosciuti, Laura e Andrea” disse una Celeste che in quel giorno in particolare indossava un vestito lungo che, seppur molto sobrio, la faceva sembrare una principessa delle fiabe.
“A quanto pare hai incantato i miei genitori” le disse lui. Celeste si limitò a fare spallucce.
Che cos’era la felicità, in fondo?
È la sorpresa che una persona che ami ti fa, quando meno te lo aspetti, dopo una dura giornata di lavoro. Una carezza, una parola gentile, un bacio, è conquistare i genitori dell’altro. È un cambiamento in una direzione completamente diversa.
È un cuore dolce e speciale che possiede non due zampe, ma quattro, e che ti insegna che forse… Non è sbagliato seguire una nuova strada e condividere le tue paure e i tuoi momenti di sconforto con chi ami.
Momenti che, combattuti insieme a chi ti sta vicino, non sono più tanto difficili da sopportare e affrontare.