Tante storie magiche
IL GIARDINO DELLA MUSICA
“Il giardino della musica” è l’emozionante storia di due piccoli violinisti, ambientata nella città della musica, Salisburgo.
Il tema sociale su cui vuole riflettere questa storia è ciò che chiamiamo “diversità” e la possibilità di superare queste etichette in un unico modo: con l’integrazione e l’inclusione.
Buona lettura.
Simona
Simona Maria Corvese
IL GIARDINO DELLA MUSICA
L’emozionante storia di due piccoli violinisti.
Questo racconto, adatto a un pubblico adulto ma anche a ragazzi, è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono usati in chiave fittizia. Qualsiasi rassomiglianza con fatti o località reali o con persone, realmente esistenti o esistite, è puramente casuale.
Immagine di copertina: Il giardino di Pegaso – Mirabell Park, Mirabell Palace, Salisburgo (Austria). Dipinto di Luise Begas Parmentier.
“Il giardino della musica”, copyright ©2017-2018 Simona Maria Corvese.
Salisburgo, primavera 2009
“Siete sicuri di essere fratello e sorella voi due?”, chiese l’uomo del baracchino di bibite e gelati che sostava tutti i giorni vicino all’entrata di Mirabell Palace. “La madonnina morettina e il cherubino biondo”, affermò con aria meditabonda, osservando i grandi occhi castani di Livia e quelli azzurri di Jòzsef. “Non vi assomigliate proprio per niente. Non vorrete darmi a credere magari che siete pure gemelli!”, li ammonì con fare severo “Ho ormai diverse primavere sulle spalle e non saranno certo due piccoli rom lautari a imbrogliarmi…”.
“No, le abbiamo appena detto che siamo sorella e fratello adottivi”, replicò spazientita Livia, rivolgendosi all’anziano commerciante “io ho 9 anni e lui 8”, spiegò, indicando Jòzsef.
L’uomo rise sotto i suoi folti baffi. Aveva capito benissimo quello che avevano raccontato i due bambini ma non ci poteva fare niente: quei piccoli musicisti di strada gli erano simpatici e si divertiva a stuzzicarli. Tutti i pomeriggi raggiungevano il castello di Mirabell dal centro di Salisburgo. Li portava lì lo zio, un rom sui quarant’anni. Li lasciava al cancello d’entrata e tornava a prenderli un paio d’ore dopo. Lo conosceva per sentito dire e pareva fosse un violinista che girava per tutta l’Austria con la sua orchestra sinfonica zigana: 50 violinisti rom lautari, la maggior parte dei quali virtuosi, che ammaliavano il pubblico con la loro irresistibile musica… e già, proprio irresistibile, perché quello dei rom lautari era un modo unico al mondo di suonare la musica classica. I loro avi avevano insegnato a suonare a due grandi compositori come Brahms e Liszt. A distanza di quasi due secoli lo zio dei bambini era in grado di eseguire brani di Liszt nel modo originario, molto differente dall’abituale interpretazione classica. Tutta la sua famiglia e lui erano depositari di quello stile originario che aveva ispirato il grande compositore e che avevano tramandato di padre in figlio.
Per quale motivo lasciasse lì da soli Livia e Jòzsef tutti i pomeriggi, rimaneva un mistero. Correvano voci maliziose che avesse un’amica, proprietaria di una delle ville di delizie nella zona e che le impartisse frequenti lezioni di musica… Gyorgy era un affascinante violinista… l’anziano commerciante non faticava a comprendere quanto fossero richieste le sue lezioni private da giovani donne aristocratiche.
Tutti i pomeriggi Livia e Jòzsef si avvicinavano al suo baracchino e ordinavano degli smoothies: ne andavano matti. Erano due bambini molto curiosi e disponibili a conoscere gusti nuovi: ogni giorno assaggiavano un frullato diverso che lui consigliava loro e poi esprimevano le loro impressioni in un modo buffo e spontaneo, tipico dei bambini.
Dopo aver fatto merenda andavano a giocare nel giardino di Pegaso, soffermandosi anche a suonare con i loro violini. “Ci esercitiamo tutti i giorni, mentre aspettiamo lo zio”, gli avevano spiegato. L’uomo aveva avuto modo di notare che suonavano in modo eccezionale, vista la loro tenera età… e non era l’unico a pensarlo, vista la folla di persone che si fermava ad ascoltarli ogni volta che si esibivano nel parco di palazzo Mirabell. Tutti li avevano soprannominati ‘i due piccoli violinisti di Mirabell’ e avevano libero accesso anche al palazzo, dove potevano unirsi gratuitamente alle visite culturali guidate, vista la loro condizione disagiata di nomadi itineranti. I bambini, senza volerlo, avevano attirato molti turisti, esibendo gratuitamente il loro talento. Non volendo incentivare in loro l’attività del manghel, l’elemosina che praticavano abitualmente i rom, l’amministrazione comunale aveva dato loro accesso libero e illimitato a tutte le attività culturali promosse da palazzo Mirabell. Anche le merende che consumavano quotidianamente nel parco erano offerte dal sindaco. Livia e Jòzsef avevano visitato tante volte quella nobile dimora e ne conoscevano tutti i segreti.
“Allora: cosa posso prepararvi oggi?”, chiese l’uomo.
“Proponici qualcosa di nuovo, Gerhard. La primavera è ormai arrivata: vogliamo uno smoothies primaverile!”, disse Jòzsef.
“Hmm… vediamo… oggi vi propongo un berry go round”.
“Cosa significa?”, domandò pronta Livia.
“La bacca va in giro: mi avete chiesto un frullato primaverile e questo avrete! Lampone, fragola, mirtilli e mora, con succo di mela… è favoloso, vedrete!”, spiegò Gerhard mettendosi subito all’opera. Estrasse due cestini di frutti di bosco dal piccolo frigorifero incorporato nel suo baracchino ambulante e li mostrò ai bambini: “Li ho acquistati questa mattina al mercato di Salisburgo. Sono freschissimi”, spiegò lavandoli sotto l’acqua corrente del rubinetto e pulendoli dalle imperfezioni e dalle foglie. Tagliò la frutta a pezzettini, la mise nel frullatore, vi aggiunse un bicchiere abbondante di succo di mela e azionò l’elettrodomestico. Pochi minuti dopo porse a Livia e Jòzsef due enormi bicchieri, colmi di un liquido violetto: il loro berry go round”.
“Hmm… ma è buonissimo!”, esclamò felice e sorridente Jòzsef, con due baffi viola ai lati delle labbra. Era buffissimo e l’uomo scoppiò a ridere.
“Sono felice che vi piaccia”, rispose guardandoli tutti e due.
Livia non aveva parlato perché era intenta a berselo tutto d’un fiato con avidità.
“Ehi, signorina, bevi piano o ti verrà il mal di pancia”, le consigliò lui.
“Hai ragione, Gerhard”, commentò lei, pulendosi le labbra con il palmo della mano “Ma avevo incredibilmente sete, non ce la facevo a bere più piano”.
Lui le sorrise bonariamente e le porse un tovagliolo di carta.
“andate a giocare ora?”, chiese loro.
“Sì, ma prima giriamo un po’ per il palazzo: abbiamo sentito che stanno suonando”, rispose la bambina, indicando con un dito la residenza.
“Bravi, ci vediamo dopo, allora”.
I due bambini annuirono. Ripresero i loro violini chiusi nelle custodie, che avevano appoggiato a terra accanto a loro e, salutando il commerciante, corsero in direzione del castello.
Percorsero in volata il parterre fiorito in stile barocco, aggirando la grande vasca ottagonale con statue.
“Acqua”, disse Jòzsef, andando in direzione di uno dei gruppi di figure disposti intorno alla Grande Fontana.
“Aria”, rispose Livia, muovendosi nella direzione opposta, speculare a quella di Jòzsef.
“Terra”, continuò il bambino, correndo verso l’altro gruppo scultoreo.
“Fuoco!”, esclamò Livia ridendo.
Facevano quel gioco tutti i giorni.
Continuando a correre al fianco di Jòzsef, Livia lanciò un’occhiata fugace all’edificio alla sua destra, che recava la scritta “MOZARTEUM”. “Dobbiamo riuscire a entrarci, Jòzsef!”, esclamò allegra.
“Sì, ma lì c’è scritto Universität Mozarteum, qualunque cosa significhi… e quella è una costruzione moderna. È nel palazzo antico della fondazione che dobbiamo intrufolarci… Me lo dici tutti i giorni ma finora non ci siamo riusciti!”, ribatté il bambino, impietoso.
Livia lo fulminò con lo sguardo. “lo so, lo so…Schwarzstraße 26…”, puntualizzò allegra, continuando a correre.
Una volta entrati, si fermarono a riprendere fiato, sedendo sul primo gradino dello scalone d’onore. Un’imponente scalinata in granito con un’elaborata balaustra decorata con numerosi putti si estendeva alle loro spalle e conduceva al piano superiore. Livia e Jòzsef rimasero in silenzio per qualche istante, in ascolto della musica che risuonava in tutto il palazzo. Si scambiarono una vivace occhiata d’intesa, poi si rialzarono e cominciarono a salire per le scale, facendo boccacce impertinenti ai visini altrettanto impertinenti dei putti. Entrarono nella sala di marmo, quasi trattenendo il respiro, per non far rumore. Jòzsef scivolò sul lucidissimo pavimento di marmo ma Livia gli evitò una caduta, con conseguenze rovinose per il suo violino, afferrandolo per un braccio. Un finestrone era aperto e la luce che vi entrava, illuminava le pareti del salone, affrescate in modo da riprendere le venature del marmo sul pavimento, e i loro stucchi dorati. Fuori s’intravedeva un folto albero le cui fronde, gentilmente mosse da una leggera brezza, producevano un suono fresco e argentino.
Quattro file di sedie bianche, imbottite e rivestite in tessuto di broccato rosso scuro, erano state disposte per il concerto che si sarebbe tenuto quella sera. Di fronte ai posti riservati al pubblico un ensemble di archi stava provando il quarto movimento del quintetto per archi n.3 in do maggiore, K515 di Mozart.
Livia e Jòzsef sedettero per terra a gambe incrociate, nascondendosi dietro l’ultima fila di sedie. Le viole sembravano voler giocare con i violini, che rispondevano allegramente al loro invito. I due bambini rimasero in silenzio, estasiati da quella musica così luminosa e gioiosa, fino alla fine dell’esecuzione.
Quando i musicisti ebbero finito di suonare, il primo violino, un uomo molto distinto sui 40 anni, li invitò ad avvicinarsi all’ensemble.
Livia e Jòzsef si alzarono e, timidamente, li raggiunsero con i loro violini.
“Vi conosco, sapete?”, disse l’uomo sorridendo loro in tono incoraggiante. “Vi ho sentiti suonare nella città vecchia: la prima volta eravate vicino alla bella fontana di Kapitelplatz, poi vi ho visto anche in Getreidegasse, vicino alla casa di Mozart…L’avete visitata?”
Livia e Jòzsef fecero cenno di no con la testa.
“Oh, dovete farlo allora: due musicisti così promettenti come voi non possono perdersi questa esperienza. Siete violinisti rom lautari, vero? Da dove venite? Siete austriaci?”, chiese loro.
“No, siamo ungheresi, di Budapest”, precisò Livia.
“Accipicchia”, disse l’uomo enfatizzando il movimento della mano mentre si toccava la fronte “dovevo immaginarlo… molti virtuosi lautari provengono da lì”.
I due bambini si misero a ridere di fronte a quel gesto così esagerato dell’uomo. Si sentirono subito a loro agio con lui e non provarono più soggezione.
“Perché non mi fate sentire qualcosa? Intendo dire qualcosa di tipicamente ungherese, come una ciarda. Sono sicuro che siete bravissimi a suonarle”, li invitò lui.
Livia e Jòzsef si scambiarono uno sguardo d’intesa, poi appoggiarono le custodie dei loro violini su una sedia, li estrassero e li accordarono prima di iniziare a suonare. Di lì a poco le struggenti note della ciarda di Vittorio Monti risuonarono in tutto il salone.
L’uomo e tutti i componenti dell’ensemble rimasero a bocca aperta. “Ragazzi… voi siete molto più che promettenti: siete prodigiosi!”.
Livia e Jòzsef sorrisero timidi ma compiaciuti da quel complimento.
“Siete studenti del Mozarteum?”, chiese loro il primo violino.
“No, ma ci piacerebbe molto esserlo”, replicò con prontezza il piccolo Jòzsef.
“È impressionante…” mormorò l’uomo avvicinandosi ai bambini “Dove avete imparato a suonare così?”.
“In famiglia. Siamo tutti violinisti da generazioni”, spiegò Livia.
“Ma avete frequentato qualche scuola in Ungheria?”, insistette l’uomo. Gli altri musicisti alle sue spalle avevano iniziato a riporre gli strumenti nelle loro custodie.
“No, nessuna scuola. Non potremmo frequentarle: siamo sempre in viaggio. Mia madre e nostro zio suonano il violino da quando erano bambini. Sono stati loro a insegnarci”, replicò Jòzsef con precisione.
L’uomo annuì con un sorriso bonario poi, facendo cenno ai bambini di non andarsene, si voltò verso gli altri elementi dell’ensemble. Li congedò dando loro appuntamento per un’altra prova, l’ultima, prima del concerto che avrebbero tenuto una sera di quel fine settimana.
Livia e Jòzsef intanto si sedettero su due sedie in prima fila.
Dopo che gli altri musicisti furono usciti dalla sala di marmo, l’uomo chiese a Jòzsef il permesso di provare il suo violino.
Il bambino glielo accordò e lui lo prese in mano con delicatezza, soppesandolo e valutandolo con lo sguardo. Prese in mano l’archetto e abbozzò il primo movimento della Primavera di Vivaldi, poi si fermò ascoltando quelle note risuonare limpide e nitide nell’ambiente circostante.
“Ha un suono straordinario, Jòzsef… e ha tutta l’aria di essere uno strumento antico…”, disse l’uomo.
Il bambino annuì. “Non so quanto sia antico, ma so per certo che viene tramandato nella nostra famiglia da diverse generazioni… così mi ha spiegato zio Gyorgy…”.
L’uomo annuì e glielo rese. “Vi fermerete un po’ qui a Salisburgo?”
“Sì, fino alla fine dell’estate”, annuì Livia.
“Avete mai preso in considerazione l’idea di fermarvi a studiare musica in questa città?”
“Ci piacerebbe moltissimo ma, come le ha appena detto mio fratello, viaggiamo in continuazione. Non so se lo zio ci permetterebbe di fermarci qui con nostra madre”, rispose candidamente la bambina.
“Permetterebbe?”, chiese l’uomo sedendosi accanto a loro. “Tutti i bambini dovrebbero poter studiare e sono sicuro che se voi due sosteneste un’audizione al Mozarteum, avreste molte probabilità di essere ammessi”.
“Dice davvero signore?”, domandò meravigliata Livia, con due occhi grandi grandi.
“Vi piacerebbe sostenere un’audizione?”.
I due bambini annuirono, emozionatissimi.
“Signore, lei riuscirebbe anche a farci vedere il piccolo padiglione di legno dove Mozart ha composto Il Flauto Magico, in Schwarzstraße 26?”, domandò Jòzsef con spontaneità e uno sguardo carico di speranza.
L’uomo scoppiò a ridere, notando l’espressione del bambino, e annuì. “Oh, certo che sì: questa è una richiesta facile da esaudire!”.
Livia e Jòzsef si scambiarono un’occhiata, increduli di fronte a quelle parole.
“Quel cottage è proprietà del Mozarteum”, spiegò loro il primo violino “Facciamo così, ragazzi: voi preparate un repertorio che vorreste suonare e me lo comunicate tra tre giorni, quando tornerò qui con la mia ensemble per l’ultima prova prima del concerto. Per quella data vi saprò dire quale sarà il giorno dell’audizione e della visita al capanno di Mozart, va bene?”.
Livia e Jòzsef annuirono esterrefatti da quanto velocemente si stesse concretizzando l’opportunità di entrare a studiare al Mozarteum.
“Allora affare fatto!”, affermò solennemente l’uomo. Si alzò dalla sedia, sorridendo ai bambini e tendendo loro la mano per suggellare il loro patto.
Livia e Jòzsef strinsero la mano, con gratitudine, al primo violino.
Di lì a poco si congedarono, uscendo tutti dal palazzo.
Era ancora pieno pomeriggio e zio Gyorgy sarebbe arrivato non prima di un paio di ore. Il punto di ritrovo che avevano convenuto era la statua di Papagena, una fontana posta al centro di una piccola vasca, proprio di fronte all’edificio dell’orangerie.
Livia e Jòzsef decisero di andare a provare il loro migliore repertorio in un punto poco affollato del parco, dove la quiete era assicurata. Con i loro violini in mano, chiusi nelle loro custodie, diressero correndo verso la statua di Pegaso, aggirando la vasca in mezzo alla quale si ergeva la bella scultura.
Livia, preceduta da Jòzsef, immerse la mano nell’acqua e lo spruzzò con gli schizzi che il suo movimento veloce produceva.
Jòzsef si fece schermo con un braccio, distanziandola, poi si fermò all’improvviso e tornò indietro. Appoggiò il violino a terra e iniziò una battaglia fino all’ultimo spruzzo con la sorella.
Risero entrambi, con la spensieratezza dell’infanzia, poi alzarono i volti bagnati verso il tiepido sole primaverile che campeggiava in un terso cielo turchino, privo di nuvole. Quella era la prima giornata di bel tempo dopo giorni di pioggia e recava con sé primaverili fragranze floreali. Ripresero i loro violini e diressero verso le statue di due leoni che fiancheggiavano dei gradini. Salirono saltellando quella gradinata, poi voltarono in direzione del Teatro delle siepi, nella parte occidentale del giardino. Quel luogo, formato da piante potate a forma di quinte teatrali, con tanto di fossa orchestrale, era il posto ideale dove poter provare indisturbati.
Il giorno seguente un’incessante pioggia battente non permise ai bambini di trascorrere il pomeriggio al giardino di Pegaso. Zio Gyorgy, per non lasciarli tutto il giorno nella roulotte con zia Vicka, li portò con sé in una villa nobiliare, dove avrebbe impartito una lezione di violino alla proprietaria.
Una volta entrati nell’imponente edificio dalle linee barocche, la padrona offrì loro la merenda poi li accompagnò nella biblioteca privata del palazzo. Li lasciò liberi di scegliere le letture che più li avrebbero appassionati e, salutandoli, uscì per raggiungere Gyorgy nella sala della musica.
Rimasti soli, Livia e Jòzsef iniziarono a vagare per quella magnifica biblioteca barocca a due piani, dalle pareti immacolate e gli stucchi in oro.
Si sentirono piccoli piccoli e avvertirono un senso di smarrimento in quell’ambiente raffinato. Era troppo per loro, abituati a vivere in una roulotte e nella miseria dei campi rom: troppo grande e troppo sofisticato… ma affascinante. Il suono inconfondibile del violino di zio Gyorgy, che risuonava in lontananza, fu un sottofondo musicale rassicurante.
A un certo punto, mimetizzata tra gli stucchi e i decori della parete, i due bambini s’imbatterono in una porta. Anche la maniglia era dipinta di bianco e si confondeva con la parete.
“Una porta segreta?”, chiese Jòzsef, rivolgendosi alla sorella. La sua vocina acuta fece eco nell’enorme sala di lettura.
“Sssh! Non farti sentire!”, rispose Livia, guardandosi intorno con circospezione ma non c’erano altre persone in quel luogo, a parte loro due. Un guizzo impertinente saettò nei suoi occhi. “Scopriamolo, Jòzsef!”, lo invitò, appoggiando la mano sulla maniglia.
Sorpresa! La porta era aperta e non c’era niente di magico in essa. Una volta varcata la soglia, si accedeva a una scala a chiocciola che portava alla balconata che correva tutta intorno al perimetro della biblioteca.
Ordinatissime file di scaffalature correvano lungo le pareti della biblioteca, intervallate da bianche colonne che sorreggevano archi barocchi, culminanti con medaglioni che recavano lo stemma del casato.
A un certo punto Livia e Jòzsef s’imbatterono in una sezione dedicata alla musica: davanti ai loro occhi si estendeva un’intera libreria di spartiti musicali per piano e per archi. Era una piccola biblioteca di musica da camera, all’interno di quello stupefacente ambiente. Lo stupore fu tale che i due bambini rimasero immobili di fronte a quei libri elegantemente rilegati, in preda a una sorta di timore reverenziale.
La loro attenzione cadde su un piccolo volume in pelle bianca, con scritte a caratteri dorati. In punta di piedi Livia allungò la mano e lo prese.
“Fai vedere anche a me!”, le intimò impaziente Jòzsef.
Per stare più comodi sedettero a terra a gambe incrociate e iniziarono a sfogliarlo. Era un libro di 160 pagine di spartiti per piano e violino. Con delicatezza continuarono a sfogliare la raccolta, trovando numerose opere del padre di Mozart, Leopold.
Livia e Jòzsef erano esterrefatti perché sembravano tutti manoscritti originali.
“Aspetta un attimo, Livia. Torna indietro di una pagina”, le chiese il bambino.
Livia lo accontentò.
“Guarda qui”, le disse puntando l’indice sull’intestazione.
Poco prima Livia aveva voltato pagina distrattamente, credendo di essere di fronte all’ennesima composizione di Leopold Mozart ma si stava sbagliando.
“Mio Dio…”, esclamò la bambina.
Sul manoscritto c’era una data, 1870 e inoltre era vergato un nome: ‘Del Signore Giovane Wolfgango Mozart’.
“Zio Gyorgy ci ha raccontato che Leopold Mozart siglava con il nome ‘Wolfgango’ i brani scritti dal figlio in giovane età”, osservò la bambina.
Jòzsef annuì, confermando di ricordare questo particolare.
“Significa che Wolfgang Amadeus Mozart ha composto questo concerto a 24 anni…”, osservò il bambino “… ma io non lo ho mai sentito nominare… e tutta la nostra famiglia conosce bene la produzione di musica da camera di Mozart…”.
Livia annuì, osservando lo spartito. “Non è un concerto, Jòzsef. È un pezzo per due violini, vedi? C’è scritto solo ‘allegro molto’”.
Rimasero in silenzio assorbiti completamente nella lettura di quella musica poi si guardarono negli occhi con un guizzo di eccitazione.
“Abbiamo trovato il brano che suoneremo all’audizione al Mozarteum!”, esclamò trionfante Livia.
Jòzsef era entusiasta di quella musica… era proprio la composizione con quel quid in più che stavano cercando per fare colpo di fronte alla commissione di ammissione al Mozarteum… un brano brioso e poco conosciuto.
Scesero in volata dalla scala a chiocciola, uscirono dalla biblioteca e irruppero nelle sala della musica, interrompendo la lezione.
Troppo presi dall’esaltazione del momento non chiesero scusa per il loro incontenibile entusiasmo e chiesero alla signora del palazzo il permesso di prendere in prestito quel libro per studiarlo e trascrivere a mano lo spartito che interessava loro. Lo avrebbero riportato alla fine della settimana, in occasione della prossima lezione di musica di zio Gyorgy.
La signora lo esaminò e capì subito da quale sezione della biblioteca provenisse.
“Oh, bambini, potete pure tenere questa raccolta di spartiti. Non vi sono libri di valore in quella sezione. Gli spartiti più pregiati sono in un’altra area della biblioteca. Tutta la sezione che avete scoperto voi verrà donata alla biblioteca pubblica”, rispose la donna.
Livia e Jòzsef sgranarono gli occhi increduli. Increduli perché la donna non considerasse di valore quei libri che ai loro occhi erano sembrati preziosissimi. Increduli perché ora quel libro era tutto loro.
“Quindi possiamo tenerlo?”, chiese Jòzsef ancora incredulo.
“Certo miei cari. So che siete musicisti finissimi, come vostro zio e credo proprio che saprete apprezzare questo mio dono”.
Zio Gyorgy la ringraziò per la sua generosità e si offrì di impartirle lezioni supplementari di violino a titolo gratuito.
La donna non esitò ad accettare l’offerta.
Una volta tornati a casa, Livia e Jòzsef iniziarono subito a studiare lo spartito.
Anche zio Gyorgy lo lesse manifestando la sua perplessità. “La mia conoscenza musicale è approfondita… ma devo ammettere di non aver mai sentito nominare questo pezzo…”, osservò soppesando il libro tra le mani ma senza dare particolare importanza alla cosa.
Nessuno di loro tre cercò di approfondire tale perplessità e i bambini, dal canto loro, preferirono concentrarsi sullo studio di quel ‘allegro molto’ del giovane Mozart. Di lì a due giorni avrebbero conosciuto la data dell’audizione al Mozarteum e probabilmente il tempo a disposizione per prepararsi non sarebbe stato molto.
Tuttavia, grazie all’aiuto dello zio, in sole 24 ore riuscirono a padroneggiare quella musica. Non gli dissero che era per l’audizione al Mozarteum, di cui l’uomo era completamente all’oscuro. Se fosse venuto a sapere questa cosa, molto probabilmente avrebbe negato loro il consenso a parteciparvi. Si limitarono a dirgli che avrebbero voluto suonare al più presto quel pezzo in strada, per distinguersi da altri artisti di strada come loro. Ancora una volta, il loro talento fuori dal comune ebbe modo di manifestarsi in tutto il suo splendore.
Due giorni dopo i bambini tornarono nella sala di marmo di Mirabell Palace. Entrarono in punta di piedi e sedettero nell’ultima fila di sedie, godendosi quella perfetta armonia d’archi che risuonava nell’ambiente, colmandolo di una grazia indescrivibile. Livia ammirò l’affiatamento che i musicisti di quell’ensemble di archi avevano raggiunto e il virtuosismo del primo violino, molto differente da quello di suo zio Gyorgy.
“E lui chi è?”, la distolse Jòzsef posandole gentilmente una mano sul braccio.
Livia guardò verso destra, oltre Jòzsef, al capo opposto della fila di sedie dove sedevano. Un bambino, che poteva avere la sua età, sedeva in una posizione rigida e continuava a dondolarsi ritmicamente avanti e indietro, come se si volesse canticchiare una melodia perfettamente accordata con la musica che stavano ascoltando.
“Che tipo strano. Sembra che abbia ingoiato un manico di scopa…”, bisbigliò Jòzsef.
Livia annuì poi distolse lo sguardo, per non farsi sorprendere mentre lo osservava. «A nessuno piace essere spiato», pensò tra sé e sé. Tuttavia non poté fare a meno di tornare a posare lo sguardo su quel ragazzino, con discrezione. Le sembrò completamente estraniato dal mondo e non pareva essersi accorto della loro presenza: il suo sguardo era fisso nel vuoto, ma in direzione dell’ensemble… del primo violino, in particolar modo.
“Non ci sta con la testa quello”, mormorò Jòzsef.
“Ssssh… stai zitto!”, gli intimò severa Livia.
Quando l’ensemble ebbe finito la prova generale, il primo violino si avvicinò loro e li ringraziò per aver mantenuto la parola ed essersi presentati all’appuntamento.
Presentò loro il bambino che avevano notato poco prima. “Lui è Max, mio figlio e ha nove anni come te, Livia”.
“Ciao, Max, felice di conoscerti”, disse Livia ma il bambino rimase nella sua rigida posizione sulla sedia, con lo sguardo fisso rivolto verso gli archi.
“Non credo che ti risponderà, Livia. Max è autistico e non tutti i giorni sono uguali per lui”, le spiegò l’uomo. “L’ho portato qui perché oggi è particolarmente inquieto e la musica è l’unica cosa che lo calmi. L’adora, soprattutto se gliela suono io”.
Livia assunse un’espressione dispiaciuta.
“Non preoccuparti, piccola. Max non ti risponde ma ti ha sentito e sono certo che ha apprezzato la tua gentilezza”, la confortò l’uomo.
Come aveva promesso loro, l’uomo comunicò ai bambini la data dell’audizione al Mozarteum, che si sarebbe tenuta la settimana successiva e chiese loro il repertorio che avrebbero suonato.
Quando i bambini gli consegnarono un foglietto scritto a mano, con i titoli dei brani che avrebbero eseguito, lui lo lesse con attenzione.
“’allegro molto’ per due violini, di Wolfgang Amadeus Mozart? Non l’ho mai sentito… siete sicuri sia di Mozart?”, chiese loro.
I bambini confermarono e dissero di possedere lo spartito originale del manoscritto, datato 1870.
L’uomo annuì senza insistere e chiese loro di portare il manoscritto all’audizione. Era curioso di leggerlo.
L’audizione che i bambini sostennero, una settimana dopo al Mozarteum, fu impeccabile. Dopo le prime note suonate, fu subito chiaro il talento virtuosistico di Livia e Jòzsef. La commissione si riservò qualche giorno per prendere una decisione in merito all’ammissione con borsa di studio di due talenti così giovani, in virtù del fatto che non avevano mai frequentato scuole di musica in vita loro. Il loro era un talento familiare rom lautari, un talento rarissimo e il loro modo di suonare, unico al mondo, veniva tramandato di padre in figlio.
Rimasero anche molto incuriositi dall’ ‘allegro molto’ del giovane Mozart, della cui esistenza nessuno era al corrente fino a quel momento. Chiesero ai bambini come fossero venuti in possesso di quella raccolta di spartiti e dove l’avessero scoperta.
Livia e Jòzsef spiegarono tutto e consegnarono il libro al presidente della commissione, affinché la partitura potesse essere esaminata. Gliel’avrebbero restituita di lì a qualche giorno, in occasione del verdetto in merito all’ammissione al Mozarteum.
Passò una settimana e i bambini si incontrarono tutti i pomeriggi al giardino di Pegaso con Max, suonando per lui e cercando di fargli suonare il violino. Si affezionarono tutti e due a Max e mai, neanche per un istante, lo videro come un bambino diversamente abile. Per Livia e Jòzsef Max era un bambino, e basta.
“Vedrai, Max, diventerai anche tu un bravissimo violinista come tuo papà e ti porteremo a suonare con noi anche nell’orchestra di zio Gyorgy! Insieme gireremo il mondo…”, gli diceva Livia, che non lo lasciava mai neanche per un momento… e credeva veramente a quello che diceva.
Un pomeriggio, però, Max non si presentò al consueto appuntamento per il gioco.
Livia e Jòzsef videro arrivare solo suo padre. L’uomo disse loro che Max non stava bene. Aveva avuto la febbre forte nella notte e non era in grado di uscire di casa. Disse anche loro di presentarsi al Mozarteum di lì a 3 giorni, perché avevano una comunicazione importante da dare loro.
Livia e Jòzsef non immaginavano che la comunicazione non riguardasse soltanto l’ammissione.
Tre giorni dopo, puntuali, Livia e Jòzsef si presentarono di fronte alla commissione del Mozarteum, dove vennero proposte loro, con somma soddisfazione, due borse di studio a copertura completa per il successivo anno scolastico.
Il presidente della commissione, lasciò che i due bambini si calmassero, emozionati come erano per la bella notizia appena ricevuta poi riprese la parola.
“C’è un’altra cosa importante”, disse l’uomo, seduto a capo del lungo tavolo della sala riunioni. Teneva in mano il libro di partiture prestato da Livia e Jòzsef e lo soppesava pensieroso. “Abbiamo fatto valutare l’allegro molto di Wolfgang Amadeus Mozart da una stimatissima musicologa del Mozarteum, che ha confermato l’originalità di questo pezzo. È stato realmente composto dal giovane Mozart ma secondo la nostra consulente lo stile della composizione lascia credere che il pezzo sia stato scritto all’età di circa 11 anni”, spiegò l’uomo facendo una piccola pausa e aprendo il libro proprio alla pagina dell’ allegro molto. “Lo ‘Stiftung Mozarteum Salzburg’, la Fondazione Mozart, ha rilasciato una nota con questa dichiarazione: “Lo spartito mostra una serie di caratteristiche che si trovano ripetutamente in altre opere di Mozart per violino”… e si tratta di una sonata”, disse, alzando lo sguardo verso i ragazzini, per guardarli dritti in volto. “Ragazzi, dobbiamo a voi il merito di aver ritrovato un nuovo spartito di Wolfgang Amadeus Mozart! Ve ne saremo per sempre grati.”.
I bambini rimasero a bocca aperta, incapaci di dire qualcosa. Troppo forti erano le emozioni che stavano provando in quel momento.
“Stiamo per fare un comunicato stampa per dare questa lieta notizia. Vogliamo anche organizzare la presentazione del brano nella casa natale di Mozart, qui a Salisburgo… e sarete voi a suonare. Cosa ne pensate?”, disse l’uomo, ridendo con gli occhi di fronte all’espressione esterrefatta dei bambini.
“…è una notizia incredibile… noi lo suoneremo? Se questo è un sogno, la prego, non ci svegli!”, rispose Livia con un filo di voce.
Il presidente della commissione, questa volta scoppiò a ridere di cuore, di fronte alla disarmante spontaneità della bambina.
Livia e Jòzsef, seduti uno accanto all’altra al grande tavolo, a quel punto avvicinarono le loro testoline per confabulare qualcosa in lingua romnì, che nessuno dei presenti compresse poi si fecero un vicendevole cenno di assenso.
“C’è un’ultima cosa, signore…”, disse timidamente Livia “Quella partitura è qualcosa di troppo prezioso e importante perché rimanga nelle nostre mani. Noi viviamo in una roulotte e chiunque potrebbe rubarcela quando verrà comunicato il nome dei proprietari del libro…”, esordì con voce tremante “Saremmo felici di donarla alla Fondazione Mozart: lì sarà al sicuro e verrà custodita da mani che amano la musica quanto noi. Chiediamo soltanto di poter tenere una copia dell’ allegro molto e di alcuni pezzi di Leopold Mozart”.
L’uomo sgranò gli occhi. “Siete sicuri ragazzi?”.
I bambini annuirono senza esitazioni.
“Il vostro è un gesto che denota grande nobiltà d’animo ed è una scelta saggia. Vi assicuriamo che la partitura di Mozart sarà custodita con cura e amore nella nostra fondazione”.
Tutta la commissione si alzò in piedi e applaudì i due bambini, in segno di stima.
Livia e Jòzsef erano giunti a quella scelta perché conoscevano molto bene loro zio Gyorgy. L’uomo, una volta scoperto il valore di quel libro di partiture, avrebbe cercato subito venderlo a qualche collezionista privato per ricavarne il massimo guadagno. Non avrebbero mai permesso che questo accadesse, a costo di sfidare l’ira dello zio.
Tornati a casa raccontarono tutta la verità a zio Gyorgy che, come avevano previsto, andò su tutte le furie per il mancato guadagno che si era visto sfumare sotto gli occhi.
L’uomo gridò così forte che i vetri della roulotte tremarono e negò loro anche la possibilità di frequentare il corso annuale al Mozarteum.
“Alla fine dell’estate partiremo, bambini. Siamo nomadi, lo sapete anche voi”, disse con una durezza che non ammetteva repliche da parte loro. “Ci trasferiremo a Budapest per l’autunno poi da lì andremo a Milano, per l’inverno”.
Livia e Jòzsef non dissero nulla. Qualunque replica lo avrebbe fatto infuriare ancora di più, ma non poterono nascondere l’espressione di delusione che si dipinse sui loro occhi.
C’era però una domanda che Livia non poteva esimersi dal rivolgere allo zio. Si fece coraggio e parlò.
“Zio… non hai detto nulla sulla presentazione dell’ allegro molto…Si terrà settimana prossima alla casa natale di Mozart… e hanno proposto a noi di suonarlo… ci permetteresti almeno di fare questa cosa?”, chiese aggrappandosi allo spigolo del tavolino della roulotte dove erano soliti consumare i loro pasti. Lo strinse con tutta la forza che aveva in corpo, per farsi coraggio.
L’uomo la guardò con uno sguardo che avrebbe fulminato anche un adulto, per l’ardire che aveva avuto quella ragazzina così volitiva. Lo temeva, lo sapeva, ma nonostante ciò osava tenergli testa.
“Sì, suonerete alla presentazione dell’allegro molto”, le rispose secco, poi uscì dalla roulotte, sbattendo la porta.
Zio Gyorgy non aveva assolutamente voluto dare una soddisfazione ai nipoti. Aveva semplicemente soppesato i pro e i contro della situazione. Se avesse negato ai bambini di presentarsi alla presentazione dello spartito ritrovato di Mozart, avrebbe attirato l’attenzione su di sé. Tutti si sarebbero chiesti perché i bambini erano spariti così improvvisamente. Meglio farli suonare e augurare una buona estate a quei professori che trattavano solo alti sistemi. Alla fine dell’estate sarebbero partiti da Salisburgo senza dare nell’occhio, prima dell’inizio delle scuole. Quando a settembre, all’inizio del nuovo anno scolastico, avrebbero cercato di contattarli, non avrebbero avuto elementi per mettersi sulle loro tracce.
Alla presentazione dell’allegro molto Livia e Jòzsef suonarono in modo impeccabile. Due giorni prima dell’evento fu concesso loro il grande onore di suonare due violini appartenuti al giovane Mozart e custoditi nella sua casa natale. Era un onore concesso solo a pochi musicisti, che si erano distinti per il loro talento.
La stampa aveva dato molto risalto all’evento e aveva iniziato a paragonare Jòzsef e Livia a Wolfgang e Nannerl. “Wolfgang e Nannerl secondi”, era questo il soprannome che avevano dato loro, quando li assediavano all’uscita dalla casa natale di Mozart, dopo le prove, per cercare di intervistarli. Ma Livia, stanca di essere assillata con un’insistenza così fastidiosa, pose fine alla questione, rilasciando un’unica dichiarazione: “Mio fratello e io non siamo Nannerl e Mozart secondi. Noi preferiamo essere Livia prima e Jòzsef primo!”.
La sera della presentazione furono splendidi, confermando il loro talento eccezionale. Fu un’esperienza unica e bellissima per loro. Un’esperienza che avrebbero serbato nei loro cuori per sempre…
Nei giorni dell’estate che seguirono, Livia e Jòzsef tornarono a giocare al giardino di Pegaso con Max. Livia era contenta di vedere grandi progressi nel bambino che, grazie a lei, aveva imparato a suonare il violino. Nella sua fantasia da bambina sognava a occhi aperti. Immaginava lei, Jòzsef e Max suonare di fronte a un grande pubblico ed era convinta che un giorno Max avrebbe suonato con lei. “Suona con me, Max!”, gli disse un giorno. Il bambino aveva un’aria emaciata e negli ulti tempi la sua salute era peggiorata, al punto che poteva camminare soltanto con l’ausilio di stampelle.
Livia lo aiutò a sedersi al bordo della fontana di Pegaso e duettò con lui la danza ungherese n.5 di Brahms. “Bravissimno!”, esclamò la bambina, esterrefatta dalla sua intelligenza e bravura, quando ebbero finito. Lo abbracciò di slancio, vedendo la sua felicità riflettersi nello sguardo di Max. Non lo aveva mai visto così felice.
Di lì a poco giunse a prenderlo suo padre, che ringraziò Livia e Jòzsef per aver giocato con suo figlio.
Si diedero appuntamento per il giorno seguente.
Il pomeriggio successivo, quando giunsero al giardino di pegaso, Livia notò le stampelle di Max appoggiate vicino a una panchina. Si guardò intorno ma non lo vide.
“Jòzsef, guarda, le stampelle di Max”, disse. “Sai cosa significa? Che Max è tornato a camminare da solo! Evviva, Max è guarito! È guarito!”, disse, cominciando a correre intorno alla fontana di Pegaso, colma di gioia. Jòzsef la seguiva, facendo anche lui festa poi si fermò.
“Ma… se le stampelle sono qui, lui dove sarà?”
“Sarà nella sala di marmo con suo padre. Vieni, andiamo a prenderlo”.
Salirono in volata l’imponente scalinata che portava alla sala di marmo ma non entrarono subito. La porta del salone era accostata ma non chiusa. Da un piccolo spiraglio lasciato aperto poterono vedere il Padre di Max ma non scorsero il bambino. Un altro uomo, che non conoscevano, gli stava stringendo la mano.
“Condoglianze… siamo tutti addolorati per l’accaduto…”, disse.
Il padre di Max annuì, affranto. “Le sue condizioni di salute erano peggiorate nelle ultime settimane ma niente lasciva intendere che fosse così grave…”, spiegò l’uomo. “Ieri sera era così di buon umore che sembrava addirittura migliorato. Ci siamo persino dimenticati le stampelle appoggiate a una panchina nel giardino…”. Vi fu un istante di silenzio poi l’uomo riprese a parlare. “Lo abbiamo trovato privo di vita questa mattina. Era nel suo letto, stringeva fra le braccia il violino e sul volto era dipinto un sorriso. Sembrava veramente felice…”, furono le ultime parole che riuscì a dire, poi scoppiò a piangere, scosso dai singhiozzi.
L’altro uomo gli posò una mano sulla spalla per cercare di confortarlo e restarono in silenzio per un po’.
“Ora dobbiamo trovare il modo di dirlo a Livia e Jòzsef. Livia, soprattutto, si era molto affezionata a suo figlio…”.
Il padre di Max annuì “parlerò io con loro, tra poco dovrebbero arrivare ai giardini…”, disse, senza sapere che Livia e Jòzsef avevano sentito tutto.
La bambina, non volendo farsi vedere piangere, corse giù per le scale, seguita dal fratello, anche lui in lacrime.
Due giorni dopo Livia e Jòzsef parteciparono al funerale di Max, suonando per lui in chiesa. Gli avevano voluto molto bene e non lo avrebbero mai dimenticato.
La prematura perdita dell’amico fece provare ai bambini un forte dolore e il desiderio di andar via da Salisburgo.
Mancavano ormai pochi giorni alla fine di agosto e, quando giunse il momento di partire con zio Gyorgy e zia Vicka, non si opposero. Livia e Jòzsef erano ansiosi di lasciare in quella città tutti i loro rimpianti. Rimpianti per l’impossibilità di riscattarsi dalla loro miserabile condizione sociale, intraprendendo gli studi in una delle più ambite istituzioni musicali al mondo… ma soprattutto rimpianti per l’incolmabile perdita di qualcosa di ben più prezioso: l’amicizia di Max e tutto il calore che aveva saputo donare loro con la sua presenza.
IL GIARDINO DELLA MUSICA
FINE
“Il giardino della musica”, copyright © 2017-2018 Simona Maria Corvese.