Tante storie magiche
CHI TROVA UN AMICO TROVA UN TESORO
Era una giornata di novembre. Il viale alberato che procedeva innanzi, risplendeva delle calde tinte autunnali che in quel mese la natura largisce copiosa, dal giallo al rosso cupo, dal marrone al verde intenso. Le foglie si staccano dai rami degli alberi e prima di posarsi a terra, danzano nell’ aria alla brezza di quel tardo pomeriggio autunnale.
Il cielo era azzurro e terso, il sole prometteva ancora tiepido calore.
Se ne andava un cagnolino per la via, senza sapere dove. Aveva trovato il cancelletto di casa aperto e, scesi i quattro gradini Bebo si era lasciato tentare dall’ignoto. Nella via non c’era nessuno e, un poco spaurito, il piccolo cagnetto si allontanava senza saperlo sempre più dalla sua abitazione.
Bebo era un piccolo chihuahua di 7 mesi, di colore bianco con macchie beige che alla luce del sole brillavano di una tinta dorata. Se ne andava il piccolino, trotterellando. Era la prima volta che usciva da solo di casa e già aveva perso la via del ritorno. Il viale, lungo e solitario, lo incitava a proseguire ed egli se ne andava. Ad un tratto in senso contrario giungeva un cagnetto dal pelo lungo e nero, un poco malandato, un poco sporco. Era un cane randagio, di taglia media, aveva occhi dolci. Camminava con un’andatura decisa di chi sa dove deve andare. Pochi metri e i due cagnolini furono uno di fronte all’altro.
Iniziarono così i ben noti convenevoli: l’uno annusava il codino dell’altro in una danza circolare, senza abbaiare, né ringhiare, senza mordersi o scappare. Avevano subito capito che non si trattava di un incontro amoroso. L’assenza di una cagnolina faceva sperare, se tutto fosse andato bene, nella buona riuscita di una duratura amicizia. Bebo si affiancò a Baffo. Sentiva la protezione di lui, più grande e ricco di esperienza. I due ormai amici, si avviarono insieme. Bebo azzardò un approccio verbale: “Ho perso la strada, disse, non so dove andare. Le mie padroncine staranno gridando il mio nome, ma io non le sento. Ho perso la strada.” Baffo rispose: “Sta tranquillo, io sono del luogo. Ora sta scendendo la sera. Andiamo al riparo, domani faremo le ricerche del caso”.
Timidamente, ricordando le calde coltri sui letti di casa, Bebo azzardò una seconda domanda: “E tu dove abiti? Dove dormi? “
“Sono un randagio, non ho casa. Dormo in un casolare semi-diroccato, su assi sgangherate, le finestre sono senza vetri, ma là mi ci trovo bene, perché mi sento al sicuro. Gli accalappiacani non sanno dove mi nascondo, evito così di essere catturato e portato al canile municipale. Sapessi quanto brutto e freddo è il canile! I cani vengono messi ognuno in una gabbia, ma il freddo e lo squallore li fanno stare male. C’è chi urla, c’è chi piange, chi abbaia: io non reggo! Nel mio casolare sto bene e se sono fortunato, qualche topolino o qualche ramarro si offrono per una buona cena.”
“Un topo…un ramarro…?” Ribatte Bebo. “E i croccantini, la carnina di pollo e vitello, la selvaggina, la bologna tanto buona, nessuno te li dà?”
“O no. Il più delle volte mangio l’erba dei campi, fa bene all’intestino sai e lascia vispi e non ingombra” Rispose Baffo. Gli occhioni di Bebo si riempirono di lacrime, ma Baffo non vedeva, non se ne accorgeva, perché i due amici camminavano uno a fianco dell’altro.
Giunsero al casolare e si accovacciarono sulle assi. Baffo, cane di mondo, intuiva che Bebo era triste e sconsolato e con molto garbo pose il suo muso nero e peloso, sul collo bianco dell’amico. Bebo sentì il suo calore, sentì la sua protezione e si addormentò.
Dalla finestrella senza vetri un raggio di luna li raggiunse e li avvolse. Il cielo era nero, trapuntato di stelle, la luna tonda regnava sovrana. Questo era il firmamento, era qualcosa di bello che Bebo non aveva visto mai.
Quando i due amici si svegliarono, il sole era già alto. Baffo prese l’iniziativa e organizzò la giornata. Ma Bebo inquieto timidamente dichiarò: “Non mi ci raccapezzo, non so la direzione di casa. Mi sono smarrito” E il poverino pianse.
L’amico allora, teneramente, così gli parlò: “ Vedi Bebo, domine Dio ha dotato la nostra specie di una qualità particolare: noi cani abbiamo il fiuto che ci aiuta, l’uomo no! Io ho un amico che, grazie al “fiuto”, è andato a lavorare in televisione, fa un sacco di soldi e ha un grande successo. Si chiama Rex, fa il commissario di polizia, guardalo nella trasmissione del giovedì su rai 1.
“Anch’io, ribatté Bebo, possiedo questo dono?” “Oh si, disse Baffo, anche tu con il fiuto puoi ritrovare la strada di casa. Concentrati: pensa all’odore della tua casa, delle tue padrone e segui quella scia. Tu solo lo puoi fare, io ti seguirò”.
I due si incamminarono. A Bebo parve di prendere una direzione ben precisa. Seguì l’istinto. Bebo fiutava tutto, fiutava l’aria, l’erba, i fiori, fiutava la stradina in terra battuta che affiancava gli alberi e che stava percorrendo. Le automobili intanto sfrecciavano decise sull’asfalto del viale e il piccolo cagnolino ne subiva lo spostamento d’aria.
Una curva cambiò di netto il panorama, tutto sembrò diverso e chiaro. In mezzo ad un gruppo di case, Bebo vide la sua. Era quella con i quattro gradini di pietra e il piccolo praticello verde. Sì, certo! L’aveva ritrovata, era la sua casa. Il cancelletto era ancora semi-aperto come il giorno prima. Ora lo era, in attesa del suo ritorno. Timoroso Bebo lo spinse, quatto quatto salì un gradino, poi un altro, poi un altro e si fermò. Baffo invece restava fermo sul cancello di casa, nessuno gli aveva detto di entrare e lui si era bloccato.
Silenzio, tutt’intorno c’era silenzio. Poi d’un tratto, dalla casa si udiva un pianto sommesso, uno sconsolato pianto. Ora si udiva anche un nome che veniva ripetuto fra i singhiozzi, era il suo. Bebo allora abbaiò. La sua vocina fu accompagnata da un grido di gioia.
“È tornato Bebo, mamma, è tornato!”
Un attimo e la porta si aprì, ne uscirono due donne che si precipitarono verso il cagnetto. Baci, abbracci, gioia espressa in mille modi, anche la ciotola colma di leccornie fu posata ai piedi della bestiola. Dal basso Baffo osservava la scena estatico. Ora a lui non rimaneva che andare. L’opera buona era compiuta.
Ma Bebo di scatto si voltò, guardò l’amico, guardò le due donne, abbaiò muovendo il codino.
“Ebbene sì, disse la mamma, chiama il tuo amico. Dove c’è posto per un cagnetto, c’è posto anche per il suo amico” E baffo, commosso, non se lo fece ripetere due volte, fu a fianco dell’amico timido e felice.
La donna sapeva certamente che a lui doveva molto, era quindi un grazie duraturo, colmo di riconoscenza.