Tante storie magiche
Lettera a Sveva
Cara Sveva, non mi è mai capitato di trovare tanto difficile scrivere una lettera. Sono un po’ intimorita, vorrei trovare le parole giuste per poter raccontare la vita di una donna speciale, mia madre. Lei penserà: “tutte le madri sono speciali e uniche per le loro figlie” e questo in realtà è vero; ma non per tutte la vita ha riservato un susseguirsi di eventi che l’hanno resa unica e non tutte le donne hanno trovato il modo di affrontarla lasciando non solo a me, ma a tutti coloro che l’hanno conosciuta un’impronta e degli insegnamenti che hanno arricchito a loro volta le loro vite. Vorrei saper raccontare come fa lei, inserendo personaggi appartenenti ad epoche diverse che hanno contribuito allo svolgersi di un’esistenza piena di eventi e che hanno portato mia madre a vivere come in un romanzo. Ha conosciuto periodi di grande agiatezza e tranquillità nella sua Parenzo, figlia di un albergatore ma sopratutto di un uomo, suo padre, vero punto di riferimento e forza. Uomini di cui si sono perse le tracce, capaci di tenere unita con un amore profondo una famiglia allo sbando, tale era diventata dopo la deportazione in Germania di tutti gli uomini della famiglia compreso l’amato fratello di soli 13 anni, l’unico a non ritornare più a casa. Sopportare e vedere la distruzione di tutto quello per cui la tua famiglia ha duramente lavorato, chiudere tutto il suo mondo in quattro valigie ed affrontare l’esodo come migliaia di Istriani ed essere sistemata in una caserma a Tortona, Caserma Passalacqua, dove i nuclei famigliari avevano diritto ad 1 mq a persona divisi da coperte militari che non lasciavano un minimo di intimità. Pensi, lei che aveva i suoi appartamenti all’interno dell’albergo, rinchiusa in 3 mq tanto spettava alla sua famiglia, senza i vetri alle finestre, vestiti sempre come per uscire a causa del freddo, con i bagni in comune, senza poter suonare il suo amato pianoforte, senza poter continuare a studiare, additata dalla gente con sospetto, senza più i suoi amici, il suo mondo, in un’Italia che tanto amava e che non la voleva. Mi ripeteva sempre “io amo te e l’Italia”, tanto che negli ultimi giorni di vita mi faceva spostare la tendina del ricovero per poter intravedere il tricolore sventolare sul pennone dell’ingresso. Una donna che si è ritrovata orfana, sola, i genitori non hanno retto al dolore e sono morti a distanza di sei mesi l’uno dall’altro, eppure mai un momento di cedimento, tanto era forte e piena di dignità. Cara Sveva, ho ritrovato dopo la sua morte tutte le lettere spedite dal campo di lavoro ed un po’ mi sono vergognata; leggendole ho capito quanto l’amore possa essere l’unico nutrimento che può farti sopravvivere anche quando non hai più nulla. La vita non è stata benevola con lei, eppure ha saputo affrontare la povertà, i lutti, i dolori fisici, un matrimonio difficile, la terribile malattia di mio padre, l’Alzheimer, le sue stesse malattie che l’hanno portata a non potersi più muovere. Solo con la forza di una grande volontà tanto grande da essere di sostegno agli altri, mai una lacrima di commiserazione per sé stessa. Persino quando ha deciso di morire è stata una sua volontà, a niente sono valsi i miei sforzi, le mie corse all’ospedale: ormai lei aveva deciso e così è stato. Avevo tanto pregato che non me la portassero via, avevo tante cose irrisolte da dirle, avrei voluto portarla ancora una volta a vedere i tramonti della sua Parenzo, magnifica quando il sole si tuffa in mare dipingendo tutto di rosso. Avrei voluto appoggiare ancora una volta la testa tra le sue ginocchia e farmi coccolare dalle sue mani calde che mi tranquillizzavano ricordandomi che tutto sarebbe andato bene e tutto si poteva risolvere eccetto la morte. Cara Sveva, vorrei tanto poterle raccontare la storia di una famiglia nata da un grande amore, quello di mio nonno per la primogenita del fratello, un amore tanto grande da sfidare tutto, l’opinione della gente, il giudizio dei parenti, persino la Chiesa, e finita con un grande amore che mia madre provava per me. Mi scuso se l’ho annoiata o se non sono stata molto chiara, ho ritrovato la rosa rossa rinsecchita che mio nonno portò alla sua adorata moglie sussurrandole quanto l’amava poco prima per coricarsi e non svegliarsi più. Ho ancora in mente l’ultima sera di vita di mia madre, era così bella piena di luce che avrei dovuto capirlo, mi ha allontanata con una scusa e mi ha vista uscire da quella porta consapevole che non mi avrebbe più rivista, ed io stupida ci sono cascata in pieno, l’ho salutata con un “ciao ci vediamo domani” e il domani non c’è più stato. Ci sarebbe così tanto da dire e il mondo è così pieno di storie, storie degne di essere raccontate; forse solo Lei potrebbe trovare le parole giuste per questa Vita nata da un grande amore e finita con un atto di grande amore.
Un abbraccio e un grazie per il tempo che mi ha dedicato, Daniela Miletich